Il divorzio del secolo
Quanto è difficile lasciare l’Europa. Alberto Nardelli e Ben Judah ci spiegano dove si va dopo la Brexit. Lo Spitzenkandidat rock dei sovranisti e una statua al confine
"Era il tempo peggiore e il tempo peggiore. Di nuovo. Perché le cose a un certo punto questo fanno. Crollano".
Ali Smith, "Autunno"
14 marzo 2019
La prima immagine della Brexit risale al 23 gennaio del 2013, quando l'allora premier David Cameron, ospite nel quartier generale di Bloomberg, disse: "E' giunto il momento per il popolo britannico di prendere la parola. Dobbiamo risolvere la questione europea. Dico al popolo britannico: questa decisione è vostra".
Duemiladuecentoventidue giorni dopo, siamo messi così:
Che cosa è successo nel frattempo? Di tutto.
La sintesi migliore l'ha fatta una scrittrice molto brava, Ali Smith, che ha cominciato il suo romanzo "Autunno" con la frase che apre questa newsletter – le cose questo fanno: crollano – e che sempre in questo libro bellissimo scrive del voto sulla Brexit:
"In tutto il paese, la gente sentiva che questa fosse la cosa sbagliata. In tutto il paese, la gente sentiva che questa fosse la cosa giusta. In tutto il paese, la gente era convinta di aver perso. In tutto il paese, la gente era convinta di aver vinto. In tutto il paese, la gente pensava di aver fatto la cosa giusta e che altri avessero fatto la cosa sbagliata. In tutto il paese, la gente cercava su Google: che cos'è l'Unione europea? In tutto il paese, la gente cercava su Google: trasferirsi in Scozia. In tutto il paese, la gente cercava su Google: come si ottiene un passaporto irlandese. In tutto il paese, la gente si dava di stronzo. In tutto il paese, la gente si sentiva indifesa. In tutto il paese, la gente si teneva la pancia dal ridere. In tutto il paese, la gente si sentiva legittimata. In tutto il paese, la gente si sentiva in lutto e sotto choc. In tutto il paese, la gente si sentiva nel giusto. In tutto il paese, la gente si sentiva male. In tutto il paese, la gente si sentiva la storia sulle proprie spalle. In tutto il paese, la gente sentiva che la storia non contava nulla. In tutto il paese, la gente aveva appeso le proprie speranze. In tutto il paese, la gente sventolava bandiere sotto la pioggia. In tutto il paese, la gente disegnava svastiche sui muri. In tutto il paese, la gente minacciava altra gente. In tutto il paese, la gente diceva alla gente di andarsene. In tutto il paese, i media erano usciti di testa. In tutto il paese, i politici mentivano. In tutto il paese, i politici andavano in pezzi. In tutto il paese, i politici si dileguavano”.
Sintesi migliore non c'è: tutti pensano di avere ragione, tutti pensano di essere vittime di qualche ingiustizia, tutti accusano tutti.
Oggi ci dedichiamo al primo divorzio della storia dell'Unione europea, di come è andato finora e di quel che accadrà adesso.
La morale: quando ti ricapita una moglie come l'Europa?
Abbiamo imparato con il tempo che se dici Brexit tutti fingono di rispondere al telefono, hanno un impegno urgente, un parente in ospedale o il gatto in fin di vita. Però capire come siamo arrivati fin qui, nel panico a quindici giorni dalla data della Brexit (il 29 marzo), è interessante.
Sulle responsabilità del governo di Theresa May si è detto molto.
- Le linee rosse tracciate da Theresa May: fare una Brexit chiara ordinata e negoziata; proteggere l'integrità territoriale del Regno Unito; avere pieno controllo su frontiere, legislazione e soldi; avere una politica commerciale autonoma.
- Le fantasie, che sono emerse nel 2018, perché come dice Warren Buffet, "quando la marea s'abbassa, si vede chi nuota nudo".
- La Brexit easy: Liam Fox, ministro al Commercio, disse che negoziare un accordo commerciale con l'Ue sarebbe stata "una delle cose più facili della storia dell'uomo". Ha dovuto ricredersi, e con lui molti altri.
- Sul confine nordirlandese poi, che caos. Il ponte vagheggiato dall'ex ministro degli Esteri Boris Johnson è insuperabile, ma la caccia all'unicorno su questa frontiera è da libri di storia
- Ci sarebbero anche i vari ministri e deputati conservatori, ma andremmo per le lunghe. Basti una cosa sola: David Davis, ex ministro per la Brexit, si è dimesso nel luglio scorso in opposizione all'accordo della May, le ha fatto una enorme opposizione, e martedì ha votato a favore dell'accordo della May.
