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dicastero "annullato"
Perché non basta un tratto di penna di Trump per cancellare il ministero dell'Istruzione
Nella tagliola del presidente americano finisce un intero dipartimento del governo federale. Serve però un voto a maggioranza qualificata in entrambe le Camere. E la quota di 60 voti al Senato appare irraggiungibile per l’opposizione dei democratici
Dopo tanti ordini esecutivi che miravano a licenziare persone oppure a smontare politiche instaurate dai suoi predecessori, Donald Trump mette nel mirino un pezzo importante del governo federale, firmando un decreto ad hoc per cancellarlo, ma mantenendo i servizi erogati fino a che questi non saranno nuovamente demandati agli stati, alla presenza della segretaria all’Istruzione, Linda McMahon, e di alcuni governatori repubblicani.
Nella tagliola, quindi, finisce un intero dipartimento del governo federale, quello dell’Istruzione. Va detto che stavolta la sua azione è in linea con i desiderata repubblicani sin dalle origini, nel 1979, quando il presidente Jimmy Carter riuscì a ottenere uno dei suoi rari successi in politica interna con l’approvazione congressuale a istituire la nuova agenzia federale, che aveva tra gli obiettivi quello di uniformare i programmi a livello nazionale e di gestire i progetti esistenti di assistenza agli studenti bisognosi. Non solo: la struttura serviva anche per rimuovere ogni residuo di segregazione razziale, che all’epoca sopravviveva ancora in certi istituti privati del sud. Lo stesso Ronald Reagan mise la questione nel suo programma per le presidenziali del 1980, ma poi decise di non procedere perché a sorpresa questo ministero risultò popolare tra i membri del Congresso e non avrebbe avuto il necessario consenso. Col tempo il richiamo all’abolizione sarebbe rimasto uno delle grida di battaglia della destra repubblicana: Newt Gingrich lo inserì nel “Contratto con l’America” delle elezioni di midterm del 1994 e il deputato texano Ron Paul mise la sua cancellazione nel suo progetto di taglio alla spesa pubblica quando scese in campo alle primarie presidenziali del 2012. Nel frattempo, George W. Bush lo usava come strumento per migliorare le performance scolastiche dei giovani scolari, approvando l’ambizioso piano No Child Left Behind nel 2002.
Tornando all’oggi, Trump ha sposato per l’ennesima volta un punto del Project 2025, il complesso vademecum stilato dall’Heritage Foundation lo scorso anno. Però non basta un tratto di penna, come il presidente vuol far credere: il precedente deriva proprio dalla prima incarnazione del dipartimento, creato all’indomani della guerra civile e subito ridotto per l’opposizione degli ex stati schiavisti. Serve un voto a maggioranza qualificata in entrambe le Camere. E la quota di 60 voti al Senato appare irraggiungibile per l’opposizione dei democratici: non solo. Nel 2023 era stato presentato un disegno di legge alla Camera per la cancellazione del dipartimento dell’Istruzione ed era stato bocciato anche per l’opposizione di sessantun deputati repubblicani. In effetti sul tema i sondaggi danno torto al presidente: il 52 per cento dei conservatori ritiene che il governo federale spenda troppo poco in istruzione. Inoltre, se i trumpiani pensano che Washington imponga i programmi “woke” agli stati, in realtà sono già gli stati a scegliere cosa viene insegnato nelle scuole. A essere colpiti sarebbero invece i finanziamenti che ricevono gli stati più poveri per mantenere in piedi un livello minimo di istruzione, anche se in questo l’Amministrazione promette che non ci saranno tagli troppo bruschi.
Il mondo Maga si esalta comunque ma qualche deputato, come già nel 2023, può storcere il naso. Qualora il servizio scolastico di qualche area povera venisse ridotto o cancellato, ne farebbero le spese alle elezioni di midterm. Il vero motivo però per cui il dipartimento sta per essere cancellato riguarda le politiche di inclusione delle minoranze razziali e la tutela della comunità di studenti Lgbtq+: due temi su cui l’estrema destra chiede di darci un taglio per ovvie ragioni. Compiacere una frangia militante però comporta il rischio che si scontentino tutti gli altri: dai moderati che anche restano all’interno del Gop e l’intero Partito democratico, in difficoltà per le divisioni interne, che sul tema può recuperare un’unità d’azione almeno momentanea. In sintesi, il Trump che si atteggia a riformatore iperliberista potrebbe realizzare ben presto come mai quest’idea radicale sia rimasta confinata per anni fuori dal mainstream politico.