
Mario Draghi (Ansa)
il piano
Cosa manca per fare un'industria della Difesa più europeista
L'Europa possiede la tecnologia ma non ha ancora organizzato una produzione di massa, fino a oggi affidata agli americani. È fondamentale passare a un regime di normative di "sicurezza europea"
La politica industriale europea è in grande fermento. Martedì Mario Draghi ha esposto a Roma una rinnovata agenda, inglobando Difesa, sicurezza, ma anche la cyber-sicurezza e l’intelligenza artificiale. Molti convergono sull’idea che l’Europa debba dotarsi di uno scudo missilistico e spaziale globale, con funzione deterrente contro potenziali attacchi russi, eventualmente estendibile al territorio ucraino. Si tratta di un comparto che deve garantire protezione attraverso sistemi di osservazione, trasmissione dati, elaborazione e intercettazione, e che rappresenta un ombrello di Difesa politicamente accettabile anche da una parte del pubblico pacifista, poiché ritenuto non offensivo.
Gli europei possiedono la tecnologia (sistema antimissile franco-italiano Samp/T, radar, satelliti, droni), ma non hanno ancora organizzato una produzione in massa, fino a oggi affidata agli americani. Inoltre, l’insieme di questi sistemi di difesa, telecomunicazioni e osservazione rappresenta proprio lo spettro che verrebbe a mancare se gli americani dovessero disimpegnarsi in Ucraina. Esistono logiche industriali interessanti sulle quali è possibile progredire: Mbda, attualmente franco-britannico-italiana per i missili, con impianti in Germania e l’interesse della Spagna; ma anche l’alleanza franco-italiana Leonardo-Thales nello spazio, che potrebbe essere ampliata ad Airbus, mentre è in discussione avanzata il progetto Bromo per una fusione delle capacità europee di produzione satellitare. Ma va anche tenuto conto dell’elettronica della Difesa, con le francesi Thales e Safran, l’italiana Leonardo, la tedesca Hensoldt, l’inglese Bae Systems e la spagnola Indra, che rappresentano un nesso fondamentale per l’insieme di questi sistemi, ma anche per la sicurezza cibernetica che deve essere inclusa nell’approccio. A differenza dello spazio e dei missili, l’elettronica della Difesa rimane piuttosto divisa, malgrado alcune collaborazioni, e potrebbe beneficiare di ulteriori forme di aggregazione.
I governi, che spesso sono azionisti di queste aziende, possono dare una spinta in questa direzione, risolvendo vari punti: la struttura aziendale che consenta di avere il sostegno di ogni stato come se fosse un “campione nazionale”, il che rimane molto importante per il collegamento con l’assetto politico e militare nazionale, ma anche una velocizzazione delle procedure per produrre insieme in modo sinergico. Ciò significa superare le barriere obsolete che frenano il trasferimento di tecnologie all’interno di questi poli già esistenti, unico modo per aumentare realmente la produzione. E’ quindi urgente passare a un regime di normative di “sicurezza europea” che inglobi le sicurezze nazionali da un punto di vista industriale.
E’ poi necessario consolidare la domanda con commesse plurinazionali, che consentano ai produttori di investire, adoperando i meccanismi già messi in atto per i vaccini anti-Covid. Infine, vanno migliorate le condizioni finanziarie per poter investire. La Banca europea di Investimenti si sta muovendo in tal senso, ma il rafforzamento del mercato dei capitali, giustamente auspicato da Draghi, deve contribuire a questo salto di capacità per mobilitare il capitale privato. A livello europeo, esiste già l’European Sky Shield, un progetto di scudo missilistico voluto dai paesi del nord-est dell’Europa. Ma il programma, che non comprende né l’Italia né la Francia, deve essere rivisto e ampliato alla luce della svolta strategica di Trump, anche perché attualmente basato su tecnologie statunitensi (i sistemi Patriot). Il richiamo di Draghi a mettere in atto finanziamenti europei con debito comune (gli Eurobond) traduce una visione lungimirante che deve contribuire a una forte dose di europeizzazione dei programmi, per evitare effetti paradossali e negativi che alcuni riarmamenti nazionali, come quello tedesco, potrebbero avere.
In questa prospettiva, anche mettendo da parte una Commissione che non ha mandato sulle questioni di Difesa, si potrebbe pensare a un sistema intergovernativo per un’architettura tecnologica di protezione e rilevazione elettronica. La roadmap di Draghi per tecnologia, sicurezza e Difesa rappresenta una necessità e un’opportunità, anche in termini di sviluppo tecnologico e di lavoro per le filiere nazionali, ma richiede tavoli di lavoro tra i principali paesi produttori e una spinta alla Commissione Von Der Leyen. Senza dimenticare di associare in qualche modo l’Ucraina, che ormai rappresenta un alleato fondamentale in ambito industriale, con una capacità di accelerazione del ciclo produttivo sotto la pressione del conflitto.