Un colpo al cuore
Nella coppia franco-tedesca c'è qualche divergenza, ma al di là degli incontri di wrestling tra Merkel e Macron non va così male. Una chat con Marion Van Renterghem e libri, tanti libri, in librerie dal profumo di Europa
"Take that look from off your face
You ain't ever gonna burn my heart out"
Oasis, "Don't look back in anger"
(a proposito di quell'altra, Wonderwall)
16 maggio 2019
Tra una settimana in alcuni paesi dell'Unione europea si comincia a votare per le elezioni europee.
Iniziano Regno Unito e i Paesi Bassi il 23 maggio, poi c'è l'Irlanda il 24, e Lettonia, Slovacchia e Malta il 25. In Repubblica ceca si vota il 24 e il 25. Tutti gli altri, compresa l'Italia, votano il 26 maggio.
Ecco lo schemino del Parlamento europeo, con anche la distribuzione dei seggi.
Lo sapevate che in alcuni paesi dell'Europa è obbligatorio votare? Obbligatorio sì, se non voti devi dare una spiegazione precisa altrimenti prendi una multa, come in Australia (dove hanno anche l'hot dog della democrazia, che non è affatto una cattiva idea).
Con il voto anche EuPorn finirà, ma per i saluti c'è ancora tempo.
Oggi ci occupiamo del cuore di questo nostro matrimonio europeo, con la politica – i francesi, i tedeschi – e con i libri – ci sono gli scaffali pieni di Europa, abbiamo letto tantissimo e ci siamo chieste: ne esce fuori bene, l'Europa? (Non possiamo pubblicare tutti i nostri commenti e ci fidiamo ancora dei segreti custoditi da Whatsapp, ingenue).
Abbiamo anche sfogliato molti album di fotografie, ce n'è una che ci è rimasta nel cuore, per innumerevoli ragioni che non staremo a dirvi: voi avrete le vostre.
Londra, 6 dicembre 1986, un Consiglio europeo in trasferta.
L'Unione ha un cuore franco-tedesco, che nel tempo è stato molto criticato: oggi a farlo sono soprattutto i partiti nazionalisti, ché dar contro ai francesi e ai tedeschi, in alcuni paesi, è diventato uno sport.
Come sta questo cuore?
Intanto c'è stata la firma, il 22 gennaio scorso, del patto di Aquisgrana, che è la versione moderna del Trattato dell'Eliseo, siglato 56 anni fa dal generale de Gaulle e dal cancelliere tedesco Adenauer. Ma la coppia è più antica e il Monde qualche giorno fa si è addirittura ricordato della prima volta che sulle sue pagine è apparsa l'espressione couple franco-allemand. Era un'analisi di André Fontaine del 1959.
(C'era anche un Trattato del Quirinale, tra Italia e Francia, siglato nel 2018: era un modo per il nostro paese di collaborare e triangolare con il cuore franco-tedesco ed era anche una vicinanza politica tra il governo francese e quello italiano. Poi è cambiato tutto con l'onda gialloverde, l'alleanza storica si è interrotta e ormai c'è chi sta prendendo il nostro posto).
Tornando al cuore.
Il Trattato di Aquisgrana prevede una collaborazione fattiva tra Berlino e Parigi:
un consiglio di difesa comune, un consiglio di esperti economici comune, maggiore integrazione economica e intergovernativa (e l'appoggio francese a un seggio permanente al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite per la Germania).
Soprattutto il Trattato era una dimostrazione: i valori europei contro i sovranismi.
Francia e Germania sono i custodi dell'ordine liberale europeo.
Ma come stanno?
Da un lato ci sono gli affari di cuore.
La polarità si è invertita: prima era Angela Merkel a guidare le danze, ora è Emmanuel Macron, lei è nell'ultima fase della sua carriera politica, lui è al potere da soltanto due anni.
L'intesa fra i due è stata oggetto di molte discussioni: in linea generale si può dire che entrambi sanno di avere una grande responsabilità per il futuro dell'Europa, non hanno le stesse idee su come ridisegnare l'Europa e giocano spesso al poliziotto buono e al poliziotto cattivo.
Di recente, con la discussione sulla Brexit, si è visto chiaramente.
Macron era per la linea dura, la Merkel era per concedere tempo, tutto tranne un'uscita precipitosa del Regno Unito dall'Ue.
Ha vinto la linea Merkel, anche se gli effetti sulla politica britannica non sono particolarmente rassicuranti (né europeisti).
