
l'incontro
Perché le vere conclusioni del vertice in Arabia Saudita spettano a Mosca
A Gedda gli americani hanno promesso di riprendere l'invio di aiuti militari e la cooperazione di intelligence. L'Ucraina ha accettato un cessate il fuoco di trenta giorni "a condizione che la Federazione russa lo esegua simultaneamente". Ora Putin non ha più scuse
I risultati dell’incontro di Gedda tra la delegazione ucraina e quella americana sono tre: gli Stati Uniti ripristinano l’invio di aiuti militari e riattivano la condivisione di intelligence; Kyiv accetta un cessate il fuoco di trenta giorni; l’accordo sui minerali voluto da Donald Trump per mostrare agli americani che riavranno indietro il denaro speso per l’Ucraina “verrà firmato quanto prima”.
Una di queste decisioni non dipende però né da Washington né da Kyiv, ma è Mosca a dover rendere effettivo il cessate il fuoco interrompendo gli attacchi contro le infrastrutture strategiche dell’Ucraina. A parlare con il Cremlino, la Casa Bianca manderà Steve Witkoff, inviato speciale per il medio oriente che è già stato in Russia il mese scorso per mediare la liberazione del cittadino americano Marc Fogel, arrestato a Mosca nel 2021.
Dopo l’incontro in Arabia Saudita gli americani hanno detto di essere “ottimisti”, gli ucraini erano sollevati che il vertice non si fosse trasformato in un nuovo scontro, ma la diffidenza per l’Amministrazione Trump rimane, tanto che a Gedda, per non cadere in trappola, gli ucraini hanno mandato i meno emotivi dell’apparato presidenziale: Andriy Yermak, Andriy Sybiha e Rustem Umerov, capo dell’ufficio del presidente, ministro degli Esteri, ministro della Difesa.
Non è semplice farsi strada tra le emoji usate da Andriy Yermak. Possono promettere, minacciare, confortare. Un cenno, un simbolo su X e l’uomo più importante e centrale nel processo decisionale di Kyiv dopo il presidente stesso manda messaggi dentro e fuori l’Ucraina. Lo ha fatto anche ieri, durante la prima pausa dei colloqui con i funzionari degli Stati Uniti. Yermak è arrivato a Gedda in abito, anche lui di solito si veste in verde militare, ma ha deciso di dare questa soddisfazione all’Amministrazione americana, che si infastidisce trovandosi di fronte ai funzionari di un paese in guerra vestiti come la guerra impone: felpe, casacche con uno spettro di colori dal nero al verde. Durante la prima pausa dell’incontro, Yermak ha pubblicato il simbolo di una stretta di mano: speranzosa, decisa, un sollievo. Il primo segnale che la conversazione con gli americani era positiva. Al tavolo saudita attorno al quale erano state disposte le bandiere del Regno, degli Stati Uniti e dell’Ucraina, erano seduti il segretario di stato americano Marco Rubio e il consigliere per la sicurezza nazionale Michael Waltz. Dall’altra parte c’erano Yermak e il ministro degli Esteri Sybiha, un diplomatico esperto che lo scorso anno ha sostituito l’altrettanto esperto Dmytro Kuleba.
Stati Uniti e Ucraina sono alleati, lo sono stati fino a qualche settimana fa, quando Donald Trump ha iniziato ad accusare Zelensky di essere un dittatore e di voler trascinare il mondo verso la Terza guerra mondiale giocando con la vita dei suoi cittadini. Lo erano fino a quando il presidente americano e il suo vice J. D. Vance non hanno teso un’imboscata al capo dell’Ucraina nello Studio Ovale, cacciandolo dalla Casa Bianca davanti alle telecamere, offrendo uno spettacolo godibile per il pubblico del Cremlino e sconfortante per gli ucraini. Con queste premesse e dopo la decisione americana di congelare gli aiuti militari e di bloccare la condivisione di intelligence – la seconda decisione ha agevolato i bombardamenti di Mosca contro le città ucraine inibendo la capacità di Kyiv di intercettare missili e droni – per gli ucraini andare a Gedda non era senza rischi. Sapevano che all’accordo sui minerali era legata la ripresa degli aiuti militari e della cooperazione di intelligence e finora non sono emerse le garanzie di sicurezza che Zelensky aveva chiesto a Trump in cambio della firma sull’intesa. Senza aiuti militari americani, l’esercito ucraino non potrà andare avanti nei combattimenti e potrebbe resistere per un periodo di tempo che secondo gli analisti va dai tre ai sei mesi. La fine della cooperazione dei servizi è già costata a Kyiv una settimana di attacchi massicci da parte dell’esercito russo ai quali è riuscita contrapporre delle capacità di difesa limitate. Anche l’operazione nella regione russa di Kursk, in cui i soldati ucraini starebbero perdendo terreno rapidamente, ha risentito delle restrizioni che Washington ha imposto a Kyiv e non a Mosca. Ieri l’esercito ucraino ha deciso di colpire la capitale russa con un attacco di droni, per dimostrare di essere ancora attivo e determinato, non fiaccato dalle minacce trumpiane. Ha voluto colpire con le informazioni di intelligence ancora in suo possesso proprio la notte prima dell’incontro a Gedda in cui gli ucraini sapevano che avrebbero accettato il cessate il fuoco limitato agli attacchi alle infrastrutture strategiche e alle attività nel Mar Nero, quindi non esteso ai combattimenti lungo il fronte. Il rispetto di questo cessate il fuoco dipende da Mosca e le conclusioni del vertice lo specificano bene: “L’Ucraina ha espresso la disponibilità ad accettare un cessate il fuoco temporaneo di 30 giorni che può essere prolungato di comune accordo tra le parti, a condizione che la Federazione russa lo accetti e lo esegua simultaneamente”. L’attacco a Mosca era un messaggio: ora tocca a voi accettare.
