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Cosa non torna nell'accordo per fermare gli attacchi nel Mar Nero

Micol Flammini

A Riad ucraini e russi si accordano per garantire la sicurezza nel Mar Nero, dove l'esercito russo ha subìto un grosso colpo. Ancora una volta è l'Ucraina a dimostrare buona volontà al tavolo dei negoziati, mentre Mosca fa i suoi interessi. La trappola sulle sanzioni Ue

Dopo i colloqui a Riad, domenica tra americani e ucraini e lunedì tra americani e russi, non c’è stato un comunicato congiunto. Ieri la Casa Bianca ha pubblicato due note separate, una per annunciare i risultati degli accordi con Kyiv e l’altra per quelli con Mosca. I due comunicati sono uguali, informano di un possibile accordo sulla sicurezza nel Mar Nero, differiscono soltanto sul secondo punto: con Kyiv, Washington si impegna a sostenere il rilascio dei bambini detenuti e deportati (un crimine commesso dall’esercito russo nelle zone occupate); con Mosca invece Washington sostiene il ritorno dei prodotti agricoli russi e dei fertilizzanti nel mercato mondiale, l’abbassamento delle assicurazioni marittime, l’accesso ai porti (è un pressione contro le sanzioni imposte dall’Ue). I punti in tutto sono cinque e vale la pena soffermarsi sul primo: “Gli Stati Uniti hanno concordato (con Ucraina e Russia) di garantire una navigazione sicura, di eliminare l’uso della forza e di prevenire l’uso di navi commerciali per scopi militari nel Mar Nero”

      
La situazione nel mare chiuso che la Russia condivide con l’Ucraina e anche con la Georgia, la Turchia, la Bulgaria e la Romania è cambiata molto nell’ultimo anno. Kyiv pur non avendo una flotta è riuscita a distruggere gran parte delle navi da guerra russe, ristabilendo la navigazione e il trasporto del grano vitale per l’economia ucraina. Mosca ha dovuto allontanare la flotta, portandola via anche dalla Crimea occupata e cercando di metterla al sicuro nei porti russi, dove comunque sono riusciti ad arrivare i droni marini di Kyiv. Il ministro della Difesa, Rustem Umerov, che guidava la delegazione ucraina a Riad, ha detto che se Mosca spingerà le sue navi da guerra oltre la parte orientale del Mar Nero, lo spostamento costituirà una violazione dell’impegno. In mare  l’Ucraina aveva già vinto e invece la Russia ha subìto una fortissima disfatta e ha iniziato a cercare dove mettere al sicuro la sua flotta, prendendo in considerazione l’idea della costruzione di una base in Abcasia, una delle regioni occupate della Georgia. I russi avevano tutto l’interesse a caldeggiare un accordo sul Mar Nero, dopo aver stracciato le intese che avevano garantito per un anno – da luglio 2022 a luglio 2023 – la navigazione dei mercantili carichi di grano che partivano dai porti ucraini e non soltanto. La Russia si era ritirata da quell’accordo pretendendo un’intesa che agevolasse i suoi prodotti agricoli e il commercio dei fertilizzanti, convinta di poter usare come minaccia contro Kyiv la  presenza delle navi militari. L’Ucraina invece è riuscita a respingere la flotta, ad affondare le poderose imbarcazioni  che prima erano visibili anche dalla costa. Il Cremlino voleva legare l’accordo sul cessate il fuoco  a un tema che lo interessava molto, cercando di non mostrare che era proprio un suo punto di debolezza. Washington  si impegna  a premere per la riammissione dei prodotti russi nei mercati globali, può fare pressione, ma le sanzioni che dovranno essere tolte sono quelle europee. 

  
Mosca ha ottenuto l’accordo sul Mar Nero prima di garantire la sicurezza delle centrali elettriche a cui è dedicato il terzo punto dell’intesa: “Gli Stati Uniti (Ucraina e Russia) concordano di sviluppare misure per completare l’accordo che vieta bombardamenti sulle centrali elettriche”. Per ora i lanci di missili e di droni con cui Mosca continua a tormentare l’Ucraina andranno avanti. Il quarto punto è dedicato all’impegno dei paesi terzi per sostenere gli accordi. Il quinto è un impegno vago per una pace duratura. 

  
Ancora una volta è Kyiv a dimostrare la buona volontà al tavolo dei negoziati, acconsentendo a un cessate il fuoco che aveva già imposto riuscendo nell’impresa di scacciare la minaccia della flotta russa. Finora, l’impegno di Mosca per la pace è ancora tutto nella testa di Donald Trump.

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  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Nel Foglio cura la rubrica EuPorn, un romanzo a puntate sull'Unione europea, scritto su carta e "a voce". E' autrice del podcast "Diventare Zelensky". In libreria con "La cortina di vetro" (Mondadori)