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Dal Washington Post

E sono solo cento giorni di Trump

Naftali Bendavid

Il presidente americano si paragona a Roosevelt che nelle prime 15 settimane del suo mandato nel 1933 sconvolse un’America resa irriconoscibile dalla Grande depressione. Ma ci sono molte differenze, e un consenso diverso

Sin dai primi, sconvolgenti cento giorni di mandato di Franklin D. Roosevelt, nessun presidente aveva eguagliato il livello di drammaticità e di rottura di quelle 15 settimane del 1933, che riscrissero il rapporto tra gli americani e il loro governo. Almeno fino a ora.
 

La disruption iniziale del presidente Donald Trump ha similmente stravolto il funzionamento del governo, infranto tradizioni e persino sollevato nuove domande su cosa significhi essere americani. Non è un caso che Trump abbia ripetutamente citato Roosevelt come modello per il suo impatto e per il suo posto nella storia. Ma con il traguardo dei cento giorni di Trump, le differenze sono almeno tanto nette quanto le somiglianze. L’offensiva di Roosevelt, nel pieno della Grande depressione, mirava a espandere la presenza dello stato nella vita degli americani. La crociata di Trump, invece, mira per lo più a smantellarla. Forse è ancora più cruciale ricordare che il Congresso si unì al presidente per approvare più di una decina di leggi rilevanti nei primi cento giorni di Roosevelt, riflettendo il diffuso entusiasmo nazionale per la sua rivoluzione. Trump, invece, ha governato principalmente tramite azioni esecutive unilaterali, il che gli permette di ignorare l’opposizione ma impedisce anche la costruzione di un ampio consenso politico – le sue decisioni sono così più a rischio a di annullamento.

“Roosevelt passò moltissimo tempo a cercare giustificazioni costituzionali per le sue leggi, redigendole in modo che i tribunali potessero accettarle”, dice lo storico Anthony Badger, autore di FDR: The First Hundred Days: “Non cercava di fare ogni cosa tramite gli ordini esecutivi”. Pochi contestano il fatto che Trump abbia avuto un impatto significativo durante i suoi primi cento giorni alla Casa Bianca. Ha costretto migliaia di dipendenti dell’amministrazione pubblica a lasciare il posto di lavoro. Ha chiuso agenzie come quella per gli aiuti internazionali (UsAid). Ha imposto dazi commerciali di vasta portata ai partner commerciali dell’America. Ha eliminato i programmi per l’inclusione (Dei) a livello nazionale e ha imposto cambiamenti a università, studi legali e aziende. “Nei suoi primi cento giorni, il presidente Trump ha mantenuto centinaia di promesse e ha già raggiunto i suoi due obiettivi più importanti della campagna: il confine è sicuro e l’inflazione sta finendo”, ha dichiarato la portavoce della Casa Bianca, Karoline Leavitt. “I prossimi cento giorni saranno dedicati ad accordi commerciali, accordi di pace e tagli fiscali. Altra greatness americana è in arrivo”.

 

                   

 

Ma la maggior parte degli elettori disapprova finora le sue politiche, inclusa la gestione dell’immigrazione e dell’economia, due dei suoi punti su cui è tradizionalmente più forte. Complessivamente, il suo tasso di popolarità è sceso al 39 per cento, contro il 55 per cento che disapprova, secondo un nuovo sondaggio Washington Post-Abc News-Ipsos. E mentre molte delle azioni di Trump potrebbero avere conseguenze a lungo termine, un futuro presidente potrebbe revocare istantaneamente i suoi ordini esecutivi, che nel frattempo si scontrano con  una serie di reazioni dei tribunali.

“Roosevelt mise in atto provvedimenti che durarono per il resto del secolo e oltre”, dice Elaine Kamarck, studiosa delle presidenze americane alla Brookings Institution che ha lavorato nell’Amministrazione Clinton. “Nulla, nulla, nulla di questi duecento ordini esecutivi probabilmente sopravvivrà al mandato di Trump.”

