La firma del vicepresidente

L'ossessione di Vance per gli europei-parassiti

Paola Peduzzi

Perché un vicepresidente americano deve darsi come obiettivo quello di spezzare la relazione transatlantica

Ventiquattro ore dopo lo spettacolare articolo del direttore dell’Atlantic, Jeffrey Goldberg, che è stato erroneamente inserito in una chat su Signal in cui il governo americano discuteva l’attacco (che poi c’è stato) contro gli houthi in Yemen  e ha raccontato lo scambio di messaggi (con la cautela di uno dei giornalisti più esperti in temi di sicurezza nazionale), i partecipanti alla chat cercano di negare il danno, con una curiosa argomentazione: non c’erano informazioni riservate. Intanto Donald Trump, che alla prima richiesta di spiegazioni, lunedì, ha detto che non ne sapeva nulla e comunque l’Atlantic chiuderà a breve, ora scarica la responsabilità sugli assistenti che hanno fatto l’errore. Mike Waltz, il consigliere per la Sicurezza nazionale, “ha imparato la lezione”, ha detto il presidente. Poi Trump ha aggiunto che è stato uno dello staff di Waltz a invitare per sbaglio Goldberg.

Non è successo niente, insomma, i trumpiani sono maestri nel non ammettere gli errori (anche se il Consiglio per la sicurezza nazionale lo ha fatto) e nel vendersi come vittime, e di questo incredibile scambio su una app commerciale, con i messaggi che scompaiono dopo una o tre settimane, e le emoji a commentare le bombe americane sullo Yemen in perfetto stile muskiano, resterà soltanto l’ossessione per l’Europa. Il portavoce è sempre lo stesso, il vicepresidente J. D. Vance, che contesta la decisione di colpire gli houthi, sostenendo che forse al presidente Trump non è stato spiegato bene che di questa operazione se ne avvantaggerebbero soprattutto gli europei. Gli altri partecipanti della chat, a partire dallo stesso Waltz ma anche il capo del Pentagono, Peter Hegseth, rispondono che la libertà di navigazione è un interesse nazionale anche per l’America e che questa operazione  serve a ristabilire il principio di deterrenza “affondato da Biden” –  e poi Trump ha deciso, dobbiamo eseguire.
 

Vance insiste: stiamo commettendo un errore, attraverso il canale di Suez – la cui navigabilità è dal 7 ottobre compromessa dagli attacchi degli houthi – passa il 3 per cento del commercio americano, una percentuale minima, mentre per l’Europa è tutto diverso, lì ci passa il 40 per cento del commercio europeo, è una via vitale, davvero vogliamo liberarla a spese nostre? Gli americani non capiranno questa decisione, prendiamoci del tempo per spiegarla bene, continua il vicepresidente, in questo suo comizio antieuropeo via Signal con cui gli altri partecipanti (tranne l’incredulo Goldberg) sono d’accordo, ma non hanno alcuna intenzione di contraddire Trump, per di più che farsi vedere forti, in quella regione, conviene. Hegseth concede a Vance che l’abilità europea di scroccare aiuto all’America è “patetica”, ma comunque ribadisce quel che dice Waltz: la luce verde del presidente c’è, si procede. Il vicepresidente si piega, ma dice che detesta “bailing out” l’Europa, aiutarla, salvarla, e anzi vuole ignorare le lamentele che si alzano dagli europei, che non sono da considerare affatto dei buoni alleati. Anzi, li considera dei parassiti ingrati, una minaccia all’occidente più grave della Russia o della Cina o del terrorismo, un vuoto a perdere.

Vance ha deciso che l’ostilità nei confronti degli europei – che non ha inventato lui, ma che porta a livelli d’emergenza, come dimostrano anche le recenti parole sulla Danimarca che deve smettere di considerare la Groenlandia roba sua – è la sua firma. Nell’Amministrazione Trump ognuno si ritaglia un ruolo più o meno grande (e si vedrà quanto duraturo), e il vicepresidente ha scelto di spezzare la relazione transatlantica, costruendo una nuova cornice ideologica sugli alleati parassiti da cancellare, stando ben attenti a non far mai loro dei favori. Vance non considera l’effetto boomerang, parla di reciprocità ma intende soltanto un interesse americano da difendere, forse per costruirsi un suo specifico consenso tra i conservatori, un tesoretto per il futuro.
 

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  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi