i negoziati

Stati Uniti e Russia parlano a Riad per più di dieci ore

Micol Flammini

A negoziare il cessate il fuoco in Ucraina, il Cremlino ha mandato un senatore e una spia fallita e mostra due facce: a Trump fa vedere il negoziato, a Kyiv i missili dell'attacco a Sumy

 “Ci vuole un bel cinismo quando si dichiara la volontà di avere negoziati di pace o per un cessate il fuoco e allo stesso tempo si bombardano le infrastrutture civili (…) E’ parecchio difficile trattare con una parte del genere”. Questa frase è del presidente della Repubblica ceca Petr Pavel. Si trovava in Ucraina la scorsa settimana proprio nel giorno in cui Donald Trump aveva parlato al telefono con Vladimir Putin di un possibile cessate il fuoco tra Mosca e Kyiv. Dopo la telefonata, definita dal presidente americano “promettente”, l’esercito russo aveva sferrato un attacco molto vasto contro la maggior parte del territorio dell’Ucraina. 

Pavel rimase molto colpito dai messaggi tanto diversi che Mosca stava mandando. Ieri, mentre una piccola delegazione russa era a Riad, in Arabia Saudita, per un nuovo incontro con i funzionari americani e per parlare di una tregua, energia e sicurezza nel Mar Nero, i missili russi hanno colpito una zona residenziale della città di Sumy. Le uniche vittime sono civili. Finora, ogni volta che Mosca si è mossa sul campo diplomatico, ha fatto corrispondere le parole con un incremento degli attacchi. Era accaduto anche a febbraio, quando a incontrarsi sempre in Arabia Saudita erano state due delegazioni di alto livello di americani e russi, che si riunirono per parlare della guerra contro l’Ucraina ma anche della normalizzazione dei rapporti tra Stati Uniti e Russia. 

 

Ieri a Riad Mosca ha mandato a incontrare gli americani due vecchie conoscenze dei negoziati sull’Ucraina: Grigori Karasin e Sergei Beseda. Karasin è un senatore, è stato ex viceministro degli Esteri, incaricato di occuparsi del rapporto con Kyiv e degli Accordi di Minsk, le due  intese che vennero concluse per fermare il conflitto nella parte orientale dell’Ucraina dopo il 2014 e che vennero puntualmente disattese. Mosca non si aspettava nulla di diverso, aspettava di congelare la situazione nella zona del Donbas mentre preparava la grande invasione del 2022, quindi il compito di Karasin non era stato quello di lavorare su un’intesa funzionante, quanto quello di mettere sul tavolo delle opzioni e delle richieste per mostrarsi dialogante senza voler davvero risolvere la situazione. Beseda invece è il consigliere di Alexander Bortnikov, il capo dell’Fsb, ed è stato il dirigente del Quinto servizio, il dipartimento creato per raccogliere informazioni utili ai servizi segreti federali sui paesi che sono stati parte dell’Unione sovietica. Beseda è stato quindi la spia che negli anni prima dell’invasione ha accumulato il materiale sull’Ucraina che per il Cremlino e l’esercito fu cruciale per capire come procedere all’attacco. Si rivelò un pessimo lavoro: l’idea di poter arrivare fino a Kyiv contando su una buona accoglienza da parte degli ucraini e di liberarsi con facilità di Zelensky furono decisioni elaborate anche sulla base delle informazioni di Beseda che, per il suo fallimento, secondo i giornalisti investigativi Andrei Soldatov e Irina Borogan, era stato messo agli arresti domiciliari. Karasin e Beseda sono quindi i rappresentanti del progetto che Mosca porta avanti da tempo: negoziare e continuare la guerra, facendo vedere agli Stati Uniti che il Cremlino è pronto ad ascoltare le richieste del presidente americano Donald Trump e all’Ucraina che non ha diritto di sentirsi al sicuro. Il senatore Karasin è stato l’esponente di un negoziato mai concluso, mentre Beseda di un lavoro che non aveva nessun altro obiettivo se non quello di arrivare all’aggressione di tutto il territorio dell’Ucraina. Nonostante i fallimenti, Vladimir Putin raramente cambia i componenti della sua squadra: mantenerli ha un doppio valore. Il primo è la fiducia e il secondo è il messaggio esterno e anche quando è insoddisfatto del lavoro di un suo funzionario preferisce dargli un altro incarico piuttosto che eliminarlo dalla sua cerchia del potere – come è accaduto all’ex ministro della Difesa Sergei Shoigu passato al Consiglio di sicurezza – a meno che non si tratti di un tradimento plateale – come accaduto a Evgeni Prigozhin, capo della Wagner ucciso dopo aver portato le sue milizie mercenarie a marciare verso Mosca. Putin ci tiene a far vedere che la sua è una squadra vincente che non ha bisogno di essere cambiata anche perché pensa di aver ottenuto uno dei risultati più importanti: Donald Trump si fida di lui e lo hanno dimostrato anche i complimenti elargiti al capo del Cremlino dall’amico e inviato speciale del presidente americano, Steve Witkoff. 
Il presidente americano ha detto che a Riad si è parlato di confini, della proprietà della centrale nucleare di Enerhodar, che si trova nella parte occupata della regione di Zaporizhzhia e ha assicurato che presto verrà concluso l’accordo tra gli Stati Uniti e l’Ucraina sulle terre rare. I colloqui sono andati avanti per dieci ore, non è stato firmato nulla. E’ stata la prima volta, dall’inizio dell’invasione, che gli americani, dalle stanze dell’hotel Ritz-Carlton di Riad, hanno abbozzato un metodo negoziale fatto di comunicazioni indirette fra ucraini e russi. 

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  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Nel Foglio cura la rubrica EuPorn, un romanzo a puntate sull'Unione europea, scritto su carta e "a voce". E' autrice del podcast "Diventare Zelensky". In libreria con "La cortina di vetro" (Mondadori)