La campagna pubblicitaria lanciata a fine gennaio da un gruppo anti Brexit che si chiama "Governati da asini" è molto bella.
Ora facciamo un gioco.
Non sbirciate sotto, è divertente provarci.
Chi ha detto queste frasi?
Sono tutte dette da leader importanti del Regno Unito.
1."Per chi è contro la Brexit e per chi è a favore della Brexit il referendum ha sempre riguardato temi più grandi della semplice relazione con un nostro partner commerciale e le sue regole. Riguarda quel che è accaduto negli anni passati e come vogliamo costruire un futuro migliore"
2."Abbiamo bisogno di una visione per il futuro del nostro paese, una visione che non valga soltanto per pochi privilegiati, ma per ognuno di noi"
3."Non possiamo fermare la Brexit. C'è stato un referendum. L'articolo 50 è stato attivato. L'unica cosa che possiamo fare è capire le ragioni di chi ha votato per l'uscita dall'Ue"
4."E' chiaro che la libertà di movimento finisce quando usciamo dall'Unione europea, ma ci sarà un'immigrazione controllata, che sarà equa e giusta"
5."Qualsiasi paese, che sia la Turchia, la Svizzera o la Norvegia, che sia geograficamente vicino all'Ue, senza essere un membro dell'Ue, ha una relazione molto stretta con l'Ue. Alcuni se ne avvantaggiano più di altri. E il Regno Unito ha bisogno di definire una relazione negoziata e su misura con l'Ue"
Non sbirciate. Come è andata?
C'è qualche frase detta da Boris Johnson? O da Theresa May? O da Jeremy Corbyn?
Sono tutte di Jeremy Corbyn, leader del Labour, tranne la seconda, che è stata detta dalla May (ed è quella che pare più corbyniana).
Se non c'è stata una opposizione seria, dettagliata e visionaria alla Brexit, la responsabilità è di Corbyn. Se siamo arrivati fin qui, in questo panico, è responsabilità anche di Corbyn.
Il momento in cui sono crollate le speranze di avere un partito laburista di fiera opposizione alla Brexit è stato quando Nigel Farage, falco della Brexit e fondatore del nuovo Brexit Party, si è congratulato con Corbyn: è più euroscettico di me!
Ah, e la svolta di Corbyn a favore di un secondo referendum non era vera.
Oggi ai Comuni inglesi si vota per la proroga dell'articolo 50 del Trattato di Lisbona, che era stato attivato il 29 marzo del 2017 e prevede, dopo due anni di negoziati, l'uscita del Regno Unito dall'Ue.
Due anni non sono bastati.
L'Europa chiede al Regno Unito un'unica domanda: a che cosa vi serve il tempo in più? Ed è disposta ad accettare tre motivazioni:
1. preparasi al no deal
2. ratificare l'accordo già firmato, quello che è stato già bocciato due volte ai Comuni
3. un'elezione generale o un nuovo referendum
Alberto Nardelli, Europe Editor di BuzzFeed News che vince premi per i suoi scoop, ieri ha messo le mani per primo sul documento dell'Unione europea che spiega che cosa si aspetta ora da Londra.
Lo abbiamo intervistato (anche se è esausto, come dice la sua direttrice) e ci ha spiegato che:
E' esclusa una Brexit il 29 marzo? "E' improbabile, ma è ancora possibile un no deal 'by accident'"
- Ci sarà un terzo voto sull'accordo May? "Possibile"
- A cosa serve il tempo in più? "Il Regno Unito deve chiederlo, e ci deve essere un motivo specifico. Per esempio: per tenere le elezioni. Ma è un dibattito complicato, sia dal punto di vista politico sia dal punto di vista legale"
- La marcia del People's Vote, il 23 marzo, può cambiare qualcosa? "E' uno scenario possibile"
- Chance che la Brexit non si faccia più? "Possibile, anche se credo molto improbabile che i parlamentari decidano di cancellare la Brexit"
- Quanto alle elezioni europee. A cosa bisogna badare? "L'affluenza (solitamente molto bassa), quanto reggeranno i partiti socialdemocratici in crisi ovunque, come si organizzeranno i partiti populisti, se in un blocco coerente oppure no"
- Personaggi da seguire? "Oltre agli ovvi Macron e Salvini, sono importanti le scelte dei Kaczyński e degli Orbán, che prima o poi saranno costretti a decidere se far parte del mainstream europeo o se staccarsi"
- Se come Donald Tusk potessi scegliere chi mandare all'inferno? "... non lo auguro a nessuno!"
Già che c'eravamo, abbiamo sentito un altro esperto, per orientarci meglio.
