
Vladimir, STOP
Perché Zelensky non può accettare le condizioni di Trump sulla Crimea
Il capo della Casa Bianca dice che il presidente ucraino e Putin devono rispettare le sua scadenza per la fine del conflitto e non è interessato a capire cosa sta chiedendo a Kyiv. La nuova missione di Witkoff in Russia
“Penso che abbiamo un accordo con la Russia. Dobbiamo raggiungere un accordo con Zelensky”, ha detto Donald Trump dopo il fallimento del vertice di Londra, al quale Washington voleva portare un piano di pace da imporre all’Ucraina, tagliato sulle richieste di Vladimir Putin.
La Casa Bianca e il Cremlino si parlano, Steve Witkoff, inviato di Trump per risolvere le crisi dal medio oriente all’Europa, ha incontrato Putin due settimane fa e oggi sarà di nuovo a Mosca. Witkoff ascolta il capo del Cremlino, fa l’elenco delle sue richieste e le porta a Trump. Al capo della Casa Bianca tutte queste richieste devono sembrare ammissibili, finora le ha accettate tutte. Secondo Bloomberg oggi Witkoff proverà a parlare con Putin di un punto importante che finora era stato escluso da un accordo di pace: la sicurezza dell’Ucraina.
L’agenzia americana scrive che gli Stati Uniti chiederanno a Putin di accettare l’esistenza di un esercito e di un’industria bellica ucraini; la restituzione dei territori occupati nella regione di Kharkiv e il passaggio sul fiume Dnipro. Sarebbe la prima volta che Washington chiede a Mosca un compromesso. Per il resto, l’accordo che gli americani stanno promuovendo continuerà a prevedere il congelamento del conflitto lungo la linea del fronte, il passaggio alla Russia dei territori che ha occupato e il riconoscimento della Crimea, la penisola che Mosca ha occupato nel 2014.
Nel post su Truth in cui giovedì Trump accusava Zelensky di portare avanti “lo sterminio” e gli diceva che era liberissimo di non riconoscere la sovranità russa sulla Crimea e di continuare a combattere con il risultato di perdere, fra tre anni, l’intero paese, scriveva anche che era ormai tardi, avrebbe dovuto muoversi undici anni fa se tanto teneva alla penisola. Zelensky non era presidente undici anni fa, in Crimea si compì un’operazione russa impunita di forza militare e propaganda, Kyiv non riuscì a reagire anche perché non godeva del sostegno di grandi alleati. Nel 2018, durante il primo mandato di Donald Trump, l’allora segretario di stato Mike Pompeo chiarì che per gli Stati Uniti la Crimea era Ucraina e non ci sarebbero stati cambiamenti nel modo di riconoscere la penisola da parte dell’Amministrazione americana. Nel 2018 Pompeo dichiarava: “Gli Stati Uniti respingono il tentativo di annessione della Crimea da parte della Russia e si impegnano a mantenere questa politica finché non sarà ripristinata l’integrità territoriale dell’Ucraina”. Sette anni dopo, lo stesso presidente è invece pronto a cedere, senza capire cosa davvero rappresenti la Crimea per gli ucraini.
Nel 2014 tutto è iniziato nella penisola, soldati russi senza insegne e con il volto mascherato presero possesso delle istituzioni. Il governo locale fu rimosso. Qualche settimana dopo si tenne un referendum con il quale Mosca voleva dimostrare che gli abitanti della regione altro non chiedevano che essere russi: la validità di quel referendum non gode di nessuna legittimità. Non iniziò mai una lotta armata per la Crimea, che presto cadde dietro a un muro sempre più spesso di propaganda e paura. Dal 2014 al 2022, anno di inizio dell’invasione di tutto il territorio ucraino, Mosca ha fatto della Crimea una base militare potente: un coltello piantato contro l’Ucraina. All’interno di quel buio di informazioni in undici anni si sono consumate violenze rivolte soprattutto contro la popolazione tatara dell’Ucraina, gruppi partigiani contrari all’occupazione continuano a mandare informazioni dall’interno della penisola e tentano di resistere all’esercito di Mosca, segnalando a Kyiv le posizioni dei depositi militari. Nel pianificare le controffensive, i generali di Kyiv hanno spesso preso in considerazione l’idea di avvicinarsi alla Crimea, non ci sono mai riusciti, ma rompere il dominio russo nella penisola vorrebbe dire spezzare l’arteria che ha dato potenza e slancio all’invasione del paese. Lasciare la Crimea nelle mani della Russia vorrebbe dire invece lasciare a Mosca il suo fortino da cui iniziare la prossima guerra.
Zelensky non può riconoscere la sovranità russa sulla Crimea perché la Costituzione vieta al presidente del paese di stabilire da solo qualsiasi cambiamento territoriale: il capo dello stato non dispone dei confini né delle ricchezze del paese che appartengono al popolo dell’Ucraina. Nessun politico si farebbe promotore di una consultazione popolare del genere. Per gli ucraini, consapevoli di come undici anni di occupazione possano aver cambiato anche la mentalità di chi vive nella regione, la penisola è stata la prima delle usurpazioni. La guerra ha visto anche il coinvolgimento sempre maggiore della popolazione tatara nella vita politica e sociale del paese – per esempio il ministro della Difesa dell’Ucraina, Rustem Umerov, è tataro – e privare la popolazione tatara della regione che è sempre stata considerata la sua casa non è ammissibile.
Trump, che chiama sempre il leader ucraino per cognome e il russo per nome a indicare la distanza e la simpatia, ieri ha detto che Zelensky e Putin devono sedersi al tavolo perché lui ha una scadenza: i cento giorni della sua Amministrazione. Fa pressione sul presidente ucraino perché vuole dimostrare di aver mantenuto la promessa elettorale di far finire la guerra. Kyiv ha solo una richiesta prima di sedersi al tavolo con Putin: un cessate il fuoco che Mosca rispetti davvero.