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Ostaggi dimenticati

Guterres accusa Israele di aver fatto di Gaza un "campo di morte". Ma il lager di tunnel di sotto non lo vede

Giulio Meotti

Mentre il segretario dell'Onu denuncia la mancanza di aiuti umanitari nella Striscia, un nuovo rapporto medico rivela le torture estreme e le condizioni disumane subite dagli ostaggi israeliani detenuti nelle gallerie sotterranee di Hamas

“È passato più di un mese senza che un solo aiuto giungesse a Gaza e con il prosciugarsi degli aiuti si sono riaperte le porte dell’orrore”, ha detto lunedì il segretario dell’Onu, António Guterres. Durante l’accordo per il rilascio degli ostaggi, 25.200 camion sono entrati a Gaza da Israele, trasportando 450mila tonnellate di aiuti. Si tratta di un terzo del totale dei camion entrati a Gaza durante tutta la guerra scoppiata il 7 ottobre con l’attacco di Hamas, in poco più di un mese. Ma secondo Guterres sarebbero già esaurite.
 

C’è il “killing field” di sopra, denunciato da Guterres (“Israele ha trasformato Gaza in un campo di morte”) e c’è il lager di sotto di cui nessuno parla più. Un lager in costruzione, ogni giorno, dalle cinque del mattino a mezzanotte, sette giorni su sette. Così la squadra che sorvegliava l’ostaggio israeliano Tal Shoham ha utilizzato martelli demolitori per scavare altri chilometri di tunnel. Shoham, rilasciato il mese scorso nella prima fase del cessate il fuoco tra Israele e Hamas, ha rivelato alla Abc americana che le squadre di scavo si alternavano in turni di nove ore. Così Hamas è sopravvissuta alle devastanti campagne di bombardamento israeliane, grazie all’incessante espansione della sua vasta rete di tunnel che si snoda sotto Gaza. I suoi rapitori gli hanno detto che “si potrebbe camminare per cinque giorni da Gaza City, a nord, a Rafah, a sud”.
 

Lì, in un tunnel lungo quindici metri e largo novanta, a diciotto metri sottoterra, Shoham e altri tre hanno dormito (dalla testa ai piedi), defecato e curato le ferite delle percosse per un anno. Shoham è passato da 84 chili a 50 durante la prigionia. Un nuovo rapporto medico completo pubblicato dall’Hostages and Missing Families Forum, almeno otto dei ventiquattro ostaggi israeliani di Gaza considerati ancora in vita presentano ferite gravi mai curate (trentaquattro sarebbero morti).
 

Il rapporto, redatto dal professor Hagai Levine, racconta la tortura dei prigionieri da un anno e mezzo a Gaza. I risultati si basano sulle testimonianze degli ostaggi rilasciati, sui video pubblicati da Hamas e sulle informazioni fornite dai famigliari. “Emerge un quadro orribile di vita infernale”, ha affermato Levine. “Tutti gli ostaggi sono sottoposti a torture fisiche e psicologiche disumane e rischiano la vita. Ognuno di loro rappresenta un caso umanitario”. Soffocamento, legatura, sospensione per i piedi, ustioni e digiuno volontario; detenzione in tunnel bui, senza luce naturale né aria, incatenati; grave carenza di cibo, acqua e cure mediche, che ha portato a malnutrizione, esaurimento estremo e deterioramento della salute. Alon Ohel, 24 anni, è gravemente ferito da una scheggia all’occhio destro e vede solo ombre. Ohel ha riportato anche ferite da scheggia a mani, spalle e collo. È tenuto in catene in estremo isolamento, senza luce solare e con gravi carenze alimentari.
 

Yosef-Haim Ohana, 24 anni, soffre frequentemente di vomito e diarrea grave, a volte fino a perdere conoscenza, a causa della perdita di peso e alla carenza di igiene. Matan Angrest, 21 anni, è stato mostrato in un video di Hamas del febbraio 2025: è rinchiuso da Hamas in piccole gabbie, subisce interrogatori e torture, ha danni permanenti alla mano destra, asimmetria facciale, naso rotto, lesioni neurologiche, gravi danni mentali. “Danni ossei e lesioni neurologiche, nonché gravi danni mentali”, afferma il rapporto. Secondo le testimonianze raccolte dalla famiglia di Guy Gilboa-Dalal (23 anni), quest’ultimo è legato mani e piedi, a volte con un sacco in testa.
 

Una specie di “supplizio cinese”, che nel rapporto i medici chiamano “Captivity Risk Triad” (triade del rischio di prigionia): la loro prigionia non è  una sospensione del tempo, ma una “distruzione lenta”. Questa settimana persino la cerimonia per gli ottant’anni dalla liberazione di Buchenwald è stata all’insegna di Gaza. E degli ostaggi non parla praticamente più nessuno.

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  • Giulio Meotti
  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.