Era un gioco delle parti, o davvero c'è maretta tra la Merkel e Macron?
Secondo il Financial Times, la crisi è grave: Macron non vuole distrazioni dalla "renaissance" europea, la Merkel ha meno fretta e pensa al lungo periodo. "Certo, abbiamo degli scontri – ha ammesso la Cancelliera – tra di noi ci sono differenze di mentalità e differenze nel modo di comprendere i nostri rispettivi ruoli".
In generale, questo è l'approccio: sui valori tutto bene, sul resto tutto male. Vale per i dazi, vale per il completamento del mercato unico, vale per i tempi e le ambizioni delle riforme. In generale vale il fatto che l'allineamento francese alla Germania dopo la crisi del 2008 ora non c'è più.
Poi la Merkel è verso la fine del suo mandato: dopo di lei ci sarà Annegret Kramp-Karrenbauer, detta AKK.
Non si sa quando la Merkel lascerà il posto, ma intanto AKK si è presa spazio nella campagna elettorale europea. Ha risposto al "rinascimento europeo" di Macron con una propria proposta in cui sottolinea quel che dicevamo: sui valori tutto bene, ma AKK è contro il centralismo europeo, contro il salario minimo, a favore di un seggio europeo all'Onu.
Lo scontro ora però è su un punto preciso: lo Spitzenkandidat. La AKK sostiene la candidatura di Manfred Weber a presidente della Commissione e ribadisce che se la Cdu è ancora il partito principale del Partito popolare europeo non si nominerà un presidente "contro il Ppe". Macron come si sa pensa che il concetto stesso di Spitzenkandidat sia obsoleto e figlio di una logica superata e conta su scelte differenti (avevamo spiegato tutto qui, intanto alla lista dei nomi per la Commissione si è aggiunta anche Kristalina Georgieva).
Insomma, sulle poltrone il cuore franco-tedesco non sta benissimo.
Ma i problemi veri sono altri, e non riguardano gli affari di cuore.
Il primo.
Il motore tedesco va più lento: le vacche grasse sono finite come scrive lo Spiegel nel numero chiacchieratissimo di questa settimana (il magazine tedesco aveva scritto la stessa cosa nel 1980).
Il secondo.
In Francia i sondaggi danno un testa a testa tra il partito di Macron e quello di Marine Le Pen. Una riedizione del 2017, ma con molta più paura.
Le elezioni europee non sono le presidenziali, ma se Mr Europe viene battuto il segnale non è assolutamente rassicurante.
Il partito di Macron sta correndo ai ripari: poiché la capolista Natalie Loiseau non è molto convincente, gli attivisti della Republique En Marche stanno mettendo nuovi poster in giro per la Francia. Non sono i cartelloni ufficiali, ma c'è lui.
Abbiamo chattato delle elezioni francesi, del cuore franco-tedesco e di molto altro con Marion Van Renterghem, storica giornalista del Monde ora a Vanity Fair, autrice di un libro appena uscito, "Mon Europe, je t'aime moi non plus. 1989-2019", che è bello e anche doloroso. Nel 2017 aveva pubblicato "Angela Merkel, l'ovni politique", un libro sulla cancelliera tedesca pieno di aneddoti.
(Le risposte sono in francese, qui trovate la traduzione se volete)
Prima di tutto: che succede se davvero vince la Le Pen?
E' agitata anche lei, insomma. E del cuore franco-tedesco che ne pensa?
Per lei, si tratta di un appuntamento mancato.
L'Europa è cambiata molto. Nel suo ultimo libro, Marion fa un viaggio nello spazio e nel tempo per raccontare questa trasformazione. Ecco cosa ha scoperto:
La rabbia, il risentimento. Ma è per via dell'economia o c'è qualcosa di più profondo, di culturale?
Questo libro è fatto di persone, di incontri, di scoperte.
L'incontro più bello, l'incontro più angosciante e quello più emozionate?
Fa quattro nomi: il suo ex capo che oggi è ministro della Giustizia in Ungheria, László Trócsányi; l'ex presidente della Lettonia, Vaira Vike-Freiberga; il commerciante di Dublino John Corcoran; l'amico di Steve Bannon, Benjamin Harnwell
Il nostro grande classico, per finire. Volendo parafrasare Donald Tusk che ha riservato un posto speciale all'inferno per i brexiteers...
A proposito di mobilitazione: "Prove them wrong" ci piace molto.
