
Insicurezze condivise
Non solo dazi. America e Cina ai ferri corti
"Pechino invaderà Taiwan entro sei mesi"
L’Asia sente l’effetto Trump, mentre entrano in vigore le tasse sulle importazioni dei prodotti cinesi in America del 104 per cento. Soldati nordcoreani sconfinano al Sud, mercenari cinesi al fianco delle Forze armate russe contro l'Ucraina. La sicurezza globale unisce l'Europa all'Indo-Pacifico
Ieri il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha annunciato su Telegram che le sue Forze armate hanno catturato due cittadini cinesi “sul territorio dell’Ucraina, nella regione di Donetsk. Abbiamo i documenti di questi prigionieri, le carte di credito, i dati personali”. Zelensky ha scritto che l’intelligence è già a lavoro, perché secondo le loro informazioni i cittadini cinesi che combattono insieme alla Russia contro l’Ucraina sarebbero molti di più. Il ministero degli Esteri di Kyiv ha attivato i canali diplomatici “per capire come la Cina intende rispondere a questa situazione”, ha detto Zelensky. Perché Pechino non ha mai condannato la guerra d’invasione della Russia e resta un partner strategico di Mosca. E così ora alcuni cittadini cinesi – che sono molto probabilmente mercenari, ma è difficile pensare che la leadership di Xi Jinping sia totalmente all’oscuro della situazione sul fronte russo – si sommano alle Forze nordcoreane che Kim Jong Un ha mandato in sostegno dell’esercito russo nella guerra contro l’Ucraina. E la minaccia alla sicurezza dell’Europa si somma alle operazioni di destabilizzazione nel Pacifico.
Cina e Corea del nord stanno già sfruttando il caos provocato dall’Amministrazione americana e più in generale delle democrazie liberali che si sono ispirate a Trump per inseguire un modello politico pericolosamente populista, come in Corea del sud. Ieri quando in Corea erano circa le cinque del pomeriggio dieci soldati nordcoreani hanno attraversato la linea di demarcazione militare dentro alla Zona demilitarizzata (la Dmz), cioè il confine fisico tra Corea del nord e Corea del sud, sul fronte orientale. Secondo quanto riportato dallo Stato maggiore congiunto sudcoreano (il Jcs che gestisce le attività della Dmz), i soldati del Sud hanno usato gli altoparlanti per avvertire i soldati del Nord e poi hanno sparato dei colpi di avvertimento, e solo allora i dieci soldati sono rientrati all’interno dei loro confini. Secondo Seul, da circa quattro giorni, cioè da quando la Corte costituzionale sudcoreana ha deciso per l’impeachment del presidente sudcoreano Yoon Suk-yeol, i nordcoreani hanno intensificato dei lavori lungo il confine con il Sud, conducendo addestramenti, spostando attrezzatura e posizionando filo spinato.
Il governo sudcoreano si aspetta che Pyongyang sfrutti il caos politico a Sud per portare avanti “provocazioni e intensificare la propaganda”, almeno fino al 3 giugno prossimo, quando ci saranno le nuove elezioni in Corea del sud e molto probabilmente arriverà un nuovo governo democratico – che ha posizioni molto più morbide rispetto ai partiti conservatori nei confronti del regime nordcoreano, ed è molto più aperto a una collaborazione con la Cina piuttosto che con l’America.
Le intrusioni nordcoreane nel confine del Sud non sono una novità, e sono il segnale che Kim ha disposto una modifica radicale degli assetti di difesa lungo il 38° parallelo. Secondo alcuni analisti, il cambiamento non è per forza il segnale di un assetto di guerra: finché la Corea del nord manda i suoi soldati in Russia – 11 mila finora, secondo i dati dell’intelligence sudcoreana, di cui 4 mila sarebbero già rimasti uccisi – è difficile che possa concentrarsi su un conflitto anche a bassa intensità nella penisola. Ma il contesto instabile e potenzialmente pericoloso funziona già come ottimo deterrente per eventuali azioni più aggressive. E non è un caso, forse, che Donald Trump abbia improvvisamente smesso di parlare di Corea del nord, uno dei più grandi fallimenti di politica estera del suo primo mandato.
La Cina nel frattempo non ha commentato per ora la cattura dei due cittadini cinesi che combattevano con le Forze armate russe in Ucraina. Durante una conferenza stampa ieri pomeriggio, Zelensky ha detto una frase incisiva, e forse più diretta a Washington che a Pechino o a Mosca: “La Cina è un altro paese che sostiene militarmente l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia. Un altro dopo l’Iran e dopo l’esercito nordcoreano”. Pechino è particolarmente colpita dai dazi di Trump – oggi aumentano sulle importazioni dalla Cina all’America fino al 104 per cento – ma è pure nella posizione di poter sfruttare il caos americano per ergersi a potenza responsabile, con cui tutti vogliono parlare – domani sarà nella capitale cinese il primo ministro spagnolo, Pedro Sánchez – mentre aumenta la sua aggressività contro l’isola di Taiwan, che rivendica come proprio territorio. Qualche giorno fa il sito conservatore americano 19FortyFive ha pubblicato un articolo (che è circolato molto tra gli ambienti della sicurezza internazionale) in cui spiegava che dopo la prima tranche di dazi, l’ambasciatore cinese a Washington aveva minacciato “in modo semi-ambiguo che il suo paese è pronto a qualsiasi ‘tipo di guerra’ con gli Stati Uniti”. Fonti dell’intelligence hanno detto a Reuben Johnson di 19FortyFive di ritenere che “un tentativo della Cina di invadere Taiwan potrebbe avvenire entro i prossimi sei mesi”, perché la leadership del Partito comunista cinese è convinta che “l’Amministrazione americana non sarà disposta o non sarà in grado di impedirla”.


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