(foto EPA)

da istanbul

La piazza turca non si placa, ma Erdogan conta sul silenzio estero

Stefano Mazzola

Oltre 1400 persone fermate per aver preso parte a dimostrazioni e diffuso messaggi antigovernativi sui social. Eppure il presidente può fare leva sul peso del suo paese come stabilizzatore a livello internazionale (a partire dall'Ucraina). Per questo le cancellerie sono poco propense a criticarlo

Istanbul. Le proteste contro l’arresto del sindaco di Istanbul, Ekrem Imamoglu, accusato di corruzione, non si fermano. Il tribunale della città ha ordinato la scarcerazione di sette giornalisti arrestati – tra cui  il fotoreporter dell’Afp, Yasin Akgul – ma ieri le autorità turche hanno espulso il corrispondente della Bbc, Mark Lowen. Secondo il comunicato dell’emittente britannica, l’accusa rivolta a Lowen è quella di rappresentare una minaccia per l’ordine pubblico. Secondo i dati del ministero dell’Interno, sono oltre 1.400 le persone fermate per aver preso parte alle dimostrazioni e diffuso sui social messaggi antigovernativi. Ozgur Ozel, leader del Partito repubblicano del popolo (Chp), lo stesso di Imamoglu, e ora il volto pubblico delle contestazioni di Sarachane Park, ha annunciato che l’opposizione continuerà a scendere in strada, decentralizzando le proteste in altre zone della città

 

Le manifestazioni, che rappresentano il più grande movimento di protesta da quelle di Gezi nel 2013, hanno fatto emergere la forte polarizzazione che caratterizza il paese, inclusa l’opposizione. A oggi, le piazze si distinguono per la partecipazione di studenti e partiti di sinistra, con un marcato accento nazionalista. Mancando l’obiettivo di mobilitare componenti trasversali della società, le proteste rischiano così di perdere presto la trazione che ha caratterizzato i giorni immediatamente successivi all’arresto. E’ forse anche per questo che il secondo principale partito di opposizione, il filocurdo Dem, ha mantenuto una linea ambigua, accusando pubblicamente il governo per l’arresto di Imamoglu ma tenendo i propri sostenitori lontani dalla piazza. “Noi non siamo la massa di attivisti del Chp – ha dichiarato il co-presidente del Dem Tuncer Bakirhan – abbiamo un problema che include e supera (questa situazione, ndr)”. Il riferimento è al contemporaneo processo di pace avviato dal governo con il Partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk), che promette di pacificare la questione curda dopo un conflitto quarantennale. Il governo ha inoltre esteso le vacanze per i dipendenti pubblici, scuole e università incluse, che a partire da sabato segneranno la fine del Ramadan. Tradizionalmente, la festa sposta milioni di turchi attraverso il paese verso città e villaggi di origine e contribuirà ad allentare la pressione sulle principali città del paese per tutta la prossima settimana.   

 

A favore del governo gioca anche la mancata reazione della comunità internazionale. Anzi, questa settimana il ministro degli Esteri turco, Hakan Fidan, ha portato a termine una visita bilaterale a Washington. Le parti si sono accordate per procedere alla rimozione delle sanzioni imposte dagli Stati Uniti nel 2019, in relazione all’acquisto delle batterie missilistiche russe S-400, costate ad Ankara la rimozione dal programma degli F-35. Questa decisione, assieme ai progressi raggiunti per la stabilizzazione della Siria, segna l’inizio del tanto atteso processo di ricostruzione della fiducia reciproca tra i due partner della Nato, fondamentale per la cooperazione sui vari dossier, inclusa l’Ucraina. A Parigi, dove ieri si è tenuta la conferenza degli alleati in sostegno a Kyiv, la Turchia ha inviato il proprio vicepresidente, Cevdet Yilmaz. Nelle scorse settimane, Ankara aveva fatto filtrare la propria disponibilità a contribuire a un’eventuale forza di pace nel paese, qualora fosse necessario. Anche a fronte del giro di vite imposto al principale partito di opposizione e alla società civile, per le cancellerie occidentali la non interferenza negli affari domestici turchi appare dunque una priorità strategica. La necessità di ridisegnare una nuova architettura di sicurezza continentale rende infatti la Turchia, e la sua potenza militare, un partner indispensabile. 

 

Le ripercussioni più preoccupanti sono a livello finanziario. La Borsa di Istanbul ha registrato un calo complessivo del 17 per cento, mentre la lira turca si mantiene oltre quota 40 rispetto all’euro. Secondo un report del Financial Times, nei giorni immediatamente successivi all’arresto di Imamoglu, la Banca centrale ha impegnato la cifra record di 11,5 miliardi di dollari in riserve estere per stabilizzare la valuta. Si tratta di buona parte dei capitali accumulati negli ultimi anni per porre fine alla spirale inflazionistica che non lascia tregua all’economia turca. Esaurito il bonus, le casse dello stato potrebbero non avere altri strumenti a disposizione per reggere ulteriori scossoni. 

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