Ben Judah, che scrive su molti giornali internazionali e ha pubblicato un libro pieno di storie e di voci inusuali – "This is London", un viaggio dentro alla Londra meno conosciuta e ai suoi segreti – ci ha condotte in una strada che oggi appare più plausibile: il Regno Unito partecipa alle elezioni europee.
Come andrà?
- Conservatori e laburisti sono destinati a non andare bene, anche perché la partecipazione stessa a queste elezioni è la sintesi del fallimento di due anni di politica e di diplomazia
- Potrebbe imporsi di nuovo Nigel Farage, con il suo Brexit Party, e così di nuovo l'unico tema di cui si parla sarebbe il divorzio: "Questo finirebbe per penalizzare soprattutto il Labour, non soltanto perché Corbyn preferirebbe parlare di politiche anti austerity ma anche perché il Labour sulla Brexit è estremamente debole"
- Se il nuovo movimento contro la Brexit nato da fuoriusciti del Labour e dei Tory, The Independent Group, riesce a creare una coalizione attorno a sé potrebbe avere delle chance per emergere come il vero partito anti Brexit
- L'Europa non è sempre d'aiuto, nemmeno per chi è contro il divorzio. La frase di Tusk sul "posto speciale all'inferno" per chi si è inventato la Brexit senza avere un piano è "immatura e viene usata dai brexiteers come dimostrazione dell'istinto punitivo di Bruxelles", un'altra buona ragione per andarsene. Judah all'inferno non ci vuole mettere nessuno.
A proposito, Donald Tusk, che noi qui adoriamo, ne ha combinata un'altra (su Instagram):
In sintesi: il 29 marzo non ci sarà la Brexit, ben che vada la May, al terzo voto ai Comuni, fa passare il suo accordo, e poi ci vogliono i tempi tecnici della ratifica. Se le motivazioni della proroga vengono accettate, la Brexit può essere rimandata (di molto) o addirittura ribaltata. Il no deal, anche se escluso da Westminster, è ancora una possibilità.
Sui tempi della proroga qui c'è spiegato tutto.
Due postille.
Massima solidarietà al New York Times che, come tutti noi, ha preparato due versioni dell'esito del voto ai Comuni martedì (May perde, May vince) e poi ha pubblicato un mix.
E massimissima solidarietà a Jack Blanchard, autore della newsletter londinese di Politico Europe, che ieri ha scritto:
“I grandi partiti europei offrono la scelta tra la Coca Cola Light e la Coca Zero”
My #Spitzenkandidat campaign program is now online as well. You can find it here ➡️ https://t.co/l0suMWo6V4 #RetuneTheEU pic.twitter.com/VuVSw5t7We
— Jan Zahradil (@ZahradilJan) 28 novembre 2018
Jan Zahradil si è presentato così, come l’alternativa agli Spitzenkandidat Manfred Weber del Partito popolare europeo (la Coca Light), e Frans Timmermans del Partito del socialismo europeo (la Coca Zero).
Nei manifesti per la campagna elettorale lo spitzenkandidat dei sovranisti è a mezze maniche. Una magliettina leggera, nera, con al centro un cerchio e lo slogan “Retune the Eu” (Risintonizza l’Ue) e delle onde radio come simbolo.
Il candidato per la Commissione dei Conservatori e riformisti è della Repubblica ceca, ha 55 anni ed è entrato in politica durante la Rivoluzione di velluto. Raccontano che provò anche a diventare presidente – dopo aver sussurrato all’orecchio di Václav Klaus – ma dovette accontentarsi soltanto della carica di vicepresidente nel 2002.
Quando i Conservatori e riformisti hanno lanciato la loro campagna elettorale per le europee, a fine novembre del 2018, hanno cercato di farlo nel modo più insolito possibile: in un bar pieno di candelabri e carta da parati con immagini di pavoni. Hanno chiamato a esibirsi il gruppo blues, dal nome evocativo – Exiled in Bruxelles – e la canzone di apertura, Crossroad Blues di Robert Johnson, l’ha cantata l’eurodeputato britannico Syed Kamall.
In quell’occasione Zahradill ha promesso un’Europa “ridimensionata flessibile e concentrata” attraverso: la revisione dei Trattati internazionali, più potere ai Parlamenti nazionali, più sicurezza ai cittadini.
C’è un'ultima statua di Lenin in Estonia. Dopo il 1991 era stata riposta in un magazzino e poi era stata tirata fuori di nuovo. Erano i russi che la volevano. I russi di Estonia che vivono a Narva, più vicini a San Pietroburgo che a Tallinn.
