Una nuova geografia

Il Canada s'avvicina all'Ue, partendo dai jet militari

Paola Peduzzi

Siamo “il paese più europeo tra quelli fuori dall’Unione europea” ha detto il neopremier canadese Mark Carney durante la sua prima visita all’estero, tra Londra e Parigi, dagli “alleati affidabili”. E' avanzata la discussione per incorporare il Canada nella nuova iniziativa per la difesa dell’Ue

Siamo “il paese più europeo tra quelli fuori dall’Unione europea” ha detto il neopremier canadese Mark Carney durante la sua prima visita all’estero, tra Londra e Parigi, dagli “alleati affidabili”. Probabilmente la sintonia culturale tra Canada ed Europa è tra  le ragioni per cui Donald Trump s’accanisce tanto contro il suo vicino, definendolo il “più odioso” tra i paesi del mondo, ma Carney ha deciso di non offendersi e di non fare inutile vittimismo, ribadisce che il Canada è un paese sovrano e non si farà annettere dagli Stati Uniti e intanto stringe i legami con gli europei. Il New York Times, con l’imprescindibile Matina Stevis-Gridneff, ha pubblicato uno scoop sull’avanzamento delle discussioni per incorporare il Canada nella nuova iniziativa per la difesa dell’Ue. 

 

Due fonti, una in Canada e una nell’Ue, hanno confermato che le due parti stanno discutendo i dettagli (ma non ancora i contratti) di un coinvolgimento del Canada nella produzione militare di sistemi europei come il Saab Gripen, un jet concorrete dell’americano F-35, che è fabbricato dalla Lockheed Martin. Il piano di riarmo europeo vuole privilegiare i prodotti made in Europe, con il 65 per cento delle componenti proveniente da paesi membri o da partner che hanno firmato un accordo specifico. Secondo l’accordo in discussione, il Canada aiuterebbe a fornire il 35 per cento mancante, ma c’è la possibilità che venga ampliato il suo ruolo. In cambio, i canadesi avrebbero un accesso privilegiato al mercato europeo per l’equipaggiamento militare, un’alternativa in questo momento quanto mai allettante agli acquisti dagli Stati Uniti di Trump. Il Canada infatti deve aumentare il suo impegno dentro la Nato, non soltanto perché lo pretende Trump, ma perché ormai è una richiesta che viene dagli stessi alleati, ancor più da quando Elon Musk, portavoce delle iniziative più brutali dell’Amministrazione Trump, non fa che ripetere che gli Stati Uniti devono uscire dall’inutile Alleanza atlantica. Oggi il Canada destina alla Nato l’1,3 per cento del suo pil ma ha già annunciato i piani per arrivare al 2 per cento nel giro di dieci anni (è ancora molto poco). L’industria militare canadese è relativamente piccola e Trump usa la dipendenza dagli Stati Uniti in questo settore come motivazione dell’annessione, ma stando a un’indagine del 2022, la destinazione  principale della produzione canadese – munizioni, carri armati, sistemi di difesa, navi e velivoli – è proprio l’America.

 

Da quando l’accanimento trumpiano sul Canada è diventato tanto esplicito e realistico, molti analisti si sono messi a studiare il potenziale di questo paese, che sembra molto grande soprattutto se si considera che la sua economia è all’ultimo posto tra i paesi del G7 e che le esportazioni verso gli Stati Uniti sono più alte rispetto a quelle interne alle  regioni canadesi. Sul Financial Times, Tej Parikh lo ha descritto così: il Canada è indipendente dal punto di vista energetico, con i più grandi giacimenti mondiali di uranio di alto grado, mentre è il quinto produttore di gas naturale e ha la terza riserva più grande del mondo di petrolio. In più estrae in abbondanza cobalto, grafite, litio e altre terre rare. C’è però un grande problema di produttività e di investimenti, che Carney, ex banchiere centrale sia del suo paese sia del Regno Unito noto per essere molto abile nel gestire i periodi di crisi, ha già pensato come affrontare. E’ un progetto a lungo termine e in mezzo ci saranno le elezioni – devono essere organizzate entro ottobre – che potrebbero scalzare Carney e il suo Liberal Party, così come anche l’integrazione militare con l’Europa guarda molto in avanti nel tempo, ma certo è che ora Trump ha creato un’urgenza che non c’era. Lo ha fatto certamente nei confronti del Canada, ma anche di tutti gli altri alleati occidentali, che stanno cercando di ridisegnare i propri rapporti in modo da non patire troppo il disamore americano. 

 

Non saranno infatti i tentativi di corteggiamento europei a quietare lo stravolgimento voluto da Trump (gli unici antidoti per ora sono i mercati per quel che riguarda i dazi e i giudici americani per quel che riguarda i tagli arbitrari all’amministrazione pubblica e l’immigrazione), ma soltanto la concretezza di piani alternativi e funzionanti. E’ in questo senso che una partnership militare con l’Ue prende un significato rilevante, ancor più se si pensa che anche l’opinione pubblica  sta cambiando molto. Il patriottismo canadese è fatto di bandiere esposte sui balconi e di prodotti americani tolti dagli scaffali, ma ci sono anche alcune rilevazioni che dicono che i canadesi sarebbero pronti a entrare nell’Unione europea (cosa tecnicamente quasi inconcepibile, ma anche la Brexit lo era). Se si pensa che gli inglesi preferiscono avere come interlocutori i francesi (i francesi!) più degli amici speciali americani, appare chiaro che le conseguenze dello choc geopolitico trumpiano sono ampie, e non sono tutte decise, definite, imposte da Trump.

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  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi