
il terremoto in asia
Scossa di stato. Prima del sisma, la crisi in Myanmar è colpa della giunta militare
Le zone più devastate dal terremoto sono sotto il controllo dei ribelli che si oppongono alla giunta, e il rischio è che lì gli aiuti umanitari non arrivino. Il (solito) bombardamento sui civili nelle stesse ore della scossa
Ieri, nelle stesse ore in cui il Tatmadaw, la giunta militare birmana, ammetteva pubblicamente di aver bisogno degli aiuti della comunità internazionale per gestire le conseguenze della violentissima scossa di magnitudo 7.7 in Myanmar, bombardava un villaggio di Naungcho controllato dall’Esercito di liberazione nazionale Ta’ang (Tnla), nello stato di Shan. Il villaggio è stato raso al suolo, non dalla scossa ma dalle bombe della dittatura militare, che con il colpo di stato nel 2021 ha trascinato il paese in una gravissima crisi umanitaria. La regione centrale di Saigang, epicentro del terremoto che è stato avvertito anche in Cina e in Thailandia, è una delle zone più controllate dai gruppi di resistenza pro democrazia, la People’s defence force (Pdf), e da quattro anni bersagliata dagli attacchi aerei della giunta.
Soltanto nel mese di marzo i bombardamenti nei territori occupati dai ribelli hanno ucciso più di cento civili. Ieri il leader della giunta Min Aung Hlaing ha diffuso un primo bilancio di 144 morti e 732 feriti, ma secondo le stime le vittime potrebbero essere migliaia, e la difficoltà nell’ottenere informazioni dal paese dipende ancora una volta dal Tatmadaw: dal colpo di stato ha imposto una “dittatura digitale” in cui internet è strettamente limitato, ogni tipo di social media bloccato. Ieri, le prime corrispondenze sui danni del terremoto dal Myanmar sono arrivate con ore di ritardo, dopo quelle immediate da Bangkok e da Ruili, al confine tra Cina e Myanmar.
La richiesta di aiuti internazionali da parte del governo, completamente isolato a eccezione degli aiuti economici e militari forniti da Russia e Cina, ha subito allertato la resistenza democratica e il Nug, il governo ombra in esilio: la giunta nella sua storia ha già sfruttato le crisi del paese per ricevere aiuti da destinare unicamente sulle zone del territorio più fedeli o da dirottare sul finanziamento del suo arsenale. E il rischio è che non raggiungano le zone più devastate dal sisma: la maggior parte sono sotto il controllo della resistenza o delle milizie etniche armate che si oppongono alla giunta. Per questo motivo ieri il Nug ha esortato la comunità internazionale a fornire supporto attraverso “canali indipendenti, locali e affidabili” per garantire “che un aiuto concreto raggiunga persone reali e in tempi rapidi”.
“Tutti i fondi concessi all’esercito del Myanmar saranno utilizzati come armi: li useranno per ottenere vantaggi militari. Inoltre, legittimerebbero la giunta. Gli aiuti dovrebbero essere rivolti al Nug e alle ong che lavorano direttamente con le persone più bisognose”, dice al Foglio Paul Greening, che da Mae Sot, al confine tra Thailandia e Myanmar, da anni si occupa di fornire aiuti umanitari ai profughi birmani . Ieri la giunta ha proclamato lo “stato di emergenza” in sei regioni birmane, ma il Myanmar è in stato di emergenza da molto prima del sisma, – conta già tre milioni e mezzo di sfollati – da quando la giunta ha preso il potere rovesciando il governo democraticamente eletto.