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Alti costi e poca manodopera: i conti sbagliati del made in Usa trumpiano
L'obiettivo della montagna di dazi annunciati dal presidente americano è riaprire fabbriche negli Stati Uniti e riportare stabilimenti produttivi sul territorio nazionale. Nulla di più irrealistico
Tra le diverse versioni che la Casa Bianca ha dato della montagna di dazi annunciati nei primi tre mesi di presidenza Trump ce ne è una che è particolarmente preoccupante. Non perché deleteria per le economie che i dazi li subiranno, ma perché rivelatoria della conduzione dilettantesca e distopica dell’amministrazione americana sulla politica commerciale. È il make made-in-Usa great again, l’obiettivo di riaprire fabbriche in America e riportare stabilimenti produttivi sul territorio nazionale. Nulla di più irrealistico.
Trump ripete in ogni conferenza stampa che l’intero mondo truffa gli Stati Uniti da sempre. È un mercantilista puro: nell’epoca delle catene globali del valore, del dominio del software e dell’intelligenza artificiale, il presidente americano pesa i destini del mondo sulla base di quanti veicoli di brand americani vede sfrecciare nelle strade dei Paesi che in cui è in visita ufficiale.
Nel 2024 gli Stati Uniti hanno importato beni per 1.200 miliardi di dollari in più rispetto alle merci che hanno venduto al resto del mondo nello stesso anno. È il deficit commerciale che Trump vuole azzerare. Se ci dovesse riuscire, queste merci dovrebbero essere prodotte negli Stati Uniti. Si tratta di prodotti anche a basso valore aggiunto, che non potrebbero garantire stipendi dignitosi agli operai. Oggi gli Usa comprano dalla Cina il 40 per cento dei computer e il 45 per cento delle tv, il 77 per cento dei giocattoli, l’80 delle stoviglie di plastica e quasi la totalità delle decorazioni per le feste. Non propriamente rocket science.
Ma oggi in America non c’è la manodopera necessaria per questa mastodontica riconversione industriale. Il tasso di disoccupazione è di poco superiore al 4 per cento, vicino ai minimi storici. Già oggi all’industria americana mancano lavoratori, non posti di lavoro. A febbraio si contavano 482mila posizioni aperte dalle aziende manifatturiere. Un numero destinato ad aumentare: secondo Deloitte i posti vacanti nel settore industriale saliranno a quasi 2 milioni entro un decennio. Se gli Stati Uniti dovessero riportare in casa tutta la produzione delocalizzata, la carenza di lavoratori non potrebbe che aggravarsi. Per di più senza il contributo della manodopera straniera, che Trump vuole bloccare alla frontiera.
Ma anche ammettendo che gli Usa riescano a rilocalizzare così tanta produzione internamente, a quale prezzo? Gli stipendi dei lavoratori Usa sono decisamente più elevati rispetto a quelli dei Paesi da cui oggi i consumatori americani comprano le merci. Un operaio cinese guadagna circa 6 volte meno di un operaio negli Stati Uniti. Il gap si amplia ancora di più con il Vietnam – 21 a 1 – e con la Cambogia – addirittura 42 volte a 1. È chiaro dunque che il made-in-Usa costerebbe un patrimonio alla classe media consumatrice americana. Il caso più discusso oggi è quello dell’iPhone, che inizialmente la Casa Bianca avrebbe voluto produrre in America come espresso dalla portavoce della Casa Bianca Karoline Leavitt. Apple assembla in Cina il 90 per cento dei suoi smartphone, e la restante parte in India. Per via dei dazi in vigore il prezzo di un iPhone 16 Pro potrebbe passare dagli attuali 1.199$ a quasi 2.000, se Apple decidesse di scaricare l’intero costo sui consumatori (improbabile). Ma un iPhone completamente prodotto negli Stati Uniti secondo gli analisti arriverebbe a costare quasi il doppio: 3.500 dollari. Un salasso così forte da aver portato Trump a più miti consigli, esentando smartphone e computer dalle tariffe con un’ultima decisione presa sabato.
Trump vuole rendere l’America di nuovo ricca con una reindustrializzazione forzata. Il fatto che la quota di lavoratori impiegati nell’industria sia passata da circa un quarto nel 1970 all’attuale 8 per cento è per il Presidente segno del declino del sogno americano. Tra i suoi consiglieri qualcuno gli dovrebbe tuttavia far notare che da allora il reddito degli statunitensi è più che raddoppiato in termini reali. Un risultato bizzarro per chi sarebbe stato “truffato da tutto il mondo” come sostiene Trump.


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