In libreria c’è profumo di Europa. Libri che insegnano a conoscerla, altri che insegnano ad amarla, qualcuno a odiarla, molti a capirla. Filosofi, professori, giornalisti, scrittori, tutti hanno tentato di dare un colore all’Unione e così ci siamo ritrovate per le mani saggi, poesie, romanzi, vecchi manifesti.
Premessa: questo non è un elenco esaustivo, abbiamo scelto alcuni saggi che ci hanno colpito e ci hanno portato in giro per l'Europa.
Siccome tendiamo al romanticismo e a un senso di tarkovskiana nostalgia, abbiamo riscoperto un volumetto riedito da Treccani dal titolo “Europeismo. Per un’Europa libera e unita” scritto da Altiero Spinelli con un saggio conclusivo di Giuliano Amato. Dentro ci abbiamo cercato tante risposte e un’idea che non smette di piacerci: il federalismo europeo. Ricordate Ivan Krastev? Sull’Ue ci spiega sempre moltissime cose, anche controverse, del suo libro avevamo già parlato qui, ma finalmente è uscito anche in italiano con il titolo “Gli ultimi giorni dell’Unione. Sulla disintegrazione europea”. Il professore ed editorialista del New York Times e del Guardian spiega come turisti e rifugiati altro non siano che le due facce della globalizzazione.
“Europa a processo” non è tanto un libro sull’Europa, o meglio non è sull’Unione europea, ma indaga e scava in quel sistema di follia, di terrore e di cattiveria che ha lasciato che si scivolasse nella Seconda guerra mondiale. Da quelle macerie poi è nata l’Ue e lo storico americano di origini ungheresi István Deák si muove tra queste rovine e ci restituisce la storia di quello che siamo ora. La nostra è una storia di rivoluzioni, siamo caduti e ci siamo rialzati infinite volte.
Jan Zielonka insegna a Oxford ma è polacco e ha scritto un piccolo libro interrogandosi sul perché di questi scossoni, sul perché delle sofferenze dell’Ue, e giunge a una conclusione, non originalissima ma di moda: se l’Ue è in difficoltà la colpa è anche dei liberali. Il saggio, che in realtà è una lettera al più importante liberista del Dopoguerra Ralf Dahrendorf, dal titolo “Counter-Revolution: Liberal Europe in Retreat”, è la storia di un amore un po’ deluso che langue, ma che è pronto a perdonare.
Di “Alarums and Excursion” dello storico olandese Luuk van Middelaar e del “momento machiavellico” dell’Ue avevamo già parlato, ma vale la pena ricordarlo e ricordare di avere cura di ogni pezzo di noi. Vale la pena recuperare anche “La capitale” di Robert Menasse, su quella casualità dell’aver scelto Bruxelles come capitale, vi ricordate?
Anche sull’euroscetticismo si è scritto tanto, ma in fondo è un modo per parlare sempre di Ue. Oltre a “I sovranisti” di Bernard Guetta, su questo coacervo di forze raffazzonate e centrifughe, diaboliche e arrabbiate, c’è un un’analisi molto attenta di Catherine E. De Vries, “Euroscepticism and the Future of European Integration”, che spiega come le varie condizioni nazionali abbiano riprodotto la propria forma di nazionalismo, insomma ognuno è euroscettico a modo suo.
Gli euroscettici se la sono presa un po’ tutti con la Germania, ma se Berlino conta così tanto in Ue, un motivo ci sarà. Simon Bulmer e William E. Paterson per spiegare perché nessun paese europeo è cruciale per la vita dell’Ue quanto la Germania: “Germany and the European Union: Europe’s Reluctant Hegemon?”.
Gli europeisti, i sovranisti, l’arme e gli amori, questa campagna elettorale ha anche generato manifesti e programmi e dichiarazioni appassionate. “La Repubblica d’Europa” è un manifesto firmato da otto autori che spiegano quanto sia necessario superare gli stati nazione e capire finalmente il potente onore di far parte dell’Unione europea.
Veniamo a noi, all’Italia così arrabbiata e così isolata. Sono usciti moltissimi libri, ne abbiamo scelti due, non prendetevela, il primo perché è un viaggio, e a noi piace essere portate a spasso. Giuliano da Empoli ha pubblicato "Gli ingegneri del caos" in cui racconta le idee e soprattutto le persone che sono dietro ai grandi stravolgimenti politici dell'occidente: pare di incontrarle tutte, queste persone (dell'incontro con Steve Bannon aveva scritto sul Foglio), e quando si parla di fake news e dello strapotere della Silicon Valley il cerchio si chiude. Federico Fubini invece racconta perché vale la pena sentirsi europei, e non soltanto italiani. Una ragione su tutte: “Per amor proprio”, che è anche il titolo del libro.
