Netanyahu incontra di nuovo Trump a Washington

Micol Flammini

Israele e Trump sono allineati su Gaza, sull’Iran non ragionano allo stesso modo. I tempi per l’attacco per fermre Teheran

L’Ala di Sion, l’aereo del primo ministro israeliano, per arrivare negli Stati Uniti ha allungato il suo percorso di quattrocento chilometri. Per evitare di sorvolare i cieli di Paesi Bassi, Irlanda e Islanda, paesi che sono ritenuti propensi a rispettare il mandato d’arresto della Corte penale internazionale e quindi pronti ad arrestare Netanyahu in caso di un atterraggio di emergenza, l’aereo del premier ha sorvolato Croazia, Italia e Francia per una visita a Washington organizzata in gran fretta mentre Netanyahu era a Budapest. Quando il premier israeliano arriva negli Stati Uniti non si sa mai quanto si tratterrà, ma intanto è, fra tutti i capi di stato e di governo alleati degli Stati Uniti, l’unico che ha incontrato in visita ufficiale il presidente americano due volte da quando è tornato alla Casa Bianca per il secondo mandato. Netanyahu vede nel suo rapporto con Trump occasioni irripetibili. Vede, non a torto, una relazione particolare. Ha capito quanto Trump adori essere presentato come l’unico che può mettere ordine in medio oriente e non manca mai di ringraziarlo e blandirlo: lo ha fatto anche ieri, quando lo ha incontrato alla Casa Bianca e ha ricordato quanto è esteso l’appoggio americano a Israele. Trump è molto attivo nel sostegno allo stato ebraico, ma tutto il rapporto tra Gerusalemme e Trump si regge su una domanda: fino a quando gli interessi coincideranno? La risposta è: lo capiremo entro l’estate. Israele ha ripreso l’offensiva a Gaza contando sul sostegno degli Stati Uniti. L’Amministrazione americana è convinta che per sradicare Hamas ci voglia un’offensiva militare capillare e sia necessario fare uscire la popolazione per poter distruggere le infrastrutture dei terroristi e ricostruire. L’inviato speciale per il medio oriente, Steve Witkoff, ha sperimentato cosa vuole  dire portare avanti trattative con Hamas, ora si fida del governo israeliano convinto che i terroristi non lasceranno andare gli ostaggi durante il cessate il fuoco. Su Gaza, la relazione speciale tra Israele e Trump non si incrina, può andare avanti. La Striscia è parte però di un quadro più ampio e mentre prosegue la guerra, gli occhi di Israele continuano a essere puntati verso Teheran. 
I tempi per un accordo che limiti il programma nucleare iraniano sono stretti. Secondo informazioni del Foglio, Israele ha considerato una finestra temporale: se non ci sarà un accordo entro l’estate, allora bisognerà procedere militarmente contro i siti nucleari di Teheran. Israele non può farlo da solo, servono il permesso e l’assistenza americani. Il dubbio è se Trump sia pronto a un confronto diretto con la Repubblica islamica dell’Iran e nonostante il grande dispiegamento militare di bombardieri a lungo raggio, il presidente americano continua a essere convinto che sarà possibile negoziare e basteranno le minacce, le armi puntate e gli attacchi in Yemen contro gli houthi, alleati dell’Iran, per far capire alla Guida suprema Ali Khamenei che le trattative per un accordo nucleare serio non sono più rimandabili. 
Netanyahu è arrivato a Washington con un’idea molto precisa di accordo: totale smantellamento del programma nucleare della Repubblica islamica dell’Iran. E’ stato il premier a chiedere l’incontro con Trump, vuole far concentrare l’Amministrazione americana su Teheran e in alcuni ambienti dell’intelligence israeliana si sta diffondendo la paura che Trump possa rimanere incastrato nei negoziati con l’Iran proprio come mostra di fare con la Russia. In faccia gli israeliani continuano a ringraziare il presidente, ma tra loro  discutono di quanto coincidano davvero  le priorità americane e israeliane. Quando Trump durante il suo primo mandato decise di ritirarsi dall’accordo sul nucleare – un pessimo accordo, secondo Israele – prese alla sprovvista gli apparati della sicurezza di Gerusalemme che dopo il ritiro avrebbero immaginato la Casa Bianca coinvolta in un indefesso sforzo di rinegoziazione: non avvenne e Teheran iniziò ad arricchire l’uranio a ritmo sempre più sostenuto. 
Il tempo è poco e Netanyahu nella sua visita improvvisata, con conferenza stampa dopo l’incontro con Trump cancellata all’ultimo, ha sollevato anche un altro tema su cui occorre mettersi d’accordo con Trump: la Siria. Israele non vuole che il vuoto lasciato dall’Iran venga riempito dalla Turchia. Per evitarlo si sta muovendo. 
 

Di più su questi argomenti:
  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Nel Foglio cura la rubrica EuPorn, un romanzo a puntate sull'Unione europea, scritto su carta e "a voce". E' autrice del podcast "Diventare Zelensky". In libreria con "La cortina di vetro" (Mondadori)