
I segnali di guerra da controllare fra America e Cina
L’aria fra Washington e Pechino è sempre più tesa. Per capirlo basta guardare oltre i dazi
Ieri il dipartimento di stato americano ha accusato la Chang Guang Satellite Technology, una delle più grandi società di satelliti commerciali in Cina, di aver messo a disposizione degli houthi le proprie immagini satellitari. Sin dal novembre del 2023 il gruppo yemenita finanziato dall’Iran sta compiendo una campagna terroristica contro navi commerciali e militari di paesi occidentali, tra cui l’America. Da tempo c’era il sospetto che, in cambio di una “immunità” nei passaggi tra il Mar Rosso e il Golfo di Aden delle sue navi, la Cina avesse aiutato gli houthi dal punto di vista tecnologico. Ma questa ufficializzazione da parte del dipartimento di stato potrebbe complicare ancora di più il rapporto tra Washington e Pechino, che non è mai stato così teso.
Non è la prima volta che si parla della Chang Guang Satellite Technology Company: già due anni fa era stata messa sotto sanzioni dagli Stati Uniti perché accusata di aver messo a disposizione le proprie immagini satellitari al gruppo paramilitare russo Wagner, e da tempo si parla anche dei suoi legami con l’Esercito popolare di liberazione e con la leadership del Partito comunista cinese. Il 15 marzo scorso l’Amministrazione Trump ha lanciato una serie di azioni militari contro le basi degli houthi e l’altro ieri avrebbe distrutto il porto di rifornimento di carburante di Ras Issa, nello Yemen. Anche il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, l’altro ieri, ha ribadito il sostegno della Cina alla Russia nella sua guerra contro Kyiv. Per ora l’allarme dell’Amministrazione Trump nei confronti di Pechino sembra riguardare esclusivamente le pratiche commerciali, ma la situazione, secondo diversi osservatori, potrebbe rapidamente cambiare. La guerra commerciale tra America e Cina non riguarda più soltanto il commercio, si sta diversificando, e “la domanda che mi viene costantemente posta non riguarda la guerra commerciale. E’: stiamo andando verso una guerra calda con la Cina? La risposta breve è che spero di no, ovviamente, ma sono sempre più preoccupato delle tendenze in atto”, ha scritto qualche giorno fa su Bloomberg l’ammiraglio americano James Stavridis. “Ho trascorso la maggior parte della mia carriera in Marina nel Pacifico e non ho mai avuto la sensazione che fossimo così vicini a una vera e propria guerra con Pechino come lo siamo oggi”. Stavridis è un osservatore privilegiato e molto influente nelle questioni militari e strategiche, ascoltato – almeno in passato – in modo bipartisan in America: è stato quasi il vicepresidente candidato di Hillary Clinton nel 2016, e durante il suo primo mandato sembrava potesse essere il segretario di stato di Donald Trump. Nipote di rifugiati greci scappati dalla Turchia, Stavridis è stato conosciuto in Europa per aver scritto insieme con lo scrittore ed ex Marine Elliot Ackerman il best seller “2034” (tradotto in italiano da Sem), il romanzo più verosimile sulla Terza guerra mondiale. Nel suo editoriale per Bloomberg, l’ammiraglio scrive che per rispondere alla domanda che tutti ci facciamo – “il conflitto vero e proprio si sta avvicinando? Quali sono gli indicatori da tenere d’occhio?” – ci sono almeno “cinque spie che lampeggiano in giallo e che devono essere monitorate attentamente nel caso in cui diventino rosse”. La prima spia riguarda l’intensificazione delle prove di forza cibernetica da parte di Pechino: la Cina sta aumentando gli attacchi informatici contro le infrastrutture strategiche negli Stati Uniti grazie a un avanzamento gigantesco fatto dalle sue capacità tecnologiche/militari negli ultimi anni. “Il più noto di questi programmi si chiama Volt Typhoon”, e sarebbe stato “discusso apertamente da alti funzionari della sicurezza nazionale statunitense” anche durante “un incontro segreto di dicembre tra le autorità statunitensi e cinesi”. Un altro programma, Salt Typhoon, sarebbe invece mirato alle telecomunicazioni.
Per Stavridis, “la Cina sta dimostrando non solo la capacità di intraprendere una guerra informatica altamente sofisticata, ma anche la volontà di farlo”. Il secondo fattore di allarme riguarda la pressione militare attorno all’isola di Taiwan: “Monitorare le incursioni nello spazio di identificazione di difesa aerea di Taiwan (la Adiz)”, scrive l’ammiraglio, “è un indicatore fondamentale della strategia militare aggressiva della Cina verso l’isola” che Pechino considera una sua “provincia ribelle”. Nel 2024 sono state registrate circa tremila incursioni, il doppio del 2023. Ci sono poi le operazioni sempre più aggressive nel mar cinese meridionale che preoccupano l’America, le Filippine e il resto del mondo asiatico. L’incredibile capacità di ingegneria navale: “Pechino sa che qualsiasi guerra con gli Stati Uniti sarà combattuta principalmente in mare. Per avere un buon indicatore delle intenzioni di Pechino in materia di combattimenti significativi, basta tenere d’occhio il livello di produzione dei suoi cantieri navali”, nonché “l’indicatore più pericoloso”, e cioè quello che è già in gioco: “Il livello e l’ampiezza dei dazi imposti da ciascuna parte”. Del resto bisognerebbe ricordare, scrive Stavridis, “come è iniziata la Seconda guerra mondiale nel Pacifico: con sanzioni commerciali che hanno tagliato fuori il Giappone da risorse vitali, in particolare petrolio, acciaio e gomma”. La storia gira su piccoli cardini, scrive l’ammiraglio: “Dobbiamo tenere d’occhio questi cinque segnali gialli perché se diventano rossi, potrebbero spegnere le luci in tutto il mondo”.

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