
Foto ANSA
L'intervento
Oltre la Francia c'è anche il Regno Unito. Le ipocrisie da superare per una nuova difesa europea
Durante tutta la guerra fredda, per i paesi della Nato la deterrenza nucleare era assicurata dall’arsenale Usa. Ma di fronte alle ambigue dichiarazioni di Trump è legittimo chiedersi se i paesi europei possono ancora fare affidamento sugli Stati Uniti, oppure creare una capacità difesiva adeguata in Europa
Nell’acceso dibattito sulla difesa comune europea, che ha portato alla proposta della Commissione di avviare investimenti per 800 miliardi di euro, uno dei temi più spinosi che viene alla ribalta è quello del deterrente nucleare. Oggi due paesi europei ne dispongono: la Francia e il Regno Unito. La Francia si basa su due componenti, una aeroportata: missili Asmp-A, con una testata di 300 KT (300.000 tonnellate di tritolo equivalenti) e una costituita da missili balistici M51 imbarcati su 4 sottomarini nucleari, uno dei quali costantemente in navigazione; gli M51 hanno una gittata di 11.000 km. e ciascuno può portare fino a 10 testate che possono essere indirizzate su obiettivi diversi, ciascuna con una potenza fino a 150 KT.
Il Regno Unito dispone ad oggi di 225 testate per una sola componente, imbarcata su quattro sottomarini, di cui uno sempre in navigazione. I missili balistici impiegati sono i Polaris II, di produzione statunitense, con una portata di oltre 10.000 km., ciascuno dei quali può portare fino a 8 testate indipendenti con una potenza che può andare da 100 e 800 KT. Da questi dati è chiaro che per entrambi i paesi si tratta di forze di dissuasione strategica, secondo il concetto classico di deterrenza, in modo da dare il messaggio che in caso di attacco, la risposta sarebbe talmente devastante da scoraggiare qualsiasi aggressore. Si tratta della dottrina che ha caratterizzato la guerra fredda, con l’acronimo Mad (che in inglese significa ‘pazzo’) Mutually Assured Distruction, garantendoci 40 anni di pace, fino alla caduta del muro di Berlino.
Accanto a questa tipologia di armi, di cui si disse ‘costruite allo scopo di non essere usate’, ne venne sviluppata un’altra categoria, definite come armi nucleari tattiche, quindi non mirate ai grandi agglomerati urbani e ai centri del potere, ma da impiegare sul campo di battaglia, di fronte a situazioni in cui gli sviluppi avessero un tale livello di criticità da rendere accettabile e opportuno tale impiego. Ad esempio, di fronte ad una rottura del fronte, una moderna Caporetto, un ordigno nucleare sarebbe certamente in grado di bloccare l’iniziativa avversaria.
Già durante la guerra fredda queste teorie vennero concretizzate e vennero prodotti proiettili miniaturizzati che potevano essere utilizzati dalle artiglierie pesanti da 155 mm e da missili a corto raggio come lo Honest John, con una gittata da 7 a 48 km e furono in dotazione anche all’Esercito Italiano.
Oggi questo tipo di munizionamento è tornato alla ribalta per le ripetute minacce da parte russa di farne uso: al riguardo è bene chiarire che la denominazione di armi tattiche è sicuramente fuorviante, in quanto si tratta di ordigni con una potenza che può arrivare a 30 KT, cioè 30.000 tonnellate di tritolo equivalente, cioè quasi tre volte quella della bomba sganciata su Hiroshima, con effetti devastanti causati dall’effetto termico e da quello dell’onda di pressione e con conseguenze di lungo periodo per le polveri radioattive disperse anche nell’atmosfera.
Ma ciò che più deve preoccupare è che secondo la dottrina russa, in talune circostanze, dopo un nulla osta politico, la decisione di impiegare l’arma nucleare tattica è demandata al comandante di teatro in base alla situazione operativa sul terreno. E’ chiaro che si sarebbe di fronte ad una escalation fuori controllo, che può essere impedita solo da una deterrenza la cui credibilità non deve mai potere essere messa in dubbio.
Ma tornando alla questione iniziale, durante tutta la guerra fredda per i paesi della Nato la deterrenza nucleare era assicurata dall’arsenale Usa, con un ruolo ancillare da parte Uk e con la Francia dichiaratamente indipendente. Oggi, di fronte ad alcune ambigue dichiarazioni di Trump, è legittimo chiedersi se i paesi europei possono ancora fare affidamento sugli Stati Uniti e quindi se non sia il caso di creare una simile capacità in Europa, senza una proliferazione generalizzata, ma eventualmente accettando di discutere con Parigi circa un’estensione dell’ombrello nucleare francese anche agli altri alleati, come apertamente proposto nei giorni scorsi da Macron.
Il tema è di una delicatezza estrema, ma nell’elaborazione delle proposte per una capacità di difesa europea, non può essere ignorato, ma deve essere affrontato in ogni dettaglio, a partire dalla definizione di inequivocabili meccanismi decisionali, fermo restando che la decisione ultima rimarrà nelle mani del presidente francese, come peraltro è stato finora con gli Usa.
Vincenzo Camporini
già capo di stato maggiore dell’Aeronautica Militare e della difesa