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La fase calante del movimento trans
La multa all'ateneo che ha pensato più all'hate speech che al free speech
L'Università del Sussex dovrà pagare oltre 600 mila euro a causa delle sue linee guida sulla rappresentazione delle persone trans, che incoraggerebbero “l’autocensura”. In un momento in cui gli atenei inglesi sono in difficoltà seria, la loro reputazione di santuari del woke non ne aiuta la reputazione all’estero
Una delle dimostrazioni che il movimento trans ha avuto un picco e ora è in fase calante nel Regno Unito, dopo il Cass Report e la chiusura della Tavistock Clinic, è la multa da 600 mila euro e passa data all’Università del Sussex per aver pensato troppo all’hate speech e troppo poco al free speech, in particolare della sua ex docente Kathleen Stock, filosofa cinquantaduenne apertamente lesbica e poco incline a farsi dire dagli altri cosa si può dire e cosa non si può dire in un dibattito intellettuale. La prima ipotesi di sanzione, comminata la settimana scorsa dall’Office for Students, l’autorità di supervisione dell’istruzione superiore nata nel 2017, sarebbe stata addirittura due volte più alta e non riguarda direttamente Stock ma piuttosto le linee guida emesse dall’ateneo – “Misure sui trans e i non binari”, del 2018, come quella secondo cui “qualunque materiale dei corsi e dei moduli rilevanti rappresenterà in modo positivo le persone trans e la vita trans” – e risultate talmente stringenti da avere un “effetto raggelante” sulla vita accademica e da incoraggiare “l’autocensura”.
L’effetto più immediato è stato quello di devastare la vita di Stock, che si è dimessa nel 2021 e che ha rinunciato al suo titolo accademico di “professore” per “disgusto” per quei tre anni di proteste medievali e violenti attacchi che lei e la sua famiglia – una moglie, tre figli – hanno subìto. In un lungo pezzo su UnHerd, ha dato la sua lettura dei fatti, elencando le misure ancora in vigore in tante università del Regno Unito e che di fatto rendono il personale accademico simile a dei “lacché” senza nessuna libertà, costretti ad adattarsi alla “nozione in piena espansione di vittimizzazione studentesca e alle domande folli di attivisti idioti”.
Per lei il vento sta cambiando, anzi è già cambiato, e ai ragazzi di oggi già non interessa più quello che fino a qualche anno fa sembrava un percorso obbligato verso l’accettazione di un dogma che, in quanto tale, fa il contrario della filosofia, azzera la discussione. La sua antagonista pubblica, la vicecancelliera dell’Università di Sussex, Sasha Roseneil, furiosa, ha dichiarato che le libertà di Stock non è mai stata in discussione e che sarà difficile proteggere il personale e gli studenti da razzismo, antisemitismo e omofobia ora che è stato stabilito “l’assolutismo sulla libertà di espressione come principio fondamentale” della vita universitaria, come se fosse una stranezza. In un momento in cui le università inglesi sono in difficoltà seria, la loro reputazione di santuari del woke non ne aiuta la reputazione all’estero, a prescindere da quello che ne dicono J. D. Vance ed Elon Musk.
Sussex non è Oxford, ma neanche l’ultima delle università – 26esima su 104 secondo il ranking del Times – e per questo rappresenta proprio il tipo di ateneo che sente di più la crisi. Stock, che ora fa la scrittrice a tempo pieno, vorrebbe incontrare i suoi accusatori, in particolare le studentesse che a volto coperto urlavano slogan contro di lei, per capire se a distanza di anni non hanno trovato battaglie migliori. Lei sì: il suo prossimo libro, ha annunciato, sarà contro il suicidio assistito, mentre continua a sperare che le femministe si occupino di surrogata e prostituzione, due temi che avrebbero bisogno di tanta energia intellettuale.