Ursula von der Leyen (foto Ap, via LaPresse)

Il Libro bianco dell'Ue

Il progetto per la difesa europea di von der Leyen è di corto respiro. Draghi guarda lontano

David Carretta

I leader europei avevano chiesto alla presidente della Commissione di andare ben oltre il piano di riarmo da 800 miliardi di euro. Ma le bozze del Libro bianco hanno deluso. Un documento che è una sintesi delle analisi già pubblicate dalla Commissione negli scorsi anni, cui sono state aggiunte le proposte che presentate prima del vertice informale del 6 febbraio

Bruxelles. Alla vigilia del Consiglio europeo, Ursula von der Leyen oggi presenterà il suo Libro bianco sulla difesa che dovrebbe tracciare la strada per il futuro con soluzioni innovative sul piano politico, industriale e finanziario di fronte alla minaccia della Russia e al disimpegno degli Stati Uniti. In un vertice informale il 6 febbraio, i leader avevano chiesto alla presidente della Commissione di andare ben oltre il piano di riarmo da 800 miliardi di euro. Ma le bozze del Libro bianco hanno deluso. “Senza ambizione, senza visione, senza misure chiare o forti”, ha detto l’europarlamentare francese, Nathalie Loiseau, dando voce alla frustrazione generale. Von der Leyen ieri ha fatto alcuni ulteriori annunci. Ma, paradossalmente, è stato Mario Draghi a Roma a illustrare un Libro bianco sulla difesa europea con una vera visione per il futuro.

  

Nell’Ue un Libro bianco è un documento strategico di prospettiva europea per il lungo periodo. Alcuni grandi progetti, come il mercato unico e la moneta unica, sono nati da Libri bianchi. La bozza di quello sulla difesa di Ursula von der Leyen mostra invece una visione di breve periodo e ristretta. Il documento è una sintesi delle analisi già pubblicate dalla Commissione negli scorsi anni, cui sono state aggiunte le proposte che la stessa von der Leyen ha presentato prima del vertice informale del 6 febbraio: sospensione delle regole del Patto di stabilità per mobilitare 650 miliardi di risorse nazionali per le spese per la Difesa; il nuovo strumento Sure per fornire 150 miliardi di prestiti agli stati membri per gli acquisti militari; la possibilità di dirottare i fondi della coesione verso gli investimenti nell’industria della Difesa; un maggior ruolo della Banca europea per gli investimenti e un allentamento delle regole finanziarie per mobilitare i capitali privati. 

   

Dopo il vertice informale il presidente del Consiglio europeo, António Costa, aveva espressamente chiesto a von der Leyen di presentare nel Libro bianco ulteriori opzioni di finanziamento senza che ci fossero tabù. Francia e Polonia vogliono che la Commissione metta in piedi uno strumento di debito comune analogo al Next Generation Eu per raccogliere prestiti sui mercati per fornire sovvenzioni agli stati membri da destinare alla Difesa. Ma nella bozza non ce n’è traccia. Confrontata a un coro di critiche per la mancanza di ambizione, in un discorso alla Accademia militare di Copenaghen, ieri von der Leyen ha annunciato una serie di nuovi progetti minori o irrealizzabili. Il primo si chiama “Prontezza 2030” e ha come obiettivo di creare una deterrenza europea sufficientemente forte entro quella data. Al di là del titolo, sarà il contenitore dove rientreranno il piano ReArm Europe e lo strumento Sure. Il secondo è la creazione di un “Meccanismo europeo di vendite militari”, che dovrebbe diventare una riserva strategica di armi da cui i governi potrebbero attingere in caso di necessità. Tutti gli acquisti di armi non rientrano nelle competenze della Commissione e sono gelosamente conservati sotto la sovranità degli stati membri. Il terzo è il lancio di una nuova task force per coordinare gli aiuti militari dell’Ue e degli stati membri all’Ucraina. Anche su questo ci sono problemi di competenze: l’iniziativa di von der Leyen sembra un tentativo di accaparrarsi i poteri dell’Alto rappresentante, Kaja Kallas.

   

Lontano da Bruxelles e Copenaghen, nella sua audizione al Senato a Roma, Mario Draghi è stato invece in grado di dare una prospettiva politica, industriale e militare al futuro della Difesa europea nell’èra Trump. Sul piano politico è bastata una frase. “Occorre definire una catena di comando di livello superiore che coordini eserciti eterogenei per lingua, metodi, armamenti e che sia in grado di distaccarsi dalle priorità nazionali operando come sistema della difesa continentale”, ha detto l’ex presidente del Consiglio. Dal punto di vista industriale l’Ue dovrebbe “favorire le sinergie industriali europee concentrando gli sviluppi su piattaforme militari comuni (aerei, navi, mezzi terrestri, satelliti) che consentano l’interoperabilità e riducano la dispersione e le attuali sovrapposizioni nelle produzioni degli stati membri”, ha spiegato Draghi. Sul piano militare, l’evoluzione rapidissima della tecnologia sta travolgendo il concetto di difesa e di guerra, ha avvertito Draghi: “Non solo i droni, ma anche l’intelligenza artificiale, i dati, la guerra elettronica, lo spazio e i satelliti, la silenziosa cyberguerra hanno assunto un ruolo importantissimo dentro e fuori i campi di battaglia”. In altre parole, “la difesa oggi non è più solo armamento ma anche tecnologia digitale”. Secondo Draghi, “occorre dotarsi di una strategia continentale unificata per il cloud, il supercalcolo e l’intelligenza artificiale, la cybersicurezza. Questo sviluppo non può che avvenire su scala europea”. Ci sono implicazioni anche per la definizione di spesa per la Difesa perché “andrà modificata per includere gli investimenti su digitale, spazio e cybersicurezza”. Per queste ragioni è necessario “iniziare un percorso che ci porterà a superare i modelli nazionali e a pensare a livello continentale”. In gioco non c’è solo la sicurezza, “ma anche la presenza dell’Europa tra le grandi potenze”, ha detto Draghi.

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