
Il Giappone è la prima “cavia” di Trump sui dazi
Il negoziatore di Ishiba si è preparato a improvvisare
Il giapponese ha perfino una parola per definirlo: si dice gaiatsu, la “pressione esterna”, e si usa solitamente per indicare la pressione di Washington sulle politiche del governo di Tokyo. Da quando Donald Trump è tornato alla Casa Bianca, il gaiatsu è arrivato a livelli intimidatori contro il miglior alleato dell’America in Asia orientale. Il primo ministro Shigeru Ishiba, il cui indice di gradimento si assottiglia sempre di più anche perché è stato spesso accusato di delegare troppo poco, ha nominato il suo ministro per lo Sviluppo economico come capo negoziatore con gli Stati Uniti per la questione dei dazi. E’ stato Akazawa Ryosei a salire su un aereo ieri e a volare a Washington per incontrare, 24 ore prima di Giorgia Meloni, il presidente americano.
Akazawa Ryosei è un burocrate rassicurante – come Ishiba, del resto – e ha costruito la sua carriera politica gestendo disastri come terremoti e incidenti aerei. Ma per il Giappone Trump è un problema ben più complesso, forse più imprevedibile dei terremoti. E la tensione si percepiva già l’altro ieri, quando prima di partire dall’aeroporto di Haneda Akazawa ha detto ai giornalisti: “Sono pronto”. Intendeva a difendere gli interessi nazionali, ma per il Giappone è una novità farlo con un presidente americano che lancia accuse, spesso poco supportate da dati di realtà. La grande colpa di Tokyo, che ribadiva spesso Trump anche durante il suo primo mandato, è di beneficiare della difesa americana senza pagare abbastanza, ed è anche per questo che il Giappone è stato uno dei paesi asiatici più colpiti dai dazi del “giorno della Liberazione”: +24 per cento.
Ma per Trump il solo fatto che il Giappone – quarta economia del mondo, l’alleato più strategico dell’America nell’Indo-Pacifico nella sua visione di contenimento della Cina – sia corso a negoziare i nuovi dazi è un successo. Tanto che Akazawa, che ieri doveva incontrare il segretario del Tesoro Scott Bessent, il rappresentante per il Commercio Jamieson Greer, ha saputo all’ultimo che anche Trump avrebbe presenziato all’incontro: l’ha scritto il presidente americano sul suo social Truth poco prima che il funzionario nipponico atterrasse. Secondo alcuni diplomatici sentiti ieri dal Financial Times, il Giappone in questo momento è una cavia, perché è il primo dei paesi alleati maltrattati a essere andato fino a Washington per parlare direttamente: “Tutta l’incertezza delle ultime settimane, l’arma dei dazi e il linguaggio della guerra commerciale… in tutto questo non abbiamo ancora visto cosa Trump voglia ottenere”. L’accademico Michael Beeman, che è stato assistente al Commercio americano durante la prima Amministrazione Trump ed è esperto di relazioni con il Giappone, ha detto ieri alla Nhk che la priorità di Trump è “ridurre il deficit commerciale” con Tokyo, e al centro di questa trattativa ci sarà l’export di auto giapponese e di parti di automobili. Secondo diverse fonti, come per l’Italia, anche al Giappone verrà chiesto di aumentare gli acquisti di gas naturale liquefatto dall’America come sforzo per ridurre il deficit commerciale. Qualche tempo fa Trump aveva parlato anche della costruzione di un gasdotto di gnl in Alaska, alla quale erano interessati anche Giappone e Corea del sud – entrambi i paesi non erano stati messi al corrente della potenziale infrastruttura. Ma il governo di Tokyo ha fatto sapere nei giorni scorsi di essere “pronto a parlare dello sviluppo di giacimenti di gas naturale liquefatto se gli Stati Uniti solleveranno la questione”.
Solo che nel frattempo il Giappone ha fretta. Qualche giorno fa era stato lo stesso Akazawa a dire che visto che “alcuni dazi sono già entrati in vigore, i profitti delle aziende giapponesi si riducono di giorno in giorno”. La situazione è particolarmente complessa per il paese anche per via dei controdazi cinesi, e degli investimenti industriali nell’area asiatica: Ishiba per esempio ha parlato al telefono con il primo ministro di Singapore, Lawrence Wong, perché la situazione attuale è critica anche per le aziende giapponesi che operano nel sud-est asiatico, come Singapore. L’ex ministro dell’Economia Ken Saito ha detto allo Yomiuri che serve però freddezza: “Data la prevista complessità e delicatezza di questi negoziati, è consigliabile astenersi dal cercare risoluzioni affrettate. Dobbiamo prevedere vari sviluppi, tra cui le potenziali perdite di mercato per i prodotti agricoli statunitensi a seguito delle relazioni tra Stati Uniti e Cina e le fluttuazioni del mercato dei titoli del Tesoro americano”. Per un paese dove contano i simboli e le coincidenze, in molti avranno pensato a un segno del destino quando due giorni fa si è diffusa la notizia della morte a 79 anni di Richard Armitage, ex vicesegretario di stato americano durante la presidenza di George W. Bush e che fu un costruttore dell’alleanza strategica fra Tokyo e Washington.