il trumpismo e i suoi effetti

Il miracolo dei primi 100 giorni di Trump: mettere d'accordo gli economisti

Luciano Capone

Gli esperti di economia, che si dividono su tutto il resto, sono largamente concordi nel dire che i dazi sono un danno auto inflitto all'economia. Ma per Krugman il disastro protezionista può salvare la democrazia americana dall'autoritarismo

I primi 100 giorni di governo Donald Trump hanno prodotto alcune cose apparentemente impossibili: la resurrezione della sinistra in diversi paesi del mondo (si pensi al Canada, dove i liberali sembravano morti ma grazie ai dazi trumpiani hanno recuperato lo scarto enorme che li separava dai conservatori e stanotte hanno vinto le elezioni); l’inopinata riscoperta, a destra come a sinistra, dei pregi del libero mercato e della globalizzazione da parte di chi fino a poco tempo fa ne denunciava tutti i mali; l’improvvisa presa di coscienza, a Bruxelles, che l’eccessiva regolamentazione dal Green Deal in giù soffoca l’economia (i famosi “autodazi”).

Ma Trump è andato persino oltre. Gli è riuscito, in appena 100 giorni, un prodigio assoluto: mettere d’accordo gli economisti, la categoria professionale che più di tutte (persino più dei virologi durante il Covid) ha idee diverse e opposte su qualsiasi argomento. Al proposito, una celebre massima di Winston Churchill diceva che “se si mettono due economisti in una stanza, si ottengono due opinioni, a meno che uno dei due non sia Lord Keynes, nel qual caso se ne ottengono tre”. Con Trump no: i suoi dazi hanno raggiunto un parere pressoché unanime. Se si mettessero migliaia di economisti in una stanza, anziché i due proverbiali di Churchill, si otterrebbe molto probabilmente una sola opinione.

È quello che, in una certa misura, ha misurato il Clark Center dell’Università di Chicago, che periodicamente fa dei sondaggi tra gli economisti su alcune questioni politiche cruciali. Rispetto all’obiettivo dichiarato dell’Amministrazione Trump sul fatto che l’aumento dei dazi sulle importazioni comporterebbe una sostanziale riduzione del deficit commerciale degli Stati Uniti, solo l’1% si è dichiarato d’accordo. Nel 2018, durante il suo primo mandato, rispetto a un’analoga affermazione sul fatto che imporre nuovi dazi su acciaio e alluminio (peraltro aumentati di nuovo ora durante il suo secondo mandato) avrebbe migliorato il benessere degli americani, a essere d’accordo non c'era nessuno (24% in disaccordo e 76% fortemente in disaccordo).

Fino a pochi mesi fa gli economisti americani discutevano animatamente, anche all’interno dello stesso campo politico o culturale, su ogni tema: dalla politica monetaria della Fed alle politiche fiscali di Joe Biden. Erano soprattutto gli economisti vicini ai democratici a dividersi, per esempio tra quelli che criticavano gli stimoli fiscali di Biden e gli errori di Powell alla base dell’inflazione e quelli che dicevano che l’incremento dei prezzi sarebbe stato “transitorio”. Stavolta, invece, sono tutti d’accordo: i dazi faranno aumentare i prezzi e rallentare l’economia, con il rischio di mandarla in recessione. Senza, peraltro, nessun altro effetto positivo, economico o strategico, di breve o lungo termine, su occupazione, confronto con la Cina, deficit fiscale, ruolo del dollaro.

Solo un economista con il gusto del paradosso come Paul Krugman ha ringraziato Peter Navarro, il consigliere economico che sta dietro alla forsennata politica dei dazi della Casa Bianca, per aver contribuito a “salvare la democrazia”. Il premio Nobel per l’economia ha ricordato infatti sul suo blog che, storicamente, l’instaurazione di regimi autoritari o dittatoriali in paesi una volta democratici si fonda “sulla percezione di un successo economico” da parte della popolazione. Il caso emblematico citato da Krugman è il consolidamento del potere da parte del regime nazista di Adolf Hitler grazie alla riduzione della disoccupazione in Germania. Qualcosa del genere si può dire in tempi più recenti con il rafforzamento di Vladimir Putin a causa della stabilizzazione dell’economia russa dopo la crisi degli anni Novanta.

Il caso di Trump, invece, è opposto: aveva ereditato un’economia in buona salute e con il Liberation day sta provocando uno choc negativo che, molto probabilmente, farà scendere ulteriormente l’approvazione nei confronti del presidente, che è già ai minimi storici dopo cento giorni. “Trump e i suoi consiglieri economici, mandando tutto all’aria, ci hanno dato una possibilità. Grazie, Peter Navarro”, scrive Krugman. Sul fatto che quello di Trump sia un grande e inutile danno autoinflitto all’economia sono tutti d’accordo, ma sul fatto che questa possa essere la strada – come dice Krugman – per salvare la democrazia gli economisti torneranno di sicuro a dividersi.

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali