Dissenso autorevole

Il trattamento-troll a Thomas Sowell, economista conservatore che dice che i dazi sono un disastro

Paola Peduzzi

L'economista conservatore molto amato anche dal mondo Maga per le sue battaglie per il free speech è da sempre contrario ai dazi e considera la politica adottata da Trump una sofferenza che ha precedenti storici devastanti. Un account su X che deforma Sowell e il futuro mesto del commercio internazionale

L’intervista completa di Thomas Sowell a Peter Robinson dell’Hoover Institution sarà pubblicata il 15 aprile, ma i tre minuti in cui uno degli economisti conservatori più rilevanti del secolo (ha 94 anni) dice che osservare la politica dei dazi di Donald Trump è una sofferenza ha già fatto il giro dei social. Non soltanto perché la lotta interna al mondo conservatore sui dazi sta mostrando le contraddizioni – e soprattutto le fantasie – interne alla cosiddetta “coalizione trumpiana”, ma anche perché su X, il social di Elon Musk, il pensiero di Sowell è stato oltremodo deformato. C’è un account che si chiama “Thomas Sowell Quotes”, che ha un milione e duecentomila follower, che posta o frasi fuori contesto in cui l’economista  dice cose che possono essere utilizzate come conferma del fatto che Trump ha ragione o video o documenti altrui – di recente: il filmato di una giovane Nancy Pelosi che difende i dazi – che sembrano avere l’endorsement di Thomas Sowell. Nella biografia c’è scritto in modo alquanto confuso: “Non sono Thomas Sowell, ma condivido le sue citazioni e gli argomenti principali dell’informazione e della politica. Le opinioni sono mie”. Il resto lo fanno l’uso superficiale di ogni citazione che si trova sulla rete, il grande seguito di questo account, l’ignoranza sul pensiero – forse proprio sulla sua stessa esistenza – di Sowell e il fatto che, secondo alcune fonti, questo account è gestito da una “società di engagement” online con sede in Macedonia (dove ci sono molte fabbriche di troll, come sono più comunemente conosciute).

Il vero Sowell soltanto un paio di mesi fa ha ricevuto un’onorificenza da parte del governo americano in occasione del mese dedicato alla storia afroamericana, proprio nei giorni in cui Trump stava introducendo dazi al Canada e al Messico, cioè ai due paesi con cui, durante il suo primo mandato, aveva rinegoziato un accordo di libero scambio, il Nafta. Sowell è molto seguito anche dal mondo Maga perché è un difensore del free speech nei campus, è contrario all’affirmative action e alle derive cosiddette woke, ma al contempo, proprio per questa sua coerenza, ha sempre sostenuto – avvalendosi degli studi storici, dice che “i fatti” e “l’evidenza” gli hanno sempre illuminato la strada, in particolare quelli sul protezionismo dell’inizio degli anni Trenta che ha portato alla grande depressione e alla Seconda guerra mondiale – che le guerre commerciali non otterranno  l’obiettivo di “make America great again”, perché aumentano i prezzi per gli americani stessi. E in più c’è l’incertezza dovuta al fatto che queste guerre non hanno un esito prevedibile ma indeboliscono le economie e la cooperazione su cui si fonda il benessere di buona parte del mondo, e certamente dell’America. Per di più, una volta introdotti i dazi, è  difficile rimuoverli, non sono effimeri. 

Collegato dal suo studio la settimana scorsa, Sowell, quello vero, ha detto alla Hoover Institution (questa è una citazione): “E’ doloroso vedersi ripetere una decisione rovinosa degli anni Venti. Ora, il presidente sta utilizzando i dazi per ottenere vari obiettivi strategici e dice di essere soddisfatto, ma se il punto è scatenare una guerra commerciale mondiale, questa ha una storia devastante. Tutti seguirebbero l’esempio americano e quel che si ottiene è una enorme riduzione del commercio internazionale. Questo esito è inquietante anche in un altro senso. Franklin Delano Roosevelt, quando era presidente negli anni Trenta, diceva che bisogna fare dei tentativi. E se scopri o ti dicono che questi tentativi non funzionano, lo ammetti e li abbandoni e provi un’altra cosa. Si prova fino a quando ci si imbatte in qualcosa che funziona. Si tratta di un approccio non sbagliato se si opera all’interno di un sistema noto di regole. Ma se sei tu che fai le regole, allora tutte le altre persone non hanno idea di cosa farai dopo. E questa (di Trump) è una formula per far sì che le persone si tengano i loro soldi finché non capiscono cosa farai”. Sowell continua: “Quando molta gente si tiene stretto il proprio denaro, si possono ottenere risultati come quelli ottenuti durante la Grande depressione degli anni Trenta. Quindi se siamo di fronte a un insieme di trucchi a breve termine per  perseguire vari obiettivi limitati nel tempo, bene – forse – Ma se questa sarà la politica per quattro lunghi anni durante i quali proverai questo, proverai quello, proverai qualcos’altro, un sacco di persone aspetteranno. E’ noto che parecchie persone si tengono i loro soldi prima di fare qualsiasi cosa perché non sanno dove quel che sta succedendo li porterà”.

La tesi di Sowell è chiara e coerente con quel che dice da decenni e con la teoria conservatrice e liberale classica – di stampo reaganiano, cioè anni luce dal trumpismo – secondo cui i dazi sono come una tassa globale che comporta costi sia per chi li impone sia per chi li riceve e che la prima vittima è la fiducia, cosicché la conseguenza non è soltanto un’enorme ricchezza bruciata in Borsa, ma anche una propensione a non spendere e a non consumare in attesa che si capisca meglio che cosa succede. Anche il governatore della Federal Reserve, Jerome Powell, sotto pressione da parte dell’Amministrazione Trump che gli chiede di abbassare i tassi di interesse, ripete di continuo: ci vuole chiarezza, altrimenti la fiducia dei consumatori collassa, proprio ora che stava risalendo dopo mesi di spavento inflazionistico. La chiarezza non c’è, nemmeno i funzionari della Casa Bianca riescono a dare obiettivi univoci, a parte la passione trumpiana per questo strumento fin dal primo mandato. L’unica sanzione a questa politica arriva dal mercato e forse, se i malumori che emergono tra i politici e gli stati a maggioranza repubblicana diventeranno opposizione, dagli elettori. Intanto l’economia si blocca.
 

  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi