in africa

Che cosa sappiamo dell'italiana arrestata in Guinea Bissau (c'entra la Cina)

Giulia Pompili

Valentina Cirelli Agwineriün, di padre italiano e madre guineana, fa parte dei gruppi che si oppongono allo sfruttamento minerario cinese nell'area. Il rischio di una repressione per scopi politici

C’è anche un’italiana tra le donne che lo scorso fine settimana sono state arrestate dalle autorità della Guinea-Bissau, dopo che si erano verificati alcuni atti vandalici contro le miniere di zircone gestite da società cinesi attorno al villaggio di Nhinquin, a Varela, vicino al confine con il Senegal. L’attivista e imprenditrice Valentina Cirelli Agwineriün, di padre italiano e madre guineana, è piuttosto nota nell’area: risiede lì da circa vent’anni con il padre novantenne, insieme gestiscono un hotel e hanno dato vita a diversi progetti con i bambini e per l’educazione. Secondo fonti della Farnesina Cirelli è in stato di arresto presso “il ministero dell’Interno, ma non le è stato contestato alcun reato”. Gli avvocati guineani che la difendono hanno spiegato all’agenzia di stampa portoghese Lusa di aver cercato di contattare l'imprenditrice, ma di non essere stati autorizzati e la polizia non gli avrebbe fornito alcuna motivazione.

Valentina Cirelli fa parte dei movimenti che si oppongono allo sfruttamento minerario cinese nella regione a nord ovest del paese, e che secondo i residenti starebbero causando “gravi danni ambientali e sociali”. Domenica scorsa le autorità della Guinea-Bissau hanno accusato un gruppo di donne di aver preso parte ai danneggiamenti delle miniere cinesi, dando fuoco ad alcune attrezzature. Il ministro degli Interni della Guinea Bissau, Botche Cande, aveva effettuato un sopralluogo sul sito e poi, ai giornalisti, aveva detto che “quando lo stato si sforza di trovare dei partner, nessuno ha il diritto di distruggere le loro proprietà”. Sulle donne attiviste considerate colpevoli del sabotaggio – di cui nessuno ha ancora prove – aveva detto: “Devono essere rintracciate e arrestate”. Secondo il gruppo di attivisti di cui fa parte Cirelli, gli atti vandalici sarebbero stati contenuti e negano che ci sarebbe stata la partecipazione attiva della donna italiana.

Da diverse settimane si parla del movimento contro lo sfruttamento minerario da parte della Cina di alcune aree della Guinea-Bissau – paese dell’Africa occidentale al 179° posto su 193 nell'Indice di sviluppo umano delle Nazioni Unite. Durante una visita di stato lo scorso anno a Pechino, il presidente della Guinea-Bissau Umaro Sissoco Embalo ha firmato con il leader cinese Xi Jinping un partenariato strategico che ha rafforzato le aree di cooperazione fra i paesi all’interno della cornice della Via della seta: i piccoli stati africani sono strategici per la Cina per via dello sfruttamento delle risorse naturali e del loro appoggio nelle votazioni nelle sedi internazionali. In cambio, Pechino offre sostegno economico e protezione alle leadership, anche se autoritarie e con scarsa attenzione ai diritti umani. Il sospetto è quindi che la leadership del paese abbia deciso di silenziare la donna italiana e le altre donne arrestate per fare un favore a Pechino e minimizzare i danni d'immagine delle proteste. 

L’arresto di Cirielli è un problema diplomatico anche per l’Italia, che mantiene buone relazioni con la Cina anche per sfruttare la sua influenza sui paesi africani e nel contesto del Piano Mattei. 

Di più su questi argomenti:
  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.