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L'editoriale del direttore

La scorciatoia del trumpismo percepito per non parlare del Trump reale

Claudio Cerasa

Non solo dazi. Ecco qual è e come funziona lo spassoso escamotage usato dai trumpiani per dimostrare che il trumpismo non è fuori dal mondo, la spia di una difficoltà strutturale e oggettiva a gestirne le conseguenze

La percezione è accettabile, la realtà no. Nel variegato e scombinato mondo dei follower trumpiani, vi sono alcune categorie particolarmente gustose che vale la pena mettere a fuoco per provare a capire qualcosa di più rispetto a quelli che sono i satelliti che ruotano attorno all’orbita trumpiana. Tra le cinquanta sfumature di trumpismo, oggi, si trovano i trumpiani più realisti del re, modello Laura Loomer, consigliera del presidente, complottista a tal punto da far sembrare Donald Trump un sincero moderato. Si trovano i trumpiani che provano a dare un senso alle strategie del re, come Scott Bessent, il segretario al Tesoro, che ogni giorno cerca un modo, senza riuscirci, per dare una dignità di mercato alle politiche anti mercato del presidente. Si trovano i trumpiani che provano a borbottare nelle orecchie del presidente, come i valenti editorialisti del Wall Street Journal, imbufaliti con Trump per le sue scelte sui dazi, e come alcuni miliardari che lo hanno finanziato in campagna elettorale, come Bill Ackman, secondo cui “imponendo dazi massicci e sproporzionati su amici e nemici e promuovendo una guerra economica contro il mondo stiamo distruggendo la fiducia nel nostro paese come partner commerciale, come luogo in cui fare affari e come mercato in cui investire”.

 

                

 

Tra le cinquanta sfumature di trumpismo, poi, si potrebbero aggiungere anche le sfumature modello Musk (sfascisti per Marte) o le sfumature modello Bannon (xenofobi per il mercato). Ma tra le sfumature più interessanti, e da valorizzare, ci sono certamente quelle emerse negli ultimi mesi in un paese speciale per il presidente americano, come l’Italia, dove si sta facendo strada con forza un’altra forma di trumpismo: quello percepito. Il trumpismo italiano, da questo punto di vista, è un esercizio stilistico di una certa raffinatezza perché punta a normalizzare il trumpismo negando l’essenza reale del trumpismo e descrivendo l’azione dell’amico Trump non per quella che è, per come si presenta di fronte ai nostri occhi, ma per quella che potrebbe essere, se solo volessimo vedere Trump senza fermarci alle apparenze. E dunque Trump, quando dice che vorrebbe prendersi la Groenlandia, non fa sul serio, figuriamoci, è un modo di dire, perché quelle di Trump “non sono intenzioni reali di annessione, ma sono messaggi rivolti ad altre grandi potenze globali, in particolare alla Cina” (Giorgia Meloni, 9 gennaio 2025).

Nel corso dei mesi, poi, il trumpismo percepito ha raggiunto vette di una qualche rilevanza sul fronte geopolitico, sul fronte politico, sul fronte economico. Sul fronte geopolitico, in Italia, il trumpismo percepito è emerso con chiarezza in tutte le occasioni in cui la linea del nostro paese, in politica estera, si è andata manifestare sulla base non del Trump reale ma del Trump possibile. Esempio: Trump minaccia di lasciare l’Ucraina al suo destino, minaccia di allontanare l’America dalla difesa dell’Ucraina, minaccia di costruire una pace in Ucraina che somiglia a una resa, e piuttosto che prendere sul serio le parole del presidente americano il trumpismo fondato sulla percezione e non sulla realtà sceglie di muoversi sullo scacchiere geopolitico non sulla base di ciò che Trump ha detto che farà (niente America in Ucraina) ma sulla base di quello che potrebbe fare (sì America in Ucraina).

E dunque: da una parte vi sono i volenterosi in Europa che cercano di avere un piano alternativo nel caso in cui il piano A di Trump (disimpegno americano) dovesse concretizzarsi. E dall’altra parte vi sono i meno volenterosi in Europa che si rifiutano di avere un piano alternativo perché convinti che il piano annunciato da Trump sia solo chiacchiere e nulla di più. Sul piano politico, stessa storia, e quando Trump dice che l’Europa è fatta di “parassiti”, quando J. D. Vance dice che la minaccia più grave per l’Europa “non è la Russia ma è la stessa Ue”, quando Musk dice che in Europa si augura che trionfino partiti neonazisti come l’AfD, la reazione del partito del trumpismo percepito è più o meno sempre la stessa: ma no, non voleva dire quello che ha detto, voleva solo dire che l’Europa deve diventare più aperta al mercato e più incline a trattare con gli americani.

 

            

 

Sul piano economico, infine, stessa storia. Trump, da mesi, promette di infliggere duri dazi all’Europa, e dunque anche all’Italia, e mentre gli avversari di Trump, in questi mesi, hanno cercato un modo per poter arrivare il più possibile preparati a questo appuntamento inevitabile, gli amici di Trump, nello stesso arco temporale, hanno sempre sostenuto che alla fine i dazi non si sarebbero fatti, che le minacce di Trump altro non sono che tentativi di negoziare con l’Europa e che alla fine se pure Trump avesse scelto di mettere in campo i dazi avrebbe risparmiato l’Italia, cosa che ovviamente non è accaduta considerato il fatto che l’Italia, al pari degli altri paesi dell’Unione europea, è stata colpita da tariffe del 20 per cento – e in fondo anche Elon Musk, quando sostiene di considerare non impossibile un mondo all’interno del quale America e Europa hanno dazi pari a zero, sceglie di iscriversi al partito del trumpismo percepito, diverso da quello reale e infinitamente lontano dal modello di difesa di libero mercato contenuto nelle parole di Milton Friedman postate ieri su X dal miliardario americano. Il trumpismo percepito non è solo una scorciatoia comunicativa e cognitiva attraverso la quale i follower del trumpismo tendono ad approcciarsi al trumpismo in modo retorico descrivendo un Trump razionale, gestibile, che esiste solo nella propria immaginazione.

E’ qualcosa di più. E’ la spia di una difficoltà strutturale e oggettiva dei trumpiani a gestire le conseguenze del trumpismo nella consapevolezza in fondo genuina che l’unica forma di trumpismo digeribile per l’Europa e per il mondo non è il trumpismo che si presenta di fronte a noi in modo crudo, quello reale, ma è il trumpismo che ciascun trumpiano, con molte sfumature, sogna di poter gestire: quello costruito sulla base della propria sensibilità, dei propri desideri, dei propri sogni. Un trumpismo percepito, e dunque irreale. A dimostrazione del fatto che a vivere in un universo parallelo non è solo il presidente americano, ma anche i suoi follower che riescono a considerare Trump un alleato costruttivo non per quello che fa, e promette di fare, ma per quello che potrebbe fare, e che disgraziatamente non fa e chissà se davvero farà. 

 

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.