(Ansa)

Ora che nessuno vuole più le auto di Musk sono guai per chi ha approvato fior di sussidi

Carlo Stagnaro

Comprare una Tesla è sempre di più un gesto politico. La crisi del modello di sussidi alle auto elettriche a causa dei progressisti e della concorrenza cinese. La polemica sul fatto che l'azienda non pagherebbe le tasse. O meglio, le paga ma secondo una condizione privilegiata, non grazie all'amico Trump

E’ più importante salvare il mondo oppure contrastare gli avversari politici? Raramente questo dilemma si è posto in modo altrettanto netto come dopo la discesa in campo di Elon Musk. Sicché, comprare una Tesla è sempre più un gesto politico. In generale, sono soprattutto le persone di sinistra a manifestare supporto per i veicoli elettrici e i relativi sussidi, perché lo ritengono un modo per contrastare il cambiamento climatico: un sondaggio svolto per conto dell’American EV Jobs Alliance rileva che il 78 per cento dei democratici si dice determinato o comunque potenzialmente interessato ad acquistare un’auto elettrica, contro soltanto il 56 per cento dei repubblicani. Ma le più recenti intemerate di Musk, il suo ruolo nell’Amministrazione Trump e le sue sempre più esplicite adesioni a temi e movimenti di estrema destra hanno causato un crollo dell’attrattività della Tesla presso il suo bacino di clienti più fedeli e alto-spendenti, che anzi hanno cominciato a disfarsene. Ma c’è di più. 


Negli Stati Uniti infuria la polemica sul fatto che la Tesla non pagherebbe le tasse. “I contribuenti americani – ha scritto la leader democratica Elizabeth Warren, rivolgendosi proprio a Musk – dovranno sostenere il peso dei tagli delle imposte per la Tesla, e meritano una risposta sui suoi sforzi per garantire ulteriori sgravi fiscali alle grandi imprese”. Secondo uno studio dell’Institute on Taxation and Economic Policy, negli ultimi tre anni Tesla ha versato appena 48 milioni di dollari di imposte su 10,8 miliardi di profitti negli Stati Uniti. Il fatto, però, come ha evidenziato un editoriale sul Wall Street Journal alcuni giorni fa, è che questa condizione privilegiata non deriva da qualche favore ottenuto dall’amico Donald Trump, ma dalle norme bandiera del suo predecessore, Joe Biden, e in particolare dall’Inflation Reduction Act (Ira). L’effetto di questo provvedimento non è stato solo quello di ridurre il carico fiscale di Tesla ma anche – e soprattutto – di gonfiarne gli utili: sui 7,8 miliardi di profitti registrati nel 2024, ben 2,8 venivano dalla vendita di crediti agli altri produttori automobilistici, che potevano in questo modo soddisfare i propri obblighi (l’Ira prevede una quota minima di veicoli elettrici).


Lo stesso vale per l’Europa. Tesla è uno dei maggiori beneficiari dei generosi incentivi previsti per l’acquisto di auto elettriche e batterie domestiche. Sebbene venga ormai apertamente messo in discussione, l’Unione europea ha stabilito che dal 2035 non potranno più essere immatricolate auto con motore endotermico. In Italia, il Piano nazionale energia e clima prevede che nel 2030 saranno in circolazione almeno 6,5 milioni di veicoli elettrificati di cui 4,3 elettrici puri (contro i 2,6 milioni di cui appena 220 mila elettrici pure circolanti nel 2023). Per raggiungere questi risultati, sono state stanziate nel tempo risorse ingenti: prima attraverso gli incentivi diretti all’acquisto di veicoli a basse emissioni, poi con un fondo da 4,6 miliardi per le aziende produttrici e l’elettrificazione delle flotte aziendali, a cui si aggiungono i finanziamenti per l’installazione delle colonnine di ricarica (oltre 700 milioni nel solo Pnrr). E oggi tutto questo sembra ritorcersi contro i suoi stessi supporter. Beninteso: Tesla non è l’unico produttore di auto elettriche e i consumatori europei stanno rapidamente riorientando le proprie scelte. Gli ultimi dati Acea mostrano che, nel mese di febbraio 2025, la quota di mercato della società di Elon Musk nell’Ue è crollata all’1,8 per cento (10,3 per cento se si considerano le sole auto elettriche) contro il 2,8 per cento (21,6 per cento) nello stesso mese del 2024. Ad avvantaggiarsene è stata soprattutto la rivale cinese Byd.


Ma resta un dato politicamente rilevante: proprio gli stessi che ieri facevano dell’ostentazione del marchio Tesla uno status symbol, oggi rendono pubblica la loro volontà di liberarsene. Se si trattasse solo di scelte individuali, la cosa potrebbe lasciare il tempo che trova: ma vi sono implicazioni collettive legate alle politiche di supporto e sussidio. Il che aiuta a mettere in evidenza due dei tanti problemi della politica industriale: quando si impongono le proprie preferenze alla società intera, si rischia poi di venirne travolti; e quando attraverso la spesa pubblica si foraggiano le industrie e gli imprenditori di riferimento, al cambiare del vento politico anche questi mutano direzione. O addirittura, come in questo caso, sono protagonisti dell’inversione di rotta. Deve ancora nascere il mostro che, una volta cresciuto, non morde la mano di chi lo ha nutrito.

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