
Trump smentito da Xi sui negoziati. Le ragioni dietro al muro di Pechino
Non stiamo parlando. La Cina nega l'esistenza dei colloqui con la Casa Bianca, e vince (per ora) la battaglia mediatica
Se l’America vuole risolvere il problema, “allora deve rimuovere tutti i dazi unilaterali imposti sulla Cina”, ha detto ieri il portavoce del ministero del Commercio di Pechino, He Yadong. Ventiquattro ore prima, il presidente americano Donald Trump si era mostrato più che ottimista, aveva detto che i dazi sulle merci cinesi sarebbero presto “diminuiti sostanzialmente” perché i colloqui con la parte cinese erano “quotidiani”. Ma poco dopo Pechino ha smentito: “Attualmente non sono in corso negoziati economici e commerciali tra Cina e Stati Uniti”, ha detto il portavoce He: “Tutte le affermazioni sui progressi nei negoziati economici e commerciali tra Cina e Stati Uniti sono voci prive di fondamento e di prove concrete”.
Pechino sta tenendo il punto con Trump in un modo inedito e inaspettato: risponde alla guerra commerciale, smentisce le sue dichiarazioni. Del resto, che il canale di comunicazione fra la Casa Bianca e il Zhongnanhai è chiuso, sigillato da almeno due mesi, era un fatto già noto, e non è chiaro perché Trump abbia detto il contrario anche ieri, quando a una domanda di un giornalista ha risposto che “loro” avevano avuto un incontro “anche stamattina”. Quando il giornalista ha chiesto: “Chi sono loro?” il presidente ha risposto: “Non posso dirlo, non importa”. E’ probabile che Trump si riferisse ai due funzionari del governo di Pechino che ieri si trovavano a Washington ufficialmente per delle discussioni sull’“economia globale” e su cui si è speculato molto: secondo la Cnn non avrebbero voluto incontrare alcun funzionario della Casa Bianca. Se ci fosse stato qualche contatto informale, e Trump l’avesse svelato, sarebbe un altro problema diplomatico per la leadership cinese. Del resto, anche i colloqui ufficiali sul traffico di fentanyl, iniziati dall’Amministrazione Biden, sono sospesi nonostante uno dei punti principali delle promesse elettorali di Trump (gli oppiacei vengono prodotti per larga parte dalla Cina e passano il confine americano attraverso il Messico) era proprio quello di bloccarne il mercato illegale.
La possibilità da parte di Pechino di poter smentire la leadership americana è un altro punto a suo favore nella costruzione di un’immagine solida di una potenza economica autorevole e coerente. Secondo diversi media americani, le dichiarazioni del presidente e del segretario al Tesoro Scott Bessent – che durante un incontro a porte chiuse con gli investitori ospitato da JP Morgan ha detto che una de-escalation dei dazi con Pechino sarebbe arrivata presto perché nessuno dei due paesi può permettersi una guerra commerciale prolungata – servivano probabilmente a calmare i mercati: le borse americane da ieri sono in leggero rialzo. Ma la Cina continua a essere irremovibile, e appare l’unico paese che non è disposto a fare il primo passo con Trump per attivare il dialogo. Secondo Bloomberg, la Casa Bianca avrebbe più volte tentato di organizzare una telefonata diretta con il leader Xi Jinping, ma il colloquio di più alto livello è stato finora negato dalla Cina, che vuole dettare alcune condizioni, tra cui un linguaggio più rispettoso nei confronti della Cina, anche per esempio sulle rivendicazioni su Taiwan, e la nomina di un alto funzionario americano a capo dei negoziati (sanno che un negoziato direttamente con Trump sarebbe poco sostanziale o impossibile da sostenere).
Dopo le smentite arrivate da Pechino, ieri il presidente americano è tornato minaccioso, commentando su Truth la notizia della Cina che ha rimandato indietro i due nuovi Boeing che aveva ordinato a causa dei dazi: “La Boeing dovrebbe fare causa alla Cina”, ha scritto il presidente. “Questo è solo un piccolo esempio di ciò che la Cina ha fatto agli Stati Uniti, per anni... E, a proposito, il fentanyl continua a entrare nel nostro paese dalla Cina. Ed è meglio che si fermi, ORA!”. Gordon Chang, commentatore di Fox e noto trumpiano di ferro, ha scritto su X che la “dura risposta” della Cina ai commenti “conciliatori” di Trump sarebbe la dimostrazione che Xi non è più così convinto “di poter trarre vantaggio dalla situazione”. Secondo analisti più autorevoli, Chang non avrebbe tutti i torti. Nonostante le minacce e i ramoscelli d’ulivo di Trump, per adesso la Cina sta vincendo la battaglia comunicativa con gli Stati Uniti, per la prima volta anche usando i social network in modo convincente. Ma sul piano interno, la propaganda censura e annacqua una visione piuttosto cupa e meno granitica dei cinesi sulla guerra commerciale. Un esperto di politica estera cinese, in forma anonima, ha detto alla Cnn che “le autorità cinesi non dicono la verità. Ci stanno torturando con il loro torvo declino economico”. Un altro economista dell’Accademia cinese delle scienze sociali che aveva criticato le contromisure di Pechino contro l’America per il rischio di un peggioramento della situazione economica e sociale è stato censurato. Secondo il giornalista del Nikkei Katsuji Nakazawa, dietro al rifiuto della Cina di avviare negoziati sui dazi con l’Amministrazione Trump c’è “la possibilità che Trump faccia richieste che potrebbero mettere a rischio il regime monopartitico cinese”, e cioè di bloccare la manipolazione valutaria dello yuan, uno dei cardini della leadership del Partito comunista cinese.