Naturalmente, questa è la seconda esperienza di Trump con i “primi cento giorni”, dato che i suoi due mandati presidenziali non sono stati consecutivi. Ma nel 2017 si era mostrato quasi sorpreso da vari aspetti del suo incarico e aveva operato con più lentezza: a questo punto, aveva firmato 24 ordini esecutivi entro questo punto del primo mandato, contro i circa 140 finora. Probabilmente l’unico disegno di legge significativo approvato quest’anno, oltre alle misure di bilancio obbligatorie, è il Laken Riley Act, che consente la detenzione di immigrati senza documenti accusati di crimini legati al furto. Per contro, il Congresso approvò 16 importanti leggi nei primi cento giorni di Roosevelt, spesso con ampie maggioranze bipartisan. Tra queste, lo storico National Industrial Recovery Act, che creò due nuove agenzie e stabilì regole durature sui diritti sindacali e sulla concorrenza aziendale. 

Trump cita regolarmente Roosevelt, talvolta presentandolo come modello, altre volte come avversario. In un incontro con i governatori repubblicani a febbraio, Trump disse che lui e Roosevelt hanno guidato i cambiamenti politici dell’ultimo secolo: “Stiamo forgiando una nuova maggioranza politica che sta distruggendo e sostituendo la coalizione del New Deal di Franklin Roosevelt, che ha dominato la politica americana per quasi cento anni”. Già nel giugno del 2017, Trump citava FDR come uno dei pochi presidenti paragonabili a lui: “Non c’è mai stato un presidente – con poche eccezioni: nel caso di FDR, aveva una grande depressione da affrontare – che abbia approvato più leggi o fatto più cose di quante ne abbiamo fatte noi”, disse. Trump è chiaramente affascinato anche dallo status di Roosevelt come unico presidente ad aver servito più di due mandati. Nel maggio del 2024 ne aveva parlato durante un incontro alla National Rifle Association. “Sapete, FDR aveva una voce bellissima, patrizia. Voce magnifica. Grande oratore. Uomo molto intelligente”, disse Trump. “Sapete, FDR – 16 anni, quasi 16 anni. Quattro mandati. Non so, noi saremo considerati una presidenza di tre mandati o di due?”

Nel 1951, in seguito alla presidenza di Roosevelt, fu ratificato il 22esimo Emendamento della Costituzione, che limita a due il numero di mandati presidenziali. Roosevelt riuscì a realizzare così tanto così velocemente perché il paese era nel pieno di una calamità senza precedenti: alcuni americani temevano che gli Stati Uniti fossero sul punto di crollare. Quasi il 25 per cento degli americani era disoccupato. Il sistema bancario era collassato, con circa settemila fallimenti di istituti di credito. I prezzi erano crollati del 25 per cento. In tutto il paese spuntavano baraccopoli, dove famiglie disperate costruivano rifugi di fortuna. “Il paese, in alcuni posti, era irriconoscibile”, dice David Woolner, professore di Storia alla Marist University e senior fellow del Roosevelt Institute. “In posti come la West Virginia si rischiava addirittura la fame. Lo stato della Georgia licenziò tutti i suoi insegnanti perché non riusciva più a pagarli.”

L’economia al momento dell’insediamento di Trump, a gennaio, era relativamente solida, nonostante l’inflazione persistente che frustrava molti americani. La disoccupazione era al 4 per cento e a gennaio erano stati creati 143 mila posti di lavoro, parte di una lunga serie di crescita occupazionale. Ma Trump non la vedeva così. All’insediamento aveva detto che gli Stati Uniti si trovavano in uno stato di crisi morale, economica e sociale che richiedeva rimedi drastici. “Un’élite radicale e corrotta ha estratto potere e ricchezza dai nostri cittadini, mentre i pilastri della nostra società giacevano rotti e in completo disfacimento”, disse nel suo discorso inaugurale il 20 gennaio. “Ora abbiamo un governo che non riesce a gestire nemmeno una semplice crisi interna, mentre inciampa in una serie continua di eventi catastrofici all’estero”. Nelle prime ore in carica, Trump ha dichiarato un’“emergenza energetica”, cosa che gli ha consentito di allentare le regolamentazioni sui combustibili fossili. Ha invocato poteri economici d’emergenza per imporre dazi ai partner commerciali. Ha dichiarato che gli Stati Uniti erano vittime di una “invasione o incursione predatoria” per giustificare una serie di rimpatri sommari. Tevi Troy, storico della presidenza che ha lavorato nell’Amministrazione di George W. Bush, sottolinea che gli americani possono sentirsi in crisi anche quando gli esperti non lo vedono così.

