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L'editoriale dell'elefantino
La ribellione delle masse e l'uomo medio di Ortega al governo
Trump e un’idea di potere che non conosce più il senso del limite. Le élite che hanno perso peso e il mandato popolare diventato lo strumento di una demagogia smisurata. Rileggere Ortega y Gasset, e pensare anche all’Europa
Penso a Trump numero 2, uno che in due mesi di regno incontrastato può riabilitare gli assalitori del Congresso, una folla golpista elevata al rango di “prigionieri politici”; riabilitare Putin e i suoi progetti di urto blindato con l’Europa, di devastazione dell’Ucraina, e i suoi mezzi al veleno nella lotta contro il dissenso di minoranza; uno che in due mesi può sconvolgere l’economia mondiale perseguendo in forma erratica e bassamente profetica (l’età dell’oro, Make America Great Again) il riequilibrio protezionista della bilancia commerciale, in sé un obiettivo legittimo; uno che in due mesi trasforma la sacrosanta insofferenza per gli automatismi ideologici delle élite woke nella caccia violenta al Deep State cosiddetto, nella sfida spaccona all’establishment europeo e americano, nell’alleanza con le destre impresentabili, lunatiche, intrise di sottocultura völkisch e con punte di radice neonazista, tedesche o britanniche; uno che in due mesi distrugge il mitico rispetto americano per le decisioni dei giudici e per il ruolo insostituibile della stampa indipendente, minacciando la libertà civile e sequestrando per sé, per il suo ego, gli immensi poteri dell’esecutivo in un sistema presidenzialista che nella sua idea di potere non conosce più il senso del limite e della sua divisione, dei controlli costituzionali. Bisogna fidarsi della ragione, dell’istinto, del gusto e perfino di certi amabili pregiudizi nel giudicare le pulsioni di un periodo o di un’epoca che si stenta a capire, che ci allontana da solide certezze e da concetti ben definiti (e lasciamo stare i “valori” di Serra o di Veltroni e di altri celebratori di feticci, come il bollito di successo di Rai 1).
Istinto, ragione personale, gusto, pregiudizi d’accordo. Però i libri, i buoni libri, aiutano a dare un senso compiuto a quanto di astratto, di intellettualistico, di volitivo si cela dietro il nostro rigetto di un fenomeno che sta avvolgendo il mondo in quella che ci sembra una cappa di irrazionalismo politico, di pericoloso vitalismo senza regole e criteri. Ogni volta che accendo la Cnn o la Fox o la Bbc o leggo un giornale pro o contro il trumpismo, ogni volta che esamino i fatti che si squadernano davanti ai miei occhi, raccontati con furia fanatica e faziosa o con cura analitica dalle diverse testate, estraggo da quel che vedo due giudizi.
Le élite hanno perso peso, prestigio, legittimazione e sono diventate la caricatura di sé stesse, vivono in un mondo separato dalla vita del corpo grosso del popolo, un mondo irreale di “valori” senza basi nel consenso democratico e nella volontà popolare come si esprime nei numeri e nella funzione dell’uomo medio, del cittadino comune, della sua mentalità; il mandato popolare, dall’altra parte, è una fonte di legittimità senza la quale la democrazia non esiste proprio, ma è diventato lo strumento di una demagogia smisurata, che distrugge la divisione dei poteri, la trama liberale essenziale a una democrazia effettiva che non può vivere dell’esclusivismo volatile, imprevedibile, incendiario del capo e di un mandato imperativo della maggioranza elettorale, brandito come una clava e impiegato distruttivamente a erodere le fondamenta di un sistema costituzionale di pesi e contrappesi.
