Trump minaccia la Russia ma è solo tattica. I colloqui sulle terre rare

Giulia Pompili

Il presidente americano annuncia vagamente delle “secondary tariff” sul greggio russo, e non si capisce se intende dazi o sanzioni. Di sicuro è un messaggio a Cina e India

Dopo aver mostrato per settimane un atteggiamento particolarmente conciliante con il presidente della Federazione russa Vladimir Putin, il presidente americano Donald Trump ha mostrato per la prima volta  una lieve insofferenza nei confronti del leader del Cremlino. Ha detto di essere “incazzato” – ha detto proprio così, “pissed off” – con Putin perché l’accordo di pace con l’Ucraina non sta andando come previsto. Trump ne ha parlato al telefono con Kristen Welker, giornalista della Nbc, e secondo i media americani la reazione del presidente americano potrebbe essere stata innescata dall’ennesima richiesta di Putin di un “governo di transizione” a Kyiv. “Se io e la Russia non saremo in grado di trovare un accordo per fermare lo spargimento di sangue in Ucraina, e se riterrò che sia colpa della Russia... allora metterò dei dazi secondari su tutto il petrolio proveniente dalla Russia”, ha detto Trump a Welker, usando una parola, “tariff”, dazi, che è il marchio di fabbrica del suo stile di governo – in realtà quelle che dovrebbe imporre sono sanzioni secondarie.

 

 

Una delle strategie dell’Amministrazione Biden contro la Russia, subito dopo l’inizio dell’invasione su larga scala dell’Ucraina nel febbraio del 2022, era stata quella di far “pagare un prezzo altissimo” al Cremlino la sua decisione di iniziare la guerra. A marzo 2022 Biden aveva annunciato il divieto di importazione di tutto il petrolio, il gas e l’energia proveniente dalla Russia, spiegando che quelle erano anche le principali fonti di reddito per il regime e per la macchina della guerra di Mosca. A quella mossa si era adeguata anche l’Unione europea, che era riuscita a superare anche la propaganda russa che martellava i cittadini europei sulla possibilità di un inverno al freddo. Ma nel corso di tre anni il Cremlino, aiutato da Cina, Iran e Corea del nord, ha imparato come aggirare le sanzioni economiche, e come commerciare il suo petrolio nonostante sanzioni. La possibilità di applicare delle sanzioni secondarie su quei paesi che fanno affari sulla svendita del petrolio russo sarebbe un colpo piuttosto duro per Putin, ma nel concreto quello che ha detto Trump sembra più un messaggio alla Cina e all’India, i principali acquirenti del petrolio russo. Mettere i dazi su tutto il greggio russo “significherebbe”, ha detto Trump, con il consueto linguaggio un po’ confuso, “che se comprate petrolio dalla Russia, non potete fare affari negli Stati Uniti. Ci sarà una tariffa del 25 per cento su tutto il petrolio, una tariffa da 25 a 50 punti su tutto il petrolio”.

 


New Delhi gode di una posizione privilegiata alla Casa Bianca, e ha cercato finora di accordare a Trump l’eliminazione dei dazi sulle importazione di gas naturale liquefatto dall’America per incrementarne l’acquisto. Ma l’India del primo ministro Narendra Modi è pure il paese che dopo l’invasione dell’Ucraina si è accaparrato il petrolio russo a prezzi scontatissimi, e se Trump gli chiedesse di dirottare i suoi approvvigionamenti si troverebbe di fronte a un bel problema. Clyde Russell di Reuters ha scritto che “è meno probabile che la Cina si pieghi alle pressioni degli Stati Uniti, poiché rimane l’unico grande acquirente di greggio iraniano e continua a essere il principale importatore di petrolio russo”: se arrivassero nuovi dazi fino al 50 per cento sulle importazioni statunitensi dalla Cina, oltre al 20 per cento già imposto dalla Casa Bianca, per Pechino potrebbe aprirsi una fase nuova di “sofferenza nella sua economia, che già fatica a prendere slancio”. Per Russell però anche gli indici di mercato legati al petrolio si sono mossi poco, e probabilmente tutti stanno aspettando di capire se l’annuncio di Trump sia concreto o solo una minaccia: del resto l’Amministrazione americana è la stessa che durante i negoziati del G7 ha respinto la proposta del Canada, presidente di turno del G7, di istituire una task force per affrontare in modo coordinato la cosiddetta “flotta ombra” di petroliere russe, responsabili anche di alcuni atti di sabotaggio in Europa. 

 


Trump minaccia – anche l’Iran e il Venezuela – ma le sue dichiarazioni hanno l’effetto delle montagne russe nella diplomazia internazionale. Domenica sull’Air Force One ha detto ai giornalisti di credere che il presidente ucraino Volodymyr Zelensky “stia cercando di tirarsi indietro dall’accordo sulle terre rare, e se lo fa, ha dei problemi. Grandi, grandi problemi” – venerdì Zelensky aveva detto che ci sono alcune cose nuove nella bozza di accordo on precedentemente discusse, e che non firmerà niente che possa “rappresentare una minaccia per l’adesione dell’Ucraina all’Ue”. E così nelle stesse ore  Kirill Dmitriev, direttore del Fondo russo per gli investimenti diretti, ha fatto sapere alla stampa che Mosca e Washington hanno avviato discussioni su progetti che coinvolgono le terre rare russe, e che “ci sarebbe già stato interesse da parte di aziende americane per possibili accordi”. Mentre Putin tiene occupato Trump con i colloqui, si mostra dialogante prendendo tempo, e rafforza la sua macchina da guerra –  ieri ha firmato la coscrizione di 160.000 uomini entro il 15 luglio, diecimila in più rispetto ai 150.000 dell’anno scorso e ai 134.500 del 2022 – il Cremlino continua con la pedissequa delegittimazione di Zelensky. “Se negozi con l’attuale leadership ucraina, non puoi continuare a definirla un ‘regime nazista’, perché allora dovresti prendere un impegno con quel regime”, ha detto un diplomatico russo al Moscow Times. Ieri l’Economist ha scritto che Zelensky avrebbe dato ordine al suo team di iniziare a prepararsi per le elezioni, sembra verso l’estate, ma la notizia non è stata confermata da Kyiv.

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  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.