
Donald, STOP
Nell'Amministrazione americana più disfunzionale di sempre, l'unico punto fisso è Putin
Le liti, le mogli, le chat. Trump ha una sola (tremenda) certezza: legittimare il presidente russo
In quasi cento giorni di mandato, a Donald Trump, presidente dell’Amministrazione più disfunzionale di sempre, è riuscita soltanto una cosa: legittimare Vladimir Putin, allinearsi a lui. Nell’intervista a Time pubblicata ieri – ennesimo promemoria per noi alleati – dice: “Credo che ciò che ha scatenato la guerra è stato quando hanno iniziato a parlare di entrare nella Nato”. Cioè: sono stati gli ucraini, e gli alleati che gli hanno dato retta (gli europei e l’Amministrazione Biden), a causare l’aggressione russa all’Ucraina. E’ la teoria della provocazione tanto cara al Cremlino e ai filorussi. “La pace negoziata che Trump sta cercando – scrive Eric Cortellessa su Time – cederebbe a Putin circa il 20 per cento del territorio ucraino. ‘La Crimea resterà alla Russia’, dice Trump”. I dettagli del negoziato cambiano ogni momento, la linea guida no: l’isolamento di Putin è finito, la sua aggressione sarà perdonata, l’Ucraina dovrà ringraziare Trump che le evita altri sacrifici inutili perché contro una potenza 20 volte più grande non può vincere, non avrebbe nemmeno dovuto provarci. Anche qui, come in molti altri contesti, in particolare quello economico relativo all’introduzione dei dazi, i segnali di un piano non funzionante ci sono tutti, basterebbe guardare quanto Putin ha intensificato gli attacchi contro l’Ucraina per esempio, ma Trump non fa passi indietro. Accenna qualche ripensamento – ha minacciato le sanzioni, ha scritto “Vladimir, stop” su Truth dopo l’attacco a Kyiv – ma l’impianto della difesa dell’Ucraina come difesa dell’occidente non c’è più.
Funziona solo Putin, per Trump. Steve Bessent, segretario al Tesoro, si è preso a male parole con Elon Musk, factotum sfrondatore che pensa di tornare a occuparsi più di Tesla, il cui valore precipita, che dei tagli all’amministrazione pubblica. Hanno litigato davanti a Trump per la nomina alla guida dell’Irs, l’agenzia delle entrate, che ha cambiato quattro direttori in tre mesi (l’ultimo è durato tre giorni): Musk aveva un nome, Bessent ne aveva un altro, prima è stato scelto quello di Musk, poi quello di Bessent, nel frattempo i due si sono scontrati, l’uomo più ricco del mondo ha definito il segretario al Tesoro “un agente di Soros” (Bessent ha lavorato nella fondazione del magnate liberale), l’altro gli ha risposto – ha scritto il sito Axios – con un vaffanculo, Musk gli ha detto: “Dillo a voce alta” e sul suo social X ha mandato i suoi soliti pizzini minatori, senza però arrivare ai toni che Musk ha utilizzato contro il consigliere-ideologo dei dazi Peter Navarro e il segretario ai Trasporti Sean Duffy. Uno scontro simile (smentito, come tutto, dalla portavoce della Casa Bianca, Karoline Leavitt) c’era stato durante uno dei primi Consigli dei ministri tra Musk e Marco Rubio, segretario di stato, che ora è in altri guai affaccendato, visto che vuole riformare il suo dipartimento ma non risolve il vizio originario del suo mandato: non decide niente, la diplomazia americana è in mano a Steve Witkoff, l’inviato che deve fare la pace a tutti i costi, dialoga con la Russia e l’Iran e se ne infischia (come Trump) degli alleati, l’Ucraina e ancora di più Israele.
Al Pentagono però si sta perfino peggio. Pete Hegseth è in questo momento senza un chief of staff, un vice chief of staff e consiglieri: li ha licenziati, accusandoli di aver fatto trapelare informazioni riservate su di lui e prendendosela con il “deep state” che lo ingabbia e lo mortifica, ma, scrive il Wall Street Journal, “i licenziamenti hanno coinvolto assistenti che conoscevano Hegseth da anni e che lo avevano aiutato durante le difficoltose audizioni di conferma”. Sulla riservatezza poi Hegseth non ha molto da rinfacciare ai suoi collaboratori, visto che ha discusso i piani di bombardamento dello Yemen in una chat con i suoi parenti e il suo avvocato personale (sempre su Signal, ma non sulla chat in cui era stato inavvertitamente invitato il direttore dell’Atlantic), che si porta la moglie Jennifer dentro ai vertici internazionali (come quello della Nato a Bruxelles), che ha Signal installato su un computer al Pentagono su una linea non protetta. Trump lo difende, Hegseth dice che non c’è modo di fermare la sua rivoluzione, ma un po’ preoccupato lo è, come tutti i membri di questo governo disfunzionale, che vuole allargare il suo potere levandolo alle altre istituzioni – al Congresso, ma anche ai tribunali: non segue nemmeno la Corte suprema – che vede minacce ovunque – l’Europa e Harvard per esempio – ma che deve continuamente correggersi, emendarsi, tranne che per quel che riguarda Putin.

Editoriali