Bene. “La rebelión de las masas” del filosofo spagnolo José Ortega y Gasset è stato pubblicato (erano articoli scritti a partire dal 1927) nel 1930. Sette anni dopo l’avvento del fascismo italiano, tre anni prima della Machtergreifung hitleriana, nel pieno della crisi delle democrazie europee, dalla Repubblica di Weimar alla Terza Repubblica francese, non escluse le tensioni della democrazia britannica, per non parlare di quel che stava per succedere in Spagna con la guerra civile. Un vecchio saggio storico eccellente, ma proprio eccellente, di Maurizio Serra, dedicato agli anni Trenta europei e in particolare al fenomeno ideologico artistico e politico degli “esteti armati”, mi ha riproposto con estrema vividezza la diagnosi di Ortega sull’Europa delle democrazie in crisi, che sembra l’archetipo storico di quanto sta accadendo in America con Trump e il movimento Maga al potere, e che si prolunga tendenzialmente in fenomeni paralleli o convergenti, per adesso ancora minoritari, sul nostro suolo europeo. Ortega era contro il bolscevismo e il fascismo, che considerava primitivi e barbari. Era spaventato da quel senso smarrito della storia e del suo significato umanistico circolante nell’Europa di quel tempo, il ricatto della gioventù, come lo chiamava (giovinezza, giovinezza, primavera di bellezza), il divorzio tra cultura e vita. Ma percepiva l’impossibilità di una mera difesa statica, rigida, dell’impianto liberale della vecchia Europa che gli anni Trenta rischiarono di spazzare via (e per questo, in tempi successivi di dogmatismo liberal, fu considerato a torto un pensatore reazionario tout court). Scrive Maurizio Serra (pagina 37 dell’edizione francese) che secondo Ortega niente sarebbe stato possibile fare di buono e di efficace contro la dissoluzione democratica “se la rifondazione delle élite non fosse stata accompagnata da un modello di aggregazione delle masse (che erano, ndr) il fenomeno sociale più importante del XX secolo. La sola possibilità di sopravvivenza della cultura umanista passava per il dialogo con le masse, allontanate dalle sollecitazioni dei nuovi miti”.
Ortega partiva da questo presupposto, fissato nel suo libro sulla ribellione delle masse: “Il nuovo fatto sociale che analizziamo qui è il seguente: la storia europea sembra, per la prima volta, lasciata alle decisioni dell’uomo volgare in quanto ‘uomo volgare’; o, se si vuole: l’uomo medio, che una volta era governato, ha deciso di governare il mondo. (…) Dubito che in altre epoche della storia la massa sia pervenuta al potere di governo così direttamente come avviene ai nostri giorni. E’ la ragione per cui posso parlare di una iperdemocrazia”.
L’uomo medio o volgare al governo di cui parla Ortega nell’Europa del 1930 è, fatte le debite e immense differenze, differenze secolari e bla bla bla, l’antenato dei “deplorables”, l’infelice formula sprezzante usata da Hillary Clinton, superelitista sconfitta dal primo Trump, per definire il movimento Maga che ora è dilagato e col secondo Trump si sente finalmente rappresentato a pieno dai suoi eroi antisistema tra cui un Elon Musk, che con la sua pazzesca avventura psico-tecnologico-politica è un discendente forse degli esteti armati degli anni Trenta europei, più interessante e originale, ma non meno pericoloso, degli inestetici armati della manosphere (i movimenti neomaschilisti), o dei No vax ora al potere, o dei cospirazionisti del dark web usciti allo scoperto con i loro incubi. Insomma, consiglio di leggere il vecchio libro di Serra, e quello di Ortega, di ripubblicarli. Con l’obiettivo di fissare, sulla base di una ormai antica ma presentissima diagnosi sulla crisi delle democrazie di fronte ai movimenti populisti di rivolta delle masse, che sono il nostro problema in America e in Europa, un nuovo piano di riflessione: invece di continuare a lamentarci della crisi delle élite e della loro scarsa dinamica politica e culturale e morale, e invece di lamentarci dei deplorables, che oggi sono i nuovi padroni e il fonte battesimale di legittimazione della democrazia o iperdemocrazia del mandato elettorale, cerchiamo di trovare il modo di rifondare la cultura delle élite e di varare nuovi modelli di aggregazione delle masse, che siano compatibili con l’assetto liberale della democrazia politica.
Scriveva ancora Ortega, citato da Serra: “L’Europa non si rimetterà in sesto se il suo destino non sarà affidato alle mani di gente davvero ‘contemporanea’ che senta palpitare sotto di sé tutto il sottosuolo storico, che conosca l’altezza presente della vita e rigetti ogni gesto arcaico e barbaro”.


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Dalla Francia