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Guardarsi da Trump

La mascalzonata di Trump: un finto negoziato per piegare le ginocchia all'Ucraina

Giuliano Ferrara

La logica senza logica che guida l'America nel non negoziato per la pace. Come è possibile non capire che l’unica lingua diplomatica accettabile è quella di Kallas, di von der Leyen, di Starmer, di Sikorsky e di Macron?

Come ragiona un farabutto come Trump? Ci sono le elezioni nel novembre del 2024 e devo vincerle a tutti i costi altrimenti rischio bancarotta e galera. Immigrazione e dazi e la promessa di svellere la democrazia istituzionale nella logica dello strongman e altre sconcezze dai risvolti grotteschi non bastano. Del mio Grand Guignol deve far parte anche il destino di un popolo europeo aggredito e delle alleanze che gli hanno permesso per tre anni di resistere a un dittatore paranoico che ha deciso di credersi il nuovo Zar di tutte le Russie. Il Papa ha già chiesto agli ucraini di alzare bandiera bianca. L’opinione pubblica internazionale è frastornata dalle sanzioni e da tre anni di guerra dalla quale non sembra facile uscire vista la preponderanza militare e politica della Federazione russa, potenza nucleare, e dei suoi ricatti blindati e dei bagni di sangue che ha imposto ai confini della Nato ricevendone una risposta gradualista e inefficace per quanto tenace. Che devo fare? Devo promettere la fine della guerra in ventiquattr’ore. Devo promettere un accordo, un deal, che mi consacri principe della pace anche ingiusta, pace per il nostro tempo. Devo insistere su un falso, un fake della storiografia dei “se”: ci fossi stato io alla Casa Bianca, la guerra non sarebbe mai cominciata. La colpa è del predecessore, di Biden, che oltre tutto era un presidente illegittimo. Passando all’azione dopo aver vinto, il farabutto assume in toto la posizione dell’aggressore, si mette d’accordo con lui per una soluzione che suoni vittoria dell’invasione, maltratta il presunto perdente, cerca di umiliare gli alleati transatlantici e europei archiviando un equilibrio tra democrazie e autocrazie che ha fatto epoca dalla fine dell’ultima guerra mondiale a oggi, offre a Putin tutto quello che è in grado di dargli, e se potesse gli porterebbe la testa di Zelensky su una guantiera d’argento portata dal cameriere Witkoff, interrompe la fornitura d’armi e d’intelligence a intermittenza all’alleato in battaglia, manda il capo della Cia a concordare i passi necessari con l’Fsb, alimenta le balle micidiali di una potenza che, coperta da inesistenti cessate il fuoco e da un negoziato truccato dai somari di Caligola nel deserto d’Arabia, continua a bombardare con decine di missili Kyiv e altre città, centrali, ospedali, trattorie, piazze di un paese libero che vuole mettere in ginocchio, magari poi dice che quel tale bombardamento Putin avrebbe potuto risparmiarselo, non era necessario, non in questo momento, non conviene alla mia immagine e alla mia nuova amicizia con lo Zar e i suoi cortigiani, che un accordo capestro a vantaggio di Mosca dovrebbe consacrare. Poi torna a scagliarsi contro il presunto perdente, al quale nel frattempo vuole estorcere un contratto di sfruttamento di risorse minerarie, boicotta i tentativi di trattativa seria a Londra e a Parigi, e dopo avere gettato nel caos l’economia-mondo in forme sgangherate che fanno tremare borse e mercati e gonfiano le borse sua e dei suoi complici, ecco che minaccia di sfilarsi dalla trattativa – abbiamo scherzato – se l’Ucraina non si piega ai Diktat del Cremlino, che non ha problemi a sigillare con la sua ceralacca diplomatica la totale consonanza tra la propria visione trionfalistica delle cose e quella di Trump, il farabutto, appunto. 
           

Da invidiare la bonarietà con cui il nostro ministro degli Esteri continua a ripetere, una filastrocca che non convince nessuno e credo nemmeno lui: l’Italia è al fianco e a sostegno di questa mascalzonata che è il finto negoziato per piegare le ginocchia dell’Ucraina. Ma a fianco di che cosa, di grazia? Come è possibile non capire che l’unica lingua diplomatica accettabile è quella di Kallas, di von der Leyen, di Starmer, di Sikorsky e di Macron? Nel corso dei fatidici cento giorni in occidente, in quel che resta della sua impalcatura democratica e liberale, tra coloro che intendono difendere con garanzie serie l’Ucraina e l’Europa da un delirio di grande potenza imperialista basato sull’uso cinico della forza, si è cercato in ogni modo di ricondurre a una qualche logica geopolitica il più sfacciato tradimento o voltafaccia nella storia delle alleanze che si ricordi da molti decenni. Impossibile, bisognerà cominciare a dirlo chiaro e tondo. L’unica logica della mascalzonata è la mascalzonaggine, che poi sia figlia di un narcisismo impazzito e di un carattere egomaniaco che mette in imbarazzo tutti tranne i soci di stretta osservanza riuniti nella chat di Signal, questo è solo un dettaglio. Sta finendo il tempo delle esitazioni e delle indulgenze, fare senza e contro questa presidenza di abissale farabuttaggine è diventato imperativo per tutti in Europa e in quella parte di mondo che non vuole consegnarsi a un destino di vassallaggine e di irrilevanza totale, nelle mani di un branco di canaglie. 

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  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.