Un'ultima cosa, un innamoramento (colpevolmente) recente: la rivista Are We Europe. Il magazine è pubblicato dalla fondazione che porta lo stesso nome, è al suo quarto numero e grida dalla copertina: "Questo non è un numero sulle elezioni". Dentro ci sono i ritratti di chi può "shake" l'Europa, uno per ogni paese: alcuni sono nomi conosciuti, altri molto meno. Ma l'articolo per cui abbiamo perso la testa è questa storia d'amore cosmopolita con un ragazzo dell'estrema destra. Poi c'è anche come si salva la democrazia dentro a un museo.
- Ieri c'è stato l'"Eurovision Debate", da non confondere con l'altro EuroVision. I sei candidati alla presidenza della Commissione europea, gli Spitzenkandidaten, hanno duellato per più di un'ora. Tante domande, poche risposte chiare.Frans Timmermans, il candidato dei socialisti, ha cercato un'alleanza a sinistra.
- Siamo nella settimana di EuroVision (quello vero), di musica ce n'è già parecchia. Ma per noi non è mai abbastanza: se siete come noi, godetevi la playlist europea di Spotify.
- La lettura della settimana è quella di Cas Mudde sul Guardian, contro il populismo cosiddetto buono. Scimmiottare i nazionalisti non servirà a risollevare le sorti delle forze moderate, ci vuole altro. Le conclusioni sono un po' meh (una grande alleanza a sinistra, come se fosse una scelta facile o armoniosa) ma il racconto della trasformazione della politica e della società europea è fenomenale. A proposito, un appello a tutti quelli che la rivoluzione arriva dalla new wave dei democratici americani (Ocasio Cortez per intenderci): non provate mai a dire "middle ground", che vi fischiano.
L'intervista più bella di sempre: Bernard Henry-Lévy rivede Viktor Orbán dopo trent'anni e gli chiede com'è che è diventato così illiberale. Parlano di tutto, del primo invito di Berlusconi allo stadio, dell'incontro con Erdogan, soprattutto di George Soros, la vita che poteva essere e non è stata.
Nigel Farage porterà il suo nuovo partito, il Brexit Party, a vincere le elezioni europee. Si vuole vendere come statista, e ha smesso di bere birra addirittura, ma quando qualcuno gli chiede qualcosa che non riguardi la Brexit Farage non sa dire niente (e si innervosisce). Qui si dice che un modo per batterlo, Farage, ci sarebbe. E in Lituania la faccenda di smettere di bere viene presa molto sul serio.
C'è un problema di comunicazione in Europa, ce ne siamo accorti da tempo, ma a quanto pare quelli che meglio sanno parlare in modo appassionato dell'Unione sono proprio i suoi nemici.
Marine Le Pen è stata in Estonia e ha avuto un problema con un selfie. In Estonia il partito ultranazionalista Ekre è entrato al governo, e siccome questi cosiddetti gruppi antisistema hanno un loro sistema ben avviato, è finita che padre e figlio sono diventati ministri: Mart Helme, che è il leader dell'Ekre, è ministro dell'Interno e come prima cosa è riuscito a dire che la presidente dell'Estonia, Kersti Kaljulaid, è una femmina emotiva: lei se n'era andata quando stavano giurando i ministri dell'Ekre (di cui uno si è già dimesso, è accusato di violenze domestiche, ma ovviamente è una caccia alle streghe). Il figlio, Martin Helme, è ministro delle Finanze. Entrambi, per festeggiare la nomina, hanno fatto il segno dell'ok, che è diventato un "richiamo" del suprematismo bianco (lo stragista della Nuova Zelanda lo ha fatto in tribunale). Ebbene, la Le Pen è andata a Tallinn a incontrare gli amici dell'Ekre, e uno di loro le ha detto di fare il segno dell'ok e ha scattato un selfie. La Le Pen ha detto di non essere a conoscenza del significato del gesto e ha chiesto di rimuovere la foto. Poiché quel simbolo non lo pubblicheremo mai, ecco la prima presidente donna dell'Estonia, che ha fatto giurare i ministri suprematisti davanti a una sedia vuota (è assieme a un altro presidente ganzo)
Il cuore ha retto?
Il nostro sì. Lasciamo lacrime e sorprese alla prossima settimana, che sarà il nostro ultimo appuntamento.
Vi aspettiamo.
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