altri scenari di guerra

"L'operazione militare speciale" su TikTok contro l'Ucraina

Micol Flammini

Dai troll di Prigozhin alla fabbrica dei bot, Mosca usa la piattaforma cinese per sfaldare l’unità degli ucraini. Il piano oltre Kyiv

A marzo, alcuni soldati ucraini che combattevano nella regione russa di Kursk avevano deciso di consegnare a TikTok le loro ultime parole. Camuffati ed emozionati dicevano che si stavano ritirando, che erano stremati, che quelli erano i loro ultimi momenti perché nonostante i vertici dell’esercito ucraino non volessero ammetterlo, erano circondati, proprio come aveva detto il presidente americano Donald Trump. Prima di Trump era stato Vladimir Putin a dirlo, ma la verità è che questi soldati ucraini che circondati usavano i loro ultimi momenti per denunciare i loro comandanti su TikTok erano finti, erano stati realizzati dall’intelligenza artificiale e diffusi da account riconducibili alla Russia. L’Ukrainska Pravda ha analizzato i video: non è difficile stabilire che sono generati dall’IA, ma resta il fatto che hanno ricevuto milioni di visualizzazioni

 

All’inizio dell’invasione dell’Ucraina, il New Yorker scrisse un articolo per raccontare la prima guerra documentata su TikTok e come gli ucraini si stavano adattando alla piattaforma per descrivere la loro vita sotto le bombe e diventare la prima generazione di cittadini-giornalisti-influencer. Nei primi giorni dell’attacco russo, TikTok era pieno di video di soldati, di racconti di militari coraggiosi, di sminatori, di bombardamenti. Aprire un profilo su TiKTok era diventata dall’inizio una pratica molto comune dentro l’esercito e i soldati si sono messi a raccontare una quotidianità che forse non pensavano sarebbe durata tre anni.  
Sono stati i dati a convincere la Russia che TikTok in Ucraina era diventata la piattaforma su cui investire: secondo la società DataReportal, gli utenti ucraini su TikTok sono 17 milioni, su Instagram 12 milioni, su Facebook 13,9 milioni. Per gli ucraini TikTok è una delle prima fonti di informazione, così oltre alle cartomanti e alle streghe che giurano di prevedere il posto e l’ora del prossimo potente bombardamento russo, la piattaforma cinese è diventata la meta più ambita  anche dalla Russia che ha iniziato a investire in propagandisti e bot.

 

I metodi con cui il Cremlino agisce sono principalmente due: da un parte ci sono personaggi pubblici già noti per le loro posizioni vicine al Cremlino, dall’altra ci sono campagne orchestrate direttamente da Mosca. Per esempio l’ex deputato Ihor Mosiychuk era stato segnalato dal Centro per la lotta alla disinformazione per  la diffusione di  propaganda russa, potendo contare su 300 mila follower i suoi video ricevevano circa un milione di visualizzazioni. L’account di Mosiychuk è stato bloccato una prima volta, una seconda volta, una terza ed è riuscito a ottenere la creazione del suo nono account. Costruire una rete di propaganda su TikTok è più semplice rispetto ad altre piattaforme, una larga  diffusione dei contenuti  è possibile anche per account nuovi con pochi follower, così Mosca ha creato uno schema semplice: mette in piedi una “bot farm”  incaricata di seguire un tema, crea un video dal contenuto forte che viene ripreso  e guardato dai vari bot, così che l’algoritmo di TikTok lo suggerisca a utenti in carne e ossa ucraini, cittadini di un paese in guerra in cui la guerra dell’informazione si somma a quella combattuta con le armi.

 

Mosca ha usato TikTok per altre campagne, non soltanto in Ucraina: per trovare mercenari in giro per il mondo da arruolare nell’esercito russo, come ha fatto per reclutare soldati cinesi con video diffusi su Douyin, la versione di TikTok diffusa in Cina; per promuovere in Romania un candidato alle presidenziali favorevole a Mosca, Calin Georgescu, accusato dalle autorità romene di aver agito da pedina per un ampio piano di sabotaggio che rispondeva a potenze esterne. Georgescu era il più sconosciuto dei candidati alle elezioni, ha lavorato soltanto sui social senza partecipare ai dibattiti, promuovendo contenuti forti e messaggi nazionalisti e razzisti che sono piaciuti soprattutto a una parte della popolazione che raramente va a votare. 

 

Se nel 2016, Putin aveva investito nella fabbrica dei troll di cui Evgeni Prigozhin era stato  il creatore con il suo quartier generale a San Pietroburgo per creare delle campagne mirate su Twitter e Facebook, adesso il Cremlino si è adattato. Ha diversificato con le fabbriche dei bot che si muovono su TikTok come piattaforma di preferenza. 

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  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Nel Foglio cura la rubrica EuPorn, un romanzo a puntate sull'Unione europea, scritto su carta e "a voce". E' autrice del podcast "Diventare Zelensky". In libreria con "La cortina di vetro" (Mondadori)