“In quei momenti, può sembrare una crisi”, dice Troy. “Così è come Trump ha presentato la situazione ai suoi elettori: ‘Abbiamo una crisi al confine; abbiamo una crisi con la Cina.’ I presidenti spesso dipingono le situazioni come crisi, sia per vincere voti sia per giustificare le azioni che intraprendono”. Trump e i suoi collaboratori hanno ripetutamente giustificato la sfilza di decreti presentando un paese in crisi, ma anche rivendicando il mandato conferitogli dagli elettori. Ma il mandato di Trump impallidisce rispetto alla vittoria schiacciante di Roosevelt nel 1932, che rifletteva la profonda sete di cambiamento della popolazione. Roosevelt ottenne il 57 per cento del voto popolare contro il 40 del presidente uscente Herbert Hoover, e i democratici ottennero ampie maggioranze in Congresso – 59-36 al Senato e 310-117 alla Camera. Trump, a novembre, si è fermato appena sotto il 50 per cento del voto popolare, sconfiggendo la sua avversaria, la vicepresidente Kamala Harris, con un margine dell’1,5 per cento. I repubblicani hanno sottili maggioranze sia alla Camera sia al Senato.

 

                   

Sarebbe però un errore dipingere Roosevelt come del tutto restio ad agire unilateralmente, dicono gli storici. Nel suo primo discorso inaugurale, Roosevelt avvertì il Congresso che se non avesse approvato la legislazione necessaria, avrebbe richiesto “ampi poteri esecutivi per combattere l’emergenza, tanto ampi quanto quelli che mi verrebbero concessi se fossimo realmente invasi da un nemico straniero”. Come Trump, Roosevelt affrontò numerose sfide giudiziarie, che portarono alla sua proposta, ampiamente criticata, di espandere la Corte Suprema per impedire che bocciasse le sue leggi. E Roosevelt sapeva attaccare i suoi oppositori per trarne vantaggio politico. “Roosevelt era molto bravo a parlare degli economic royalists che cercavano di fermare i cambiamenti che voleva”, dice H.W. Brands, storico dell’Università del Texas ad Austin e autore di Traitor to His Class: The Privileged Life and Radical Presidency of Franklin Delano Roosevelt. “Era bravo a prendersela con i fat cats di Wall Street’. Diceva: ‘Mi odiano, e io godo del loro odio’”.

Gli storici dicono che le condizioni che portarono all’elezione di Roosevelt potrebbero non ripetersi mai più. La Grande depressione fu una catastrofe storica, e il paese è diventato così polarizzato che un’ondata collettiva d’azione come quella che portò al New Deal sembra ormai un’ipotesi remota. Nonostante ciò, ogni presidente è sotto pressione, vuole dimostrare di essere partito a razzo nei primi cento giorni. “Ogni Amministrazione da FDR in poi sente questa pressione: ‘Cosa faremo nei primi cento giorni? Cosa realizzeremo per gli americani in quel periodo?’”, dice Troy, ricordando il suo ingresso nell’Amministrazione Bush. Kamarck ricorda che l’Amministrazione Clinton affrontò il traguardo dei cento giorni portando avanti le sue iniziative principali, inclusa la riforma sanitaria e della previdenza sociale. “L’unico modo per avvicinarsi ai cento giorni di Roosevelt è avere maggioranze schiaccianti al Congresso”, dice Kamarck: “Sapevamo che i cento giorni sarebbero stati un parametro, anche se artificiale. Sapevamo che la stampa ne avrebbe parlato”.

Naftali Bendavid
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