Il voto è vicino

Sui social di Meta in Canada non ci sono testate di giornali. La disinformazione ha riempito il vuoto

Paola Peduzzi

Il 28 aprile si vota, la campagna elettorale è stata velocissima e condizionata dai dazi e dalle mire annessionistiche di Trump. Ma c'è anche un'altra distorsione dovuta a una legge che ha imposto ai social di pagare i contenuti giornalistici. Meta non ha voluto farlo, così su Facebook e Instagram spopolano siti che manipolano l'informazione. Uno in particolare: Canada Proud

Il 28 aprile si vota in Canada, dopo una campagna elettorale velocissima – cinque settimane – e lo sconvolgimento causato dall’arrivo di Donald Trump alla Casa Bianca che con i suoi dazi e le sue mire annessionistiche (dice che il Canada diventerà il 51esimo stato americano) ha riacceso le speranze dell’agonizzante Partito liberale e, di converso, annichilito la sicumera del Partito conservatore. A pochi giorni dal voto, c’è una sostanziale parità tra la sinistra guidata dall’attuale premier Mark Carney e la destra di Pierre Poilievre, anche se i sondaggi sono considerati poco attendibili visti gli stravolgimenti continui: l’unica certezza per ora è che c’erano le code ai seggi dell’early voting, durante il fine settimana pasquale – la mobilitazione c’è. La confusione nei dati è anche determinata da un altro fattore: “Canada Proud”. No, non  s’intende il tanto chiacchierato orgoglio canadese. 

Le bandiere canadesi esposte per la prima volta sui balconi, il boicottaggio dei prodotti americani a favore del made in Canada, l’inno urlato come un’affermazione nazionale inusuale hanno accompagnato la campagna elettorale di Carney e della sinistra, sintetizzata nello slogan preso dall’hockey “elbows up”, gomiti in alto per proteggersi. Ma “Canada Proud” è tutt’un altro orgoglio, un’altra storia: è un sito che su Facebook e su Instagram ha più follower dei partiti politici e che dissemina fake news che colpiscono in particolare Carney e il Partito liberale. Il successo di Canada Proud e di altri siti cosiddetti di informazione (in realtà disinformano) è dettato dal fatto che nel 2023 il governo canadese ha introdotto una legge, l’Online News Act, che ha imposto ai social e ai motori di ricerca di negoziare con le testate giornalistiche la diffusione dei loro contenuti, cioè di pagare i giornali per utilizzare le loro notizie. Meta ha deciso di bloccare sulle sue  piattaforme – Facebook e Instagram – l’accesso a tutti i siti di informazione, indipendentemente dalla loro origine (il New York Times, che ha raccontato Canada Proud, scrive che anche i suoi contenuti non sono visibili sui social di Meta in Canada). Si è creato un vuoto informativo che, proprio come accade sui campi di battaglia, è stato subito occupato da altri attori ben più agguerriti – e fuori dai controlli che ci sono per le testate giornalistiche – senza che i canadesi ne avessero del tutto contezza: secondo l’osservatorio Media Ecosystem, soltanto un canadese su cinque sa che le news sono state bloccate sui social di Meta. Il Canada era stato il primo paese a introdurre un divieto non temporaneo all’utilizzo gratuito dei contenuti giornalistici sui social e allora c’era stato un gran dibattito, cui Meta aveva risposto piccata, forte del suo potere: ci costringete a togliere le informazioni verificate, vi assumete il rischio. In realtà, la spesa per Meta non sarebbe stata folle considerando il suo giro d’affari e il dibattito pubblico ne avrebbe guadagnato, ma questa relazione virtuosa tra social e informazione stenta a fiorire, e così Facebook e Instagram in Canada sono diventati il luogo della disinformazione. Ora che ci sono le elezioni, il vuoto informativo fa spavento: “E’ una spirale perenne” per l’ecosistema online, scrive l’Osservatorio, verso la disinformazione e la divisione, i canadesi sono più vulnerabili ai falsi generati dall’intelligenza artificiale e alle manipolazioni e, come accade sempre sui social, non vengono più a contatto con idee o notizie che contraddicono la loro visione delle cose.

Canada Proud è stato fondato da Jeff Ballingall, che ha organizzato campagne elettorali per politici conservatori e che dice di essere un grande sostenitore dei media tradizionali e di voler soltanto aggiungere un’altra voce all’informazione. Se si guardano i post di Canada Proud però la sua voce risuona sempre distorsiva: all’inizio di aprile, ha scritto che Carney ha sospeso la campagna a causa delle sue “connessioni con la Cina” e ha citato come fonte il Global News, uno dei più importanti quotidiani canadesi. Ma nell’articolo citato, la connessione con la Cina non c’era, Carney era tornato a Ottawa per gestire la nuova ondata di dazi imposti da Trump. Si possono citare molti altri casi simili, ma  ci sono anche le ingerenze straniere, in particolare della Cina (anche questa documentata di recente: sembra riguardare più il candidato conservatore Poilievre), le ads che arrivano anche a proporre retribuzioni in criptovalute come premi, o più spesso come truffe.

Questa distorsione informativa introduce un altro elemento di incertezza in un’elezione già  particolare, in cui Trump, leader molto invadente di un paese straniero, è stato decisivo. Entrambi i candidati si oppongono ai suoi dazi, ma Carney rappresenta il tecnico “amato a Davos” lontano dal popolo, Poilievre il trumpiano che non ha più il tocco magico che sembrava invincibile soltanto pochi mesi fa, perché il trumpismo al governo fa un po’ paura.
 

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  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi