Donald Trump (foto Ap, via LaPresse)

L'editoriale dell'elefantino

Con Trump non tutto è perduto

Giuliano Ferrara

La chiave di volta in questa situazione in cui gli esportatori canonici di democrazia si concentrano su dazi e gite in Groenlandia resta l’Europa politica. E la chiave della chiave è, ancora una volta, l’Italia

Strana età dell’oro. Trump risulta al Wall Street Journal come il miglior amico dei liberal canadesi, perché la sua politica di sfacciata irrisione del vicino ha indebolito gli avversari del partito che fu di Justin Trudeau e ora è di Mark Carney. Trump risulta un amico delle borse europee e un nemico di quella americana, qui bene lì male. La Golden Age si accompagna per ora a un rialzo dell’oro e a una flessione del dollaro come ancoraggio internazionale. I capitali e gli investimenti invece di affluire da lui, negli Stati Uniti, decidono di emigrare. Sui dazi c’è qualche esitazione di cui il commercio internazionale si rallegra, e per adesso l’intimidazione, primo stadio teorizzato dell’art of the deal, funziona e non funziona. Inglesi, francesi e tedeschi non hanno una sola voce e vengono da un’epoca di mutismo e stonature in materia di sicurezza e budget per la Difesa, ma cominciano a cantare una canzone europeista, non proprio all’unisono ma quasi in coro (anche nucleare). Putin e i suoi diplomatici, per non parlare dei generali, danno l’impressione di giocare con i tempi del gatto quando stuzzica il topo, e il topo è arancione. Gli houthi si abbonano all’Atlantic per sapere che cosa dovrà capitargli dal cielo, la trasparenza rivendicata dall’Amministrazione americana, come dice ancora il Wsj, supera e non supera la prova della chat aperta sull’app Signal. J. D. Vance non capisce perché si debbano tutelare le linee marittime a vantaggio sopra tutto delle flotte mercantili europee: dagli Appalachi, passando anche per Harvard, certe cose elementari non si afferrano. Gli alleati europei dell’età dell’oro, le destre populiste eccitate, si agitano e borbottano, ma quelli che contano, i decisori, vanno per la loro strada, almeno per ora, mentre i mediatori o la mediatrice si trovano parecchio in difficoltà, Trump e i suoi si rivelano poco balsamici per chi sta in mezzo al guado. Israele incassa tutto, ma poi investe nei suoi progetti di Difesa esistenziale in medio oriente con un certo grado di autonomia. Questo per i cento giorni il cui compimento si avvicina. Per il futuro si vedrà. Si dovrà presto capire se, oltre alla legge, che dovrebbe essere un limite per chiunque, e oltre ai media, che non dovrebbero lasciarsi imbragare dalle provocazioni, da qualche parte a Washington e altrove nascerà un’opposizione istituzionale decente e udibile e visibile, dopo la fase tattica dell’insetto morto.

 

Non tutto è perduto, si direbbe, in questa strana situazione in cui gli esportatori canonici di democrazia si concentrano sulle tariffe all’importazione delle merci e altre esazioni presunte al limite dell’estorsione, e perdono tempo in gite appresso alle gare dei cani da slitta in Groenlandia. La chiave di tutto è l’Europa politica, il sogno di Ventotene emendato dagli anacronismi se proprio vogliamo, e la chiave della chiave è ancora una volta l’Italia, il suo governo, le sue istituzioni coesive (Mattarella), i suoi imprenditori, il suo sistema politico complicato, insieme statico e febbrile. Fu in particolare qui che dopo la prima Jalta si concentrò la battaglia del contenimento verso l’Unione sovietica e il suo impero, fummo noi il confine politico decisivo, il paese del 18 aprile 1948 e della scelta atlantica. (segue a pagina quattro)
E’ ancora qui, ora che l’Europa politica offre qualche non così fragile cenno di risveglio a difesa dei suoi confini usciti dalla Guerra fredda, e dalla libertà orientale riconquistata, che si gioca la partita la cui posta è la rottura dell’accerchiamento, la Jalta-due a parti rovesciate, con Trump ospite ideale sulla Piazza Rossa per la parata del 9 maggio, al fianco del gatto.

   

Uno che il gatto lo conosce bene, Evgeny Savostianov, ha spiegato alla perfezione a Marco Imarisio, nel Corriere, che Putin non cerca una riabilitazione di facciata, vuole molto di più e si aspetta, perfino con qualche elemento di incredulità, che il negoziato tra potenze ex rivali, alle spalle e contro gli interessi europei, nuovi avversari della Casa Bianca e del Cremlino, glielo fornisca, quel di più. La disputa salviniana intorno alla politica estera e di difesa italiana ovviamente non è seria, ma il suo oggetto è grave. Se questo concettino politico, meno friabile dei valori di piazza, lo capisse anche l’opposizione di sinistra del Pd, chissà, l’Italia tornerebbe a un vero ruolo di leadership.

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  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.