(Ansa)

Dalla Francia

Il giorno del giudizio su Marine Le Pen

Mauro Zanon

La sentenza attesa per il 31 marzo potrebbe segnare la morte politica della leader del Rassemblement national. Le accuse di persecuzione politica e le mosse di Jordan Bardella, il delfino di Marine e presidente della formazione sovranista dal 2022

Il prossimo 31 marzo, il Tribunale correzionale di Parigi non deciderà soltanto se la madrina del sovranismo francese, Marine Le Pen, potrà presentarsi o meno alle elezioni presidenziali del 2027, a causa del processo per “appropriazione indebita” di fondi del Parlamento europeo nel periodo 2004-2016 che la vede coinvolta assieme ad altri ventiquattro membri dell’allora Front national (oggi Rassemblement national). La sentenza dei giudici potrebbe segnare anche la fine di una saga, quella dei Le Pen, protagonisti della politica francese degli ultimi cinquant’anni. Se confermata, la condanna richiesta dalla procura a cinque anni di carcere e all’ineleggibilità con “esecuzione provvisoria”, ossia con applicazione immediata anche in caso di ricorso, sancirebbe de facto la morte politica di Marine, a soli tre mesi dalla scomparsa del padre e fondatore del Front national, Jean-Marie Le Pen


“La mia sopravvivenza politica, ovviamente, dipenderà dall’esecuzione o meno di questa condanna alla morte politica”, fu lo sfogo di Marine Le Pen lo scorso novembre in un’intervista su Tf1, dopo la richiesta della procura. Presentandosi come vittima di una persecuzione orchestrata dai socialisti, volta a estrometterla per vie giudiziarie dall’arena politica, Le Pen aggiunse che un’eventuale condanna impedirebbe a milioni di francesi di “votare per chi desiderano”. “Credo sia stato l’obiettivo fin dall’inizio di questa operazione, che è stata lanciata da un socialista, Martin Schulz, all’epoca presidente del Parlamento europeo, in accordo con la socialista Christiane Taubira, all’epoca ministro della Giustizia francese”, è la convinzione di Le Pen, secondo cui l’accusa è “oltraggiosa” e “sproporzionata rispetto a qualsiasi altra accusa dello stesso tipo”. Tutto inizia il 20 gennaio 2014, quando l’Ufficio europeo per la lotta antifrode (Olaf) riceve una segnalazione anonima su una “possibile frode”. La mail sollecita l’attenzione dell’Olaf su “presunti impieghi fittizi” all’interno del Front national, il principale partito sovranista francese. L’organismo europeo antifrode decide dunque di aprire un’indagine amministrativa, esaminando le attività di due persone vicine a Marine Le Pen, all’epoca eurodeputata: Catherine Griset, la sua capa di gabinetto, e Thierry Légier, la sua guardia del corpo, entrambi presentati anche come suoi assistenti parlamentari. Dall’indagine, emerge che Griset, oggi europarlamentare, “ha trascorso solo 740 minuti, ovvero circa dodici ore” al Parlamento europeo, nonostante fosse accreditata come assistente all’Europarlamento tra ottobre 2014 e agosto 2015. Il rapporto dell’Olaf sottolinea che anche l’impiego di Légier è “fittizio”


