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Dal Washington Post
L'America si fa male da sola
La fiducia nella Cina era crollata, il paese si stava isolando economicamente, poi è arrivato Trump con i suoi dazi ed ecco che il regime di Xi ha ribaltato il copione. E sì che pareva tutto pronto per il secondo secolo americano
Mai prima d’ora sulla scena globale un presidente è riuscito a perdere tanto clamorosamente quando sembrava che non potesse che vincere. E credetemi, c’è molta concorrenza per questo premio. Tra qualche anno, quando l’opinione pubblica sarà meno concentrata sui rendimenti obbligazionari, sui prezzi delle azioni, sul deprezzamento del dollaro e sulle esenzioni dai dazi, gli storici vedranno questo momento come l’esempio più lampante di un presidente che ha sprecato i vantaggi geostrategici dell’America. I passi bizzarri compiuti dal presidente Donald Trump per inaugurare una nuova epoca di capitalismo clientelare saranno studiati nei seminari di scienze politiche per le generazioni a venire. Per capire quanto è profondo l’errore sui dazi, è necessario guardare oltre le implicazioni più immediate. Mettete da parte il fatto che i dazi rappresentano il più grande aumento delle tasse che si ricordi e che Trump sta forzando una recessione economica. Non bisogna dimenticare che sta gettando via una politica industriale attentamente calibrata che stava dando segni di successo nelle tecnologie d’avanguardia. Trump è riuscito a sprecare la migliore opportunità che abbiamo avuto da una generazione a questa parte per modificare la competizione tra Stati Uniti e Cina a nostro favore.
Per capire quanto tutto questo sia poco tempestivo e sconsiderato, basti pensare a come il resto del mondo vedeva da ultimo Pechino. Molti ricorderanno che, per molto tempo, la Cina è stata un valore aggiunto per l’economia globale; la sua comparsa ha aumentato la prosperità in tutto il mondo in via di sviluppo. Più di recente, tuttavia, quel win-win si è trasformato in un win-lose. Costretto ad affrontare lo scoppio della bolla immobiliare e la crisi del debito municipale in tutto il paese, il presidente Xi Jinping ha abbracciato un’agenda che ha soffocato gli imprenditori cinesi e scoraggiato gli investimenti stranieri. La fiducia internazionale nei confronti di Pechino è crollata a tal punto che molti hanno iniziato a credere che la Cina stesse perseguendo la stessa stagnazione e la stessa deflazione che hanno portato al “decennio perduto” del Giappone. Per dare linfa alla sua economia, Xi ha rilanciato l’industria manifatturiera e ha iniziato a scaricare merci a basso costo e sovvenzionate – acciaio, alluminio, elettronica, automobili e molto altro – in economie sia amiche sia avversarie.
Per molti dei partner commerciali della Cina, i risultati sono stati devastanti. Il Cile, che aveva lavorato per consolidare i suoi legami con Pechino, è stato costretto a chiudere il suo unico impianto siderurgico, cosa che è costata al paese più di 20 mila posti di lavoro. Brasile e Messico hanno intentato cause contro il governo di Xi presso l’Organizzazione mondiale del commercio. Anche l’Europa, che per anni ha cercato di rimanere neutrale nella competizione tra Washington e Pechino, ha iniziato a ripensarci. I legami bilaterali della Cina, un tempo considerati vantaggiosi per entrambe le parti, erano visti sempre più come distruttivi, se non peggio. La Cina si stava rapidamente distaccando a livello internazionale scaricando il caos sui suoi partner commerciali. Il mercantilismo di Pechino era per la sua politica economica ciò che i wolf warriors erano per la sua politica estera: una ricetta per l’isolamento.
Questa era la realtà globale ereditata da Trump. L’economia americana era in crescita, con la nostra base manifatturiera che stava riprendendo vita. Per rafforzare l’influenza del nostro paese nei confronti di Pechino, l’Amministrazione Biden aveva creato una serie di nuove alleanze con Giappone, Corea, Australia, Filippine, India e Unione europea. Gli investitori stranieri stavano spostando gli investimenti dall’economia industriale cinese al potenziale produttivo degli Stati Uniti. La pista era libera perché la prossima Amministrazione potesse pilotare il decollo della nazione. Invece, con la tassa dei dazi, Trump ha reso gli Stati Uniti un paria globale, permettendo a Xi di ribaltare il copione. Lasciatemi essere chiaro sulle implicazioni geostrategiche. La nuova Amministrazione ha inutilmente dato a Pechino una out-of-jail-free-card, un aiuto gratis per uscire dall’isolamento. Mettiamo da parte per un momento l’intrinseca miopia di alienarsi gli alleati dell’America con inutili spavalderie sul prendere il controllo della Groenlandia, o sul riprendersi il Canale di Panama, o sul trasformare il Canada nel cinquantunesimo stato americano. L’implicazione più ampia della politica estera caotica e impulsiva di Trump – del tutto priva di strategia – è che lui ha diluito, se non affogato, un’opportunità insostituibile per garantire il XXI secolo come un secondo secolo americano.
Attaccando le alleanze e gli alleati ha lasciato gli Stati Uniti da soli nella competizione con la Cina. In un momento in cui Trump avrebbe potuto ulteriormente arretrare la Cina, i suoi dazi hanno invece isolato l’America. La nostra nazione ha trascorso l’ultimo quarto di secolo a discutere su come proiettare il potere in modo responsabile ed efficace. I presidenti degli ultimi quarant’anni hanno messo a punto una serie di strumenti economici basati su una combinazione di cooperazione globale, forza economica interna e dominio del dollaro che ci ha permesso di passare all’attacco senza dover sempre fare affidamento sulle nostre capacità militari. Ma la nostra capacità di usare le sanzioni al posto dei sottomarini dipende dal nostro arsenale finanziario che convince gli altri paesi a credere che lavorare con gli Stati Uniti serva ai loro interessi collettivi. Fino a poche settimane fa, Washington sembrava pronta a rafforzare la propria influenza a livello globale. Ora, invece, la Cina ha avuto il sopravvento.
Le prove della follia di Trump si accumulano. L’Europa stava riconsiderando la possibilità di contare sugli Stati Uniti come alleati, visto il nuovo approccio di Washington all’Ucraina. Ora non c’è quasi più nemmeno il dubbio. I paesi in via di sviluppo che due mesi fa erano pronti a voltare le spalle a Pechino ci stanno ripensando. E questo rende più probabile che, in futuro, gli Stati Uniti siano costretti ad affidarsi all’esercito per proiettare la potenza che un tempo la nostra economia garantiva senza mettere in pericolo un solo soldato.
Warren Buffett una volta ha osservato che quando la marea si ritira, si vede chi non indossa i pantaloncini. Ebbene, la marea si è ritirata e Donald Trump sta suscitando risatine ovunque. Per ora, mentre i mercati si agitano e il commercio diminuisce, l’attenzione in patria si è concentrata sugli impatti immediati del caos scatenato da Trump. Ma col tempo, l’attenzione del pubblico si sposterà sulla colpa. Prendendo in prestito l’inclinazione di Trump a utilizzare un linguaggio altisonante, mai prima d’ora un presidente ha avuto in mano carte tanto forti sulla scena mondiale. E mai prima d’ora un presidente ha le ha giocate tanto male.
Rahm Emanuel, ambasciatore degli Stati Uniti in Giappone dal 2021 al 2025, ha lavorato al Congresso, è stato chief of staff della Casa Bianca del presidente Barack Obama e sindaco di Chicago.
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