Non è cronaca nera

Un omicidio a Roma e l'ombra della mafia cinese

Dalle stazioni di polizia ai legami con la criminalità organizzata. Imbarazzi diplomatici

Giulia Pompili

Dietro il duplice delitto sulla Prenestina, gli affari del clan Zhang e una guerra silenziosa che parte da Prato e arriva a Pechino, e che nessuno, a Roma, ha mai davvero voluto affrontare

Lunedì sera via Prenestina a Roma è diventata una scena del crimine: in un’area delimitata dalle transenne e illuminata da lampeggianti blu c’erano due corpi a terra circondati dai segnapunti forensi gialli. Zhang Dayong, cittadino cinese di 53 anni, e la sua compagna Gong Xiaoqing,  38 anni, sono stati ammazzati con diversi colpi di pistola da un uomo che li aspettava sotto casa, attorno alle 23, e che poi sarebbe scappato a piedi. I carabinieri che indagano si trovano di fronte a un caso molto più vasto di un duplice omicidio avvenuto a Roma: perché Zhang Dayong è conosciuto alle forze dell’ordine e considerato il collaboratore più fidato di Zhang Naizhong, leader di una vasta organizzazione criminale arrestato nel 2018 a Prato nell’ambito dell’inchiesta denominata “China Truck”.

 

Zhang Naizhong era stato arrestato nel 2018 assieme ad altre 32 persone, tutte di nazionalità cinese. C’erano state  60 denunce per estorsione, usura, spaccio di droga, sfruttamento della prostituzione, gioco d’azzardo e per la prima volta si parlava delle organizzazioni cinesi come associazioni a delinquere di stampo mafioso. Solo che quel processo contro la cosiddetta “Triade di Prato” si è poi perso nei meandri delle lungaggini della giustizia italiana,  con continui rinvii delle udienze, faldoni persi, interpreti mancanti e intercettazioni inutilizzabili. A Prato, invece, sanno bene che la criminalità organizzata cinese non è mai sparita, e anzi negli ultimi mesi è molto attiva: solo una settimana fa a Prato un cittadino cinese è stato raggiunto da un gruppo di connazionali mentre era in un bar karaoke ed è stato  massacrato di botte; due giorni dopo un altro cinese è stato ridotto in fin di vita in un pestaggio dove sarebbero esplosi anche dei colpi di pistola. Negli ultimi  mesi ci sono stati sei pacchi bomba fatti esplodere contro i magazzini di aziende di logistica collegati alla Elt Express di Zhang Di, figlio di Zhang Naizhong. E’ quello che i giornali di cronaca locale  denunciano da tempo,  e l’omicidio di Zhang a Roma è probabilmente solo parte di una guerra tra gruppi criminali cinesi per il controllo della logistica, delle forniture per negozi (per questo la chiamano la “guerra delle grucce”), del pizzo ai danni di altri connazionali. Prato è il quartier generale, ma il clan degli Zhang ha diversi affari anche a Roma, e connessioni politiche. 

 


Ed è proprio questo il punto che forse ancora oggi sfugge a chi si occupa di criminalità cinese come di semplice cronaca. La Guardia di finanza ha fatto molto finora per denunciare enormi attività criminali. Eppure, secondo quanto risulta al Foglio, se gli investigatori parlano di “criminalità cinese”, l’ambasciata della Repubblica popolare a Roma si adopera subito per denunciare un “pregiudizio razziale” delle forze dell’ordine. L’attività d’indagine è quindi complicata, e lo è anche perché è lo stesso governo a non aver mai affrontato direttamente il tema. Due anni fa, una famosa inchiesta di ProPublica  ricostruì una serie di connessioni italiane tra alcune associazioni cinesi, la criminalità organizzata e i funzionari pubblici del governo di Pechino. Per esempio, nella foto d’inaugurazione della “stazione di polizia cinese” di Prato c’è anche  Zheng Wenhua, detto Franco, considerato un esponente di spicco della criminalità cinese. E nella stessa inchiesta si legge che Zhang Naizhong due mesi prima di essere arrestato aveva accompagnato un “alto funzionario” della delegazione del governo cinese guidata dal vicepremier Ma Kai in visita a Roma dall’allora presidente del Consiglio  Paolo Gentiloni. Il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, che aveva promesso un’indagine approfondita sulle “stazioni di polizia” cinesi sul nostro territorio di cui non si è mai saputo più nulla, a ottobre scorso è stato a Pechino a incontrare il ministro per la Sicurezza Wang Xiaohong, con il quale avrebbe parlato di “cooperazione nel contrasto alla criminalità organizzata transnazionale”. Ma, come spiega una fonte d’intelligence  al Foglio, i funzionari cinesi usano questi colloqui “per parlare di come far rientrare quelli che il Partito considera criminali, quasi sempre dissidenti accusati di frodi, e mai di come fermare la piovra della criminalità organizzata cinese all’estero, su cui spesso si appoggia”. 

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  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.