Nel marzo del 2015, l’affaire si ingigantisce. L’allora presidente del Parlamento europeo, il socialista tedesco Martin Schulz, segnala all’Olaf possibili irregolarità nei versamenti di denaro sui conti corrente di alcuni assistenti parlamentari dell’allora Fn. Schulz informa anche il ministero della Giustizia francese, guidato da Christiane Taubira, dopo aver notato che nell’organigramma Fn figuravano anche venti assistenti parlamentari, alcuni dei quali occupano posti di primo piano accanto a Marine Le Pen e al padre Jean-Marie. La magistratura francese, sollecitata dal presidente dell’Europarlamento, apre a sua volta un’indagine preliminare per appropriazione indebita, perché i fatti segnalati potrebbero equivalere a un finanziamento illecito del partito. L’indagine, affidata all’Office central de lutte contre la corruption et les infractions financières et fiscales (Oclciff), dura cinque anni. Durante i quali gli investigatori raccolgono prove e documenti altamente compromettenti, come una lettera dell’ex tesoriere del partito, Wallerand de Saint-Just, a Marine Le Pen, datata 16 giugno 2014. Inquieto per le spese “difficili da controllare”, legate ai “ricevimenti”, ai “viaggi” e ai “congressi-manifestazioni”, l’allora tesoriere di Fn scrive queste parole alla candidata all’Eliseo della destra sovranista francese: “Mia cara Marine, ecco i conti del 2013 e una presentazione da me curata un po’ differente. Nel 2013, le spese mensili sono state superiori di 100 mila euro rispetto al previsto (…). Negli anni a venire, riusciremo ad andare avanti solo realizzando dei grandi risparmi grazie al Parlamento europeo e ottenendo dei rimborsi supplementari”. Oltre all’allarme di Wallerand de Saint-Just sui conti in disordine dell’allora Front national, figurano altri documenti legati alle finanze del partito, dove vengono menzionate esplicitamente le espressioni “risparmi grazie ai deputati europei” e “risparmi con le elezioni europee”. Nel 2021, il Journal du dimanche, riportando le conclusioni dell’inchiesta dell’Oclciff, ha indicato che dal 2014 Le Pen sarebbe stata “l’istigatrice e la beneficiaria di un sistema fraudolento di distrazione di fondi europei a suo profitto, attraverso falsi impieghi di assistenti parlamentari”. La sua guardia del corpo, Thierry Légier, reclutato come assistente parlamentare, era pagato novemila euro al mese netti, per 85 ore mensili, secondo il rapporto dell’Oclciff. “Il Jdd, organo ufficiale del potere macronista, tira fuori lo stesso sempiterno affaire degli assistenti parlamentari, come a ogni elezione. Niente di nuovo sotto il sole, tranne, forse, dei buoni sondaggi in vista?”, twittò la leader sovranista, secondo cui dietro l’articolo del Jdd c’era la mano del presidente della Repubblica, Emmanuel Macron, preoccupato dalla crescente popolarità di Marine all’orizzonte delle presidenziali del 2022


Nel dicembre 2023, al termine di un’indagine durata nove anni, i giudici istruttori francesi hanno chiesto il rinvio a giudizio per Marine Le Pen, il suo partito e altri ventisei funzionari e dipendenti frontisti. Gli assistenti parlamentari “non sono semplici funzionari del Parlamento europeo, ma hanno un ruolo tecnico e politico. Hanno il pieno diritto, inoltre, di impegnarsi in attività militanti”, si difese il partito sovranista francese. Lo scorso novembre, dopo la requisitoria del procuratore, la capogruppo dei deputati Rn disse che “l’unica cosa che interessava all’accusa era Marine Le Pen, per poter chiedere la sua esclusione dalla vita politica (…) e poi il Rassemblement national, per poter rovinare il partito”

Jordan Bardella, il delfino di Marine e presidente della formazione sovranista dall’autunno del 2022, ha accusato la procura di non agire secondo giustizia, ma in un’ottica di “vendetta”. “Le sue scandalose richieste mirano a privare milioni di persone del loro voto nel 2027. E’ un attacco alla democrazia”, tuonò Bardella. Fedele, per ora, a colei che gli ha permesso di entrare in politica e formarsi, Bardella esclude l’ipotesi di candidarsi all’Eliseo tra due anni in caso di condanna all’ineleggibilità della sua mentore. “Non mi proietto in questa ipotesi”, ha detto la scorsa settimana a Lci. Ma nell’entourage di Le Pen, Bardella è sorvegliato da vicino. Non sono passate inosservate, infatti, le sue recenti prese di posizione sull’economia e sull’Ucraina, i suoi messaggi pro business ai grandi patron francesi, e i suoi ripetuti clin d’oeil ai Républicains, il partito gollista, nell’ottica di “unione delle destre”. Più liberale sulle questioni economiche, più inflessibile nel denunciare la minaccia russa in Europa, più coerente nel sostegno all’Ucraina, più orientato a destra rispetto a Marine, Bardella “coltiva il proprio giardino”, ha scritto Mediapart in un articolo che racconta i malumori dei luogotenenti marinisti dinanzi alla strategia bardelliana. L’autobiografia uscita in autunno, “Ce que je cherche”, è stata vista inoltre come la classica operazione di marketing di uno che si vuole candidare alle presidenziali, e non fra cinque o dieci anni, ma subito. E anche il suo nuovo look, secondo molti osservatori, va in questo senso: occhiali e barba incolta da politico vissuto per far dimenticare la sua immagine di candidato TikTok, quello che ha preso uno schiaffo elettorale alle legislative del 2024, dopo lo scioglimento dell’Assemblea nazionale deciso da Macron. Intanto, forse per mascherare le vertigini del big bang che potrebbe rappresentare l’esclusione della tre volte candidata alle presidenziali dalla corsa per l’Eliseo, cerca di autoconvincersi: “Marine Le Pen non sarà ineleggibile. Questa ipotesi è completamente folle”. “Non credo si possa eliminare dalla corsa per le prossime elezioni una persona che è già stata candidata alle presidenziali per tre volte, e che oggi è data al secondo turno, a causa di un disaccordo amministrativo sul lavoro degli assistenti parlamentari europei”, ha insistito Bardella, correndo il rischio di essere smentito dal Tribunale correzionale di Parigi tra una settimana. 


