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Da Buckingham Palace

Trump si dev'essere offeso con re Carlo, che non fa altro che difendere il Canada

Alberto Mattioli

Dal profondo affetto per i sudditi canadesi alla raccomandazione di “unirsi in tempi di incertezza”. L’impero non c’è più, però Carlo fa sapere quello che pensa con i mezzi felpati di cui dispone

Racconta il Daily Telegraph che ieri l’altro Carlo III ha ricevuto a Buckingham due dignitari del Parlamento canadese, lo speaker e l’Usciere dalla bacchetta nera (e già adoriamo), che dovevano consegnargli una nuova spada cerimoniale realizzata per la sua ascensione al trono (e qui siamo addirittura in estasi). Con l’occasione Carlo, che è Re anche del Canada oltre che di altri tredici paesi del Commonwealth, ha espresso la sua “deepest affection”, il suo profondo affetto per i sudditi canadesi, e subito le solite imprecisate fonti del Palazzo l’hanno fatto sapere al resto del mondo. Per i Windsor il Commonwealth è una cosa seria, non solo una reliquia dell’impero che fu: si ricorda l’epico scontro fra Elisabetta II e la signora Thatcher quando Reagan invase Grenada che appunto ne fa parte. Il regio affetto è soltanto l’ultimo di una serie di segnali della corona sulla pretesa di Donald Trump che il Canada diventi il cinquantunesimo degli Stati Uniti (o il cinquantaduesimo, dipende come andrà con la Groenlandia).

 

                                            

 

Giorni fa, all’annuale funzione per il Commonwealth, quella cui si è rivista anche Kate in forma e di rosso vestita, il Re aveva raccomandato di “unirsi in tempi di incertezza”. E una settimana fa aveva ricevuto per un tea for two a Sandringham Justin Trudeau, che ne aveva approfittato per ribadire “la fondamentale importanza per i canadesi della difesa della sovranità e dell’indipendenza nazionale”. Sempre a Sandringham, il Re aveva ricevuto con molto calore anche Volodymyr Zelensky, e subito dopo che era stato bullizzato dai cowboy della Casa Bianca. Tutti messaggi, insomma. Per essere soft, quello della Corona non è meno power, e fa parte delle armi diplomatiche di Starmer nel suo attuale remake churchilliano di difensore dell’Ucraina, e anche magari per evitare dazi americani troppo pesanti. Certo, già era difficile immaginare due personalità più lontane quanto a gusti, modi e cultura di Carlo III e Trump; poi le sparate del presidente sul Canada hanno fatto traboccare il vaso della pazienza regale. Non ne siamo affatto divertite, avrebbe detto l’ava Vittoria ergendosi dal basso del suo metro e 52, ma con alle spalle il più grande impero di tutti i tempi. L’impero non c’è più, però Carlo fa sapere quello che pensa con i mezzi felpati di cui dispone. Incombe tuttavia una visita di Trump nel Regno: l’invito è stato consegnato ma, scrive il Mail on Sunday, dopo tutti questi segnali “Trump non è più contento dell’invito della Casa reale”, che fortunatamente non ha ancora una data precisa.

I precedenti sono pessimi. Donald se lo dovette già sorbettare mamma Elisabetta, pare molto a fatica. Secondo una delle ultime biografie, in occasione della visita a Londra del 2019 l’avrebbe definito “very rude”, insomma un cafone, trovando “particolarmente irritante” che Mr President non la guardasse in faccia ma fissasse l’infinito, come cercando “qualcuno di più interessante”. Ai royal watchers più raffinati non sfuggì poi che, al banchetto a Buckingham, Elisabetta sfoggiasse la cosiddetta tiara birmana, realizzata per lei dai gioiellieri di fiducia, Garrard & Co. (a Mayfair dal 1735) con 96 rubini, dono appunto della Birmania dove queste pietre hanno il significato di proteggere dalle sventure. Insomma, per cenare con Trump Elisabetta indossò l’equivalente del cornetto napoletano (è rosso pure lui). Rebus sic stantibus, non stupisce che Danielle Smith, premier dell’Alberta, lo stato più ricco del Canada, ripeta che “cantiamo God save the King ogni settimana”. Una volta di più, c’è da rimpiangere che in quella deplorevole guerra d’Indipendenza Giorgio III si sia fatto sconfiggere da dei rozzi coloniali e dai mangiarane francesi.