
Lezioni per l'Iran: i negoziati falliti sul nucleare fra Trump e Kim Jong Un
Il precedente del 2019 e un sistema tutto capovolto che non portò a nulla, anzi
Se c’è un dossier dal quale il presidente americano Donald Trump si è tenuto lontano nei primi due mesi del suo secondo mandato è quello nordcoreano. All’inizio di aprile, a un giornalista che gli chiedeva se avesse intenzione di riaprire il dialogo con il dittatore Kim Jong Un, Trump aveva risposto confermando l’esistenza di un canale di comunicazione tra l’Amministrazione americana e la Corea del nord, definita “un grande paese nucleare”: “Voi odiate sentirvelo dire, ma è molto importante negoziare con Kim. Abbiamo un ottimo rapporto... E’ un uomo intelligente. Ho avuto modo di conoscerlo molto bene”. Non è possibile confermare l’esistenza di questo canale, quel che è certo però, e che sembrerebbe dimostrare il contrario, è che Pyongyang non ha mostrato alcun segnale di dialogo con Washington, almeno per ora.
Secondo la maggior parte degli analisti e osservatori, il tentativo portato avanti dal presidente Donald Trump fra il 2018 e il 2019 però fu un fallimento completo, che diede più sicurezza e autonomia alla leadership di Pyongyang senza ottenere niente dal punto di vista del processo di denuclearizzazione. Di recente si è tornati a parlare molto del dialogo diretto fra Trump e Kim – il tycoon fu il primo presidente americano in carica a incontrare il leader nordcoreano in tre diversi summit, e il primo a entrare tecnicamente in territorio nordcoreano, camminando oltre la linea di demarcazione militare sul 38° parallelo durante un incontro nella Zona demilitarizzata. Il suo azzardo diplomatico somiglia a quello portato avanti con l’Iran, non a caso uno dei migliori alleati del regime nordcoreano.
Dopo il suo primo incontro a sorpresa a giugno 2018 a Singapore con Kim, Trump aveva promesso alla Corea del nord uno sviluppo economico senza precedenti. Poi c’era stato il summit di Hanoi a febbraio 2019, i cui negoziati vennero improvvisamente sospesi perché non era stato raggiunto un accordo fra le parti. Infine, a giugno dello stesso anno, i due leader si incontrarono brevemente nella zona di confine fra Corea del nord e Corea del sud. Come per molti altri dossier, Trump era convinto di poter risolvere la cosiddetta “questione nordcoreana” da businessman, senza un vero piano apparente. I negoziati si consumarono secondo un programma capovolto: di solito i capi di stato s’incontrano dopo diverse sessioni di negoziati a livello operativo, con rappresentanti e funzionari che preparano dettagliatamente il terreno per una conclusione a livello dei leader. Ma con Trump e Kim avvenne il contrario: nell’ottobre del 2019, quando finalmente si svolsero i negoziati operativi a Stoccolma, in Svezia, Pyongyang era ancora ferma sulle sue posizioni: continuava a chiedere l’allentamento delle sanzioni internazionali in cambio di mantenere una moratoria sui test missilistici e nucleari. Kim Myong Gil, capo negoziatore di Kim Jong Un, accusò gli Stati Uniti di essere arrivati al tavolo senza una proposta concreta che non fosse quella della “completa e immediata denuclearizzazione”. Una denuclearizzazione che deve essere verificata secondo modi e tempi negoziati anche con i paesi più interessati dall’aggressività nordcoreana, tra cui Corea del sud, Giappone e Cina – non a caso di recente Pechino ha avanzato l’ipotesi di nuovi negoziati sotto la sua responsabilità con Tokyo, Seul e Pyongyang.
“Durante il primo mandato di Trump, a Kim Jong Un sono bastati meno di sei mesi per abbandonare la moratoria sui test nucleari e sui missili balistici, concordata per facilitare il dialogo e segnalare il fallimento della strategia del leader repubblicano”, ha scritto qualche giorno fa sul Monde Philippe Ricard. “L’episodio ha dimostrato che Trump può stancarsi rapidamente delle questioni più complicate, andare avanti senza risolvere nulla o accontentarsi di compromessi mediocri che potrebbero fare il gioco degli avversari del “campo occidentale“”. Ma del fallimento di quei negoziati a Washington sembra che nessuno abbia più voglia di parlare.

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