le carte di erdogan

La Turchia, la partita curda e quella siriana. Strategie regionali e calcoli elettorali

Stefano Mazzola 

Dopo anni di tensioni, il presidente turco incontra il partito filo-curdo Dem. Un passo decisivo, favorito dal disarmo del Pkk, che potrebbe ridefinire il futuro politico della Turchia e il processo di integrazione siriana

Istanbul. Dopo essere rimasto in disparte per mesi, mercoledì sera il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha manifestato la sua disponibilità a incontrare i rappresentanti del partito filo-curdo Dem, entrando formalmente in campo nel processo di pacificazione con i curdi che il governo sta portando avanti da mesi. L’annuncio di Erdogan segue a stretto giro la firma del memorandum d’intesa siglato dal governo di transizione siriano con i curdi del Rojava. L’accordo promette pieni diritti costituzionali ai curdi siriani e l’integrazione delle forze democratiche siriane (Sdf) – guidate dalle milizie curde delle Ypg, che la Turchia considera emanazione diretta del Partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk) – nell’esercito e nelle istituzioni nazionali. E’ un passo fondamentale per l’unificazione della Siria post-baathista, che a sua volta non sarebbe stato possibile se, due settimane fa, Abdullah Ocalan non avesse esortato il Pkk a deporre le armi e dichiarare la fine della lotta armata e delle aspirazioni autonomiste curde. La transizione dei poteri nel nordest siriano risponde alla precisa volontà della Turchia di accelerare e completare l’integrazione della Siria nella propria sfera di influenza. Consapevole della volontà di altri attori – Iran e Israele su tutti – di voler rallentare questo processo, Ankara vuole evitare il rischio che la questione curda venga strumentalizzata dall’esterno. Da qui l’avvio di un processo di dialogo transnazionale con gli esponenti della causa curda al fine di chiudere un conflitto durato quarant’anni.

 

Ocalan, che è in carcere dal 1999, ha affermato che l’attuale contesto storico e politico ha fatto venir meno i presupposti che per quattro decenni hanno sostenuto la guerriglia del Pkk contro lo stato turco. Per il governo invece, risolvere la questione curda è un imperativo strategico, tanto da aver inquadrato i colloqui di pace come una questione esistenziale per la sicurezza della Turchia. Secondo Riccardo Gasco, dottorando all’Università di Bologna e coordinatore del programma di politica estera presso il centro di ricerca IstanPol, “l’attacco del 7 ottobre contro Israele ha spinto la Turchia a concentrarsi sulla minaccia percepita del separatismo curdo, creando l’occasione per il governo di ottenere il sostegno della componente politica curda per una possibile riforma costituzionale”. Erdogan, minacciato dal costante calo di popolarità e dal perdurare della crisi economica, cerca quindi di assicurare la propria sopravvivenza politica attraverso un’apertura verso i curdi. Con il secondo mandato in scadenza nel 2028, il presidente non potrebbe infatti ricandidarsi. I 57 deputati del partito filo-curdo Dem rappresentano quindi l’unica possibilità di riuscire a cambiare la carta costituzionale senza far cadere ulteriori ombre sullo stato della democrazia turca. L’obiettivo è quello di creare condizioni più favorevoli per il miglioramento dei rapporti tra l’elettorato curdo e il partito di governo, strettamente legati agli sviluppi oltre la frontiera turco-siriana. 

 

Per avere successo, la strategia di Ankara in Siria dovrà tuttavia trovare risposta a una serie di interrogativi che ancora oggi rimangono aperti. Questi includono, in primis, la ricostruzione di un rapporto di fiducia reciproca tra Turchia e Stati Uniti – che negli ultimi anni hanno attraversato una fase di deterioramento strutturale dovuta, tra le altre cose, proprio all’alleanza tra Washington e le Sdf. Al fine di evitare una cantonizzazione della nuova Siria, il cui sud finirebbe sotto l’orbita israeliana, Ankara ha bisogno di un reset delle relazioni con l’America. Cruciale, in questa direzione, sarà l’impegno della Turchia a combattere il risorgere dell’Isis, oltre che allo status costituzionale e il grado di autonomia che verranno garantiti ai territori controllati dalle Sdf. 

  
Sul fronte domestico invece non è ancora chiaro quali contropartite Ankara si sia impegnata a offrire nelle trattative con Ocalan e il Dem tali da poter garantire un ritorno elettorale, anche indiretto. Sul tavolo, oltre a un miglioramento delle condizioni carcerarie di Ocalan, vi è la possibilità di porre fine alla criminalizzazione delle attività politiche del Dem e la liberazione dei suoi leader incarcerati. Tuttavia, i segnali in questa direzione sono contrastanti. Negli ultimi mesi, il governo ha considerevolmente aumentato la repressione nei confronti dell’opposizione e della società civile, senza che questo abbia suscitato particolari reazioni dai suoi partner, Unione europea in primis. 

 
Stefano Mazzola è Ricercatore all’Istanbul Policy Center

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