Su Europe 1, pochi giorni fa, Marine si è espressa in questi termini sul verdetto del 31 marzo: “Se mi viene vietato di candidarmi con l’esecuzione provvisoria, cioè con l’impossibilità che il mio appello possa avere una qualche influenza sulla decisione che è stata presa, si tratterebbe indubbiamente di una decisione profondamente anti democratica, poiché priverebbe il popolo francese di scegliere potenzialmente il suo futuro presidente della Repubblica”. Sembra di sentire François Fillon, vecchia gloria del gollismo ed ex primo ministro di Nicolas Sarkozy, che nel 2017 fu travolto dal “Penelope Gate” scoperchiato dal Canard enchaîné quando tutti i sondaggi lo davano favorito per l’Eliseo, e parlò di persecuzione giudiziaria nei propri confronti. Anche in quel caso si trattò di “emplois fictifs”: l’esponente gollista aveva dato alla moglie Penelope Kathryn un posto di lavoro fittizio come propria assistente parlamentare e come consulente di un giornale di proprietà di un suo amico, la Revue des deux mondes, incarichi grazie ai quali Madame Fillon avrebbe percepito tra il 1998 e il 2013 900mila euro senza lavorare. Nell’aprile del 2024, per il “Penelope Gate”, la Corta di cassazione francese ha condannato in via definitiva Fillon a quattro anni di carcere, di cui tre con sospensione della pena, per “appropriazione indebita”. Attraverso il suo avvocato, l’ex candidato alle presidenziali denunciò “la violazione, da parte della giustizia francese, dei princìpi di indipendenza e di imparzialità”, annunciando un ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo. La stessa operazione condotta da colui che lo chiamava Mr. Nothing, il suo superiore, Nicolas Sarkozy, capo dello stato dal 2007 al 2012. 


Lo scorso dicembre, la Corte di cassazione ha respinto il ricorso di Sarkò per il cosiddetto “affaire des écoutes”, lo scandalo delle intercettazioni che lo perseguita dal 2014, ossia da quando la giustizia ha scoperto la sua linea telefonica segreta, a nome di Paul Bismuth, e la promessa di un incarico prestigioso a un magistrato in cambio di informazioni coperte dal segreto istruttorio sul dossier Bettencourt. La condanna a tre anni di reclusione, di cui uno col braccialetto elettronico, per corruzione e traffico di influenze è diventata dunque definitiva. “Nelle prossime settimane si rivolgerà alla Corte europea dei diritti dell’uomo per ottenere il rispetto dei diritti che i giudici francesi gli hanno negato”, commentò subito dopo la sentenza l’avvocato di Sarkozy, Patrice Spinosi, prima di aggiungere: “Per la prima volta in Francia, una persona è stata condannata penalmente solo sulla base di osservazioni ascoltate per caso mentre parlava con il suo avvocato”. Nel caso di Marine Le Pen e dell’affaire degli assistenti non ci sono solo “osservazioni”, ma documenti e email private che scottano e lasciano immaginare l’esistenza di quello che i giudici hanno definito un “sistema organizzato” volto a fare del Parlamento europeo la “vacca da mungere” del Rassemblement national.  La figlia di Jean-Marie Le Pen si dice comunque “estremamente serena” in attesa della sentenza, “perché sono una combattente e ho imparato fin da piccola che la battaglia legale ai propri danni è parte integrante della battaglia politica”.

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