Narva è una città di sessantamila abitanti che preoccupa molto l'Estonia. Gli abitanti parlano russo, sui palazzi sventolano bandiere russe e durante le elezioni, che sono state due settimane fa, non sentendosi rappresentati da nessuno dei partiti proposti sulla scheda elettorale, gli abitanti di Narva hanno scritto: “Il nostro presidente è Vladimir Putin”.
Qualcuno crede che Narva sia la prossima Crimea, ma nonostante i timori dei baltici e le speranze dei russi estoni, Narva non è la Crimea.
Gli abitanti vorrebbero ricollegarsi a Mosca, ma in virtù di questa vicinanza alla Russia, l'Estonia è tra i paesi che più contribuiscono alla Nato, con il 2 per cento del pil, mentre l'Ucraina nell'Alleanza atlantica nemmeno c'è.
Benché la politica estone sia molto preoccupata e Narva sia stata uno degli argomenti centrali di questa campagna elettorale, per i russi annettere questo territorio che spinge lungo il confine è molto più complicato, si ritroverebbero contro tutti i paesi dell'Alleanza atlantica, chiamati a intervenire in ottemperanza all’articolo 5.
C’è un rito quotidiano, o quasi, che l’ambasciatore russo a Londra Alexander Yakovenko compie su Twitter: per noi, si è aggiunto alla lettura maniacale di newsletter, thread e post che consultiamo ogni giorno.
Yakovenko, dal lunedì al venerdì (riposa nel fine settimana), pubblica le cinque notizie secondo lui più rilevanti che riguardano la Russia: “My choice of 5 top news from Russia for today”.
My choice of 5 top news from Russia for today: pic.twitter.com/OxDKO6UJOM
— Alexander Yakovenko (@Amb_Yakovenko) 13 marzo 2019
Che l’ambasciata russa a Londra puntasse sulla comunicazione, ce ne eravamo accorti da tempo, soprattutto per come tuittava, tra il macabro e il sarcastico, durante il caso Skripal.
Colte da un’irrefrenabile curiosità, ci siamo rivolte all’ambasciata per chiedere chi si occupasse della strategia di comunicazione: “E’ un lavoro collettivo – ci hanno risposto via mail – guidato e supervisionato dall’ambasciatore”, il nostro rito quotidiano.
- Il 20 marzo il Partito popolare europeo deve decidere se espellere il partito di governo ungherese, Fidesz. Orbán non vuole, comunque. Visto che siamo in tema di liti: gli indipendentisti catalani sono agli stracci.
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Il presidente della commissione uscente, Jean-Claude Juncker, adora il flipper. Lo ha detto durante una trasmissione che seguiamo soltanto per il titolo: "Speed Dating".
- La leader della Cdu tedesca, Annegret Kramp-Karrenbauer, ha risposto alla lettera sul "Rinascimento europeo" di Emmanuel Macron. Molti ci hanno visto risentimento e liti in arrivo, ma non è così: ci sono anche molte convergenze. E occhio al rafforzamento del Consiglio europeo.
- Due segnalazioni dal nostro @davcarretta (sempre grazie): mentre il governo italiano, e parte del Pd, ha votato a favore della Russia al Parlamento europeo (ma la maggioranza che sostiene che Mosca non è più un partner strategico dell'Ue), l'intelligence dell'Estonia ha pubblicato un report sulla minaccia della Russia nei paesi baltici. Il futuro della missione Sophia nel Mediterraneo deve essere deciso entro il 31 marzo: una delle ipotesi, vista la posizione italiana sugli sbarchi, è quella di togliere dal mandato la parte marittima, lasciando solo aerei e addestramento della Guardia costiera libica, "la prima missione navale senza navi".
- Più Asterix per Macron ha detto Andrej Babis, il premier ceco, al Financial Times. Il primo ministro la scorsa settimana era a Washington per tranquillizzare Donald Trump sul fatto che i cinesi non si sono comprati tutta Praga: “Ero un fan di Trump già prima che diventasse presidente”.
- A forza di unirsi, sembra che negli ultimi sondaggi le opposizioni polacche ce l’abbiamo fatta a superare il PiS. Se così fosse la coalizione che racchiude insieme il Po, il Psl, Nowoczesna, l’Sdl e i Verdi arriverebbe al 35 per cento contro il 33 del partito di Jaroslaw Kaczynski. La vera buona notizia è che Kukiz’15, il gruppo di estrema destra con cui Luigi Di Maio vagheggia alleanze è sceso sotto al 7 per cento. Gazeta Wyborcza ha esultato.
Il quinto appuntamento è finito, scusate se siamo già a parlare di divorzio. Cerchiamo di fingerci meno esauste di Tusk, e non la diremo la frase più brutta
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Alla prossima settimana.
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