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C'era una volta la globalizzazione

Quel che sta venendo meno in Europa e America è l'universalismo cristiano

Sergio Belardinelli

Sovranismo e populismo fanno emergere una certa nostalgia per la globalizzazione, figlia di quello spirito che ha consentito all’uomo occidentale di realizzare le forme culturali, politiche, economiche, scientifiche alla base dell'attrattività dell'Occidente

C’era una volta la globalizzazione. Poi sono arrivate le astrazioni dell’ideologia gender, il catastrofismo ambientalista, l’antioccidentalismo, il moralismo politico e culturale, le reazioni populiste e sovraniste, il putinismo, il trumpismo, la guerra in Ucraina e infine, è storia di questi giorni, la guerra dei dazi scatenata dal presidente Donald Trump contro pressoché tutti i partner commerciali degli Stati Uniti, a cominciare da Cina, Canada, Giappone ed Europa. Molto probabilmente tutti questi fenomeni sono collegati tra loro e penso che presto ci faranno guardare con un senso di struggente nostalgia alla globalizzazione, tanto ingiustamente denigrata. Sta di fatto che il mondo che abbiamo di fronte appare sempre più contrassegnato da una pluralità di blocchi tra di loro più o meno ostili, da guerre vere, vedi Ucraina e Gaza, e da guerre metaforiche, ma non per questo meno pericolose, come la guerra dei dazi.  

A parole, sembra che il presidente americano l’abbia scatenata con l’intento di riequilibrare in qualche modo la bilancia commerciale e, più ancora, con l’intento di lanciare al mondo intero un tronfio avvertimento politico sulla nuova America. Ma siccome è assai improbabile che i dazi regaleranno agli americani una nuova “età dell’oro”, è quanto meno lecito domandare perché mai Donald Trump abbia intrapreso questa strada così incomprensibile e dannosa.  

Premesso che la libera circolazione delle merci è uno dei più importanti fattori di stabilità e di pace nei rapporti internazionali; premesso altresì che essa dipende da condizioni che non sono meramente commerciali, bensì politiche, e che quando il libero scambio viene osteggiato imponendo dazi, le cause politiche sono spesso destinate a rimanere almeno in parte nascoste o quanto meno non del tutto esplicitate; premesso tutto questo, temo che la risposta alla domanda circa gli obbiettivi dell’azione di Trump non dipenda soltanto dall’economia. A parte l’insolito mix di superficialità, approssimazione e improvvisazione col quale la guerra dei dazi è stata scatenata, credo che in questo caso le intenzioni nemmeno tanto latenti del presidente americano siano più preoccupanti di quelle manifeste circa il riequilibrio della bilancia commerciale

Nel discorso del cosiddetto “liberation day”, Trump ha sprezzantemente definito “parassiti” gli stati europei, sottacendo del tutto i vantaggi rilevanti che l’economia degli Stati Uniti ha potuto trarre dal libero scambio con l’Europa in questi ultimi ottant’anni; i membri del suo governo, a cominciare dal vicepresidente Vance, non perdono occasione per rimarcare il loro disprezzo per i paesi europei; non si può più escludere che l’amministrazione americana voglia soprattutto approfittare della guerra in Ucraina e della debolezza militare dell’Europa per indebolire quest’ultima anche sul piano economico e magari ostacolarne il difficile processo d’integrazione. Eppure tutto questo, per quanto sia rilevante, per quanto richieda all’Europa un supplemento di saggezza, ravvedimento e determinazione in ordine alla sua difesa commerciale, certo, ma soprattutto in ordine alla sua difesa militare; tutto questo, dicevo, potrebbe rientrare ancora nell’ambito di una dialettica tra partner che non intendono rompere la loro storica alleanza. Ciò che invece fa temere che potremmo entrare davvero in una fase nuova, pericolosa dei rapporti tra Stati Uniti ed Europa è il carattere ideologico-religioso che traspare dall’operato della nuova amministrazione americana. 

Nel caso di Trump, quando dico ideologico-religioso, penso soprattutto alla rozzezza dei suoi argomenti e alla spudoratezza con la quale si appella a Dio che ha voluto salvarlo dall’attentato affinché facesse di nuovo grande l’America, ma nel caso di Vance il discorso è diverso e assai più preoccupante. In lui, che per giunta dice di essere cattolico, vedo un uso strumentale della religione che lo allontana decisamente dall’universalismo concreto che sta alla base del cattolicesimo politico, vuoi in versione liberale che in versione democratica, per accomunarlo invece a Putin e al suo “chierichetto”. Non a caso il giudizio che danno sull’Europa è praticamente lo stesso: un luogo di dissoluzione individualista, abbandonato da Dio e destinato a perire per le sue colpe. Ma l’innegabile crisi culturale dell’Europa, per lo più imputabile alle “astrazioni” di cui ho accennato all’inizio, quindi anche a un certo individualismo ostile alla tradizione cristiana, non si cura certo con le chiusure e l’uso isterico del tema dell’identità tipici del trumpismo, meno che mai può essere curata ripristinando dall’alto una qualsivoglia legge di Dio. Se ne accorgeranno presto anche gli americani che condividono in fondo la stessa crisi. 

Detto un po’ approssimativamente, ciò che sta venendo meno in Europa come in America è l’universalismo cristiano; un universalismo non “astratto”, bensì centrato su una particolare idea di uomo come essere relazionale e comunitario e insieme unico e irripetibile; un universalismo sensibile alle differenze e capace di valorizzarle, aperto e per questo rispettoso dell’identità dei popoli e delle nazioni nonché capace di arricchirla grazie alla diversità. 

E’ precisamente questo universalismo non ideologico né esclusivo che ha consentito all’uomo occidentale di realizzare le forme culturali, diciamo pure, politiche, economiche, scientifiche e istituzionali che stanno alla base della grandezza e dell’attrattività dell’Europa, dell’America e dell’occidente in genere. La globalizzazione, pur con tutti i suoi limiti, era in fondo figlia di questa grandezza. La dimenticanza delle sue radici anche cristiane ha generato, prima, l’antioccidentalismo woke, poi la reazione del confessionalismo politico religioso tipico dell’ideologia trumpista, la quale, anche grazie all’evidente sintonia con il putinismo, potrebbe scavare un solco incolmabile tra le due sponde dell’Atlantico. Com’era bella la globalizzazione.

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