
Voice of America, New York 1953 (LaPresse)
usa senza voce
Il sogno di Trump che si realizza: un'America che non parla più dei suoi valori
Chiude Voice of America, storica radio che diffonde i valori di libertà e democrazia, e lo stesso destino potrebbe toccare anche ad altre emittenti americane. Ha vinto la linea di Elon Musk: colpire con tagli lineari giustificati in nome della "lotta contro idee radicali". Cioè voci di dissenso contro il presidente
Milano. Lo scorso dicembre sembrava che Voice of America (Voa) si sarebbe radicalmente trasformata da storica radio che diffonde i valori americani di libertà e democrazia nel mondo a megafono del trumpismo sotto la guida di Kari Lake, ex giornalista già candidata governatrice e senatrice dell’Arizona (sconfitta per due tornate consecutive). Invece semplicemente l’agenzia verrà chiusa e i suoi circa milletrecento dipendenti sono stati messi in aspettativa forzata. Con Voa chiudono pure i progetti affiliati, come Radio Free Europe/Radio Liberty, Radio Free Asia e Middle East Broadcasting Networks. In sintesi: vince la linea di Elon Musk di colpire il governo federale con tagli lineari che vengono giustificati in virtù della sua diffusione di idee “radicali” che altro non sono che una difesa della libertà di stampa sempre più sgradita per un presidente che ha recentemente affermato che le critiche negative alla sua azione politica “dovrebbero essere illegali”. Senza contare che questa decisione di sicuro compiace in primis Vladimir Putin e la Russia, così come un altro alleato del trumpismo radicalizzato nato dalle elezioni del 2024. Perché prima Voice of America, fondata nel 1942, si era imposta agli ascoltatori dell’Europa occupata dai nazifascisti come una speranza di liberazione, poi Radio Free Europe sarebbe arrivata nel 1949, seguita da Radio Liberty. Due scopi diversi, ma simili: influenzare con programmi radiofonici in diverse lingue chi si sintonizzava clandestinamente dai paesi sotto regime comunista e nella stessa Unione Sovietica.
A finanziare questi due network, fino al 1972, era stata la Cia, per poi passare sotto il controllo del dipartimento di Stato e poi ridurre gradualmente le operazioni dopo la caduta del Muro di Berlino. In ogni caso, Radio Free Europe/Radio Liberty, dal 1979 riunite sotto un’unica emittente, hanno funzionato come unico appiglio alla realtà per la Bielorussia sotto il governo autocratico di Aleksandar Lukashenka così come per chi si trova nella Russia putiniana. E questa chiusura, non è chiaro se temporanea o meno, ha fermato una fonte verso il mondo esterno anche per chi vive in Cina o in Corea del nord e apriva le frequenze di Radio Free Asia. Da qualche tempo chi lo fa ora sente solo musica dove prima aveva notizie non filtrate dal regime di turno.
Se la nomina a dicembre di Kari Lake come direttrice di Voice of America lasciava perplessi, date le sue dichiarazioni a favore dell’arresto dei giornalisti “ingiusti” nei confronti di Donald Trump, oggi invece appare come una figura totalmente superflua, che non può realizzare nemmeno un’informazione trumpizzata così come aveva fatto nel corso del 2020 il controverso documentarista Michael Pack, ma che semplicemente abdica al ruolo americano nel mondo. Difficile non condividere quando detto dal direttore uscente di Voice of America Michael Abramowitz, nominato soltanto lo scorso luglio dall’Amministrazione Biden: “Le narrazioni fasulle che discreditano gli Stati Uniti prodotte da Russia, Cina e Iran adesso non avranno più alcun controllo”. C’è un però: nel primo mandato i tribunali federali avevano frenato i tentativi di definanziamento dell’agenzia che sovrintende a questi media governativi destinati all’estero, la U.S. Agency for Global Media, la cui particolare struttura di governance, un board di nove membri, quattro democratici e quattro repubblicani più il segretario di stato pro tempore, la rende difficilmente controllabile in modo integrale dal presidente.
Trump ha usato nuovamente il suo potere per chiudere de facto un’agenzia creata per scopi idealistici che lui non comprende e non sostiene, che lui vuole sostituire semplicemente con le manipolazioni che diffonde sui social. Più semplici e più vicine ai suoi desiderata che trasmettono l’idea di un’America First che somiglia sempre di più a quella sognata dagli isolazionisti nel 1940-41, chiusa in sé stessa e impegnata a tornare a un governo federale debole e facilmente gestibile da una presidenza ipertrofica che sarebbe giustificata da una lettura faziosa della Costituzione americana, la stessa del famigerato Project 2025 che anche qui trova la sua ennesima applicazione.