Noi guardiamo altrove, ma quando c'è da destabilizzare l'Europa la Russia non si distrae mai
L’unità segretissima dei servizi russi e le casse di risonanza dell’emittente Rt. Intanto il Pe tiene la Goulard in ostaggio (per tre ragioni). Ma volendo si può scappare sull’isola delle donne
La destabilizzazione è un progetto a lungo termine, ci vogliono pazienza e strategia, e soprattutto, nel momento in cui qualcuno ti scopre, ci vogliono sfrontatezza e ferocia: non ho fatto niente, siete voi che siete fissati. La Russia ha costruito la sua politica europea su queste fondamenta, aiutata da un presidente americano che crede più alle teorie del complotto che ai report dei suoi generali, e così da dieci anni – lo scoop è del New York Times – ha messo in piedi una unità, la numero 29155, talmente segreta che nemmeno le altre unità dell’intelligence russa, il Gru, sapevano della sua esistenza. Il comandante della 29155, il maggior generale Andrei V. Averyanov, è ritratto in una foto del 2017 al matrimonio di sua figlia assieme al colonnello Anatoly V. Chepiga che, secondo i servizi inglesi, è uno dei due responsabili del tentato omicidio dell’ex spia russa Sergei Skripal, avvelenato con il novichok in territorio britannico, a Salisbury. Proprio questo episodio ha permesso alle agenzie occidentali di unire i puntini, e così il piano di destabilizzazione russa comprende almeno altre tre operazioni: le ingerenze nella campagna elettorale della Moldavia, il tentato golpe in Montenegro, l’avvelenamento di un trafficante di droga in Bulgaria, e Salisbury. Nelle stesse ore in cui emergeva per la prima volta l’esistenza della 29155, la EuvsDisinfo, l’unità europea che è stata creata nel 2015 dal Servizio esterno europeo per monitorare e reagire alle campagne di disinformazione della Russia nei paesi europei, ha pubblicato una ricerca in cui racconta la storia di EP Today, sedicente “mensile del Parlamento europeo”. Una media di 25 articoli al giorno, 145 mila follower su Facebook, il logo blu-Europa con le stelline d’oro e aggiornamenti continui sul Parlamento europeo, EP Today si è posizionato come un sito di notizie con molti contatti dentro all’EP, il Parlamento europeo che ha nel nome appunto, e quindi credibile, da seguire per sapere quel che accade dentro alle istituzioni europee. L’EuvsDisinfo ha scoperto che il 99 per cento degli articoli di EP Today, quindi tutti, è copiato parola per parola da RT, l’emittente russa legata al Cremlino. L’EuvsDisinfo ha analizzato 17.697 articoli della sezione “news”, dal 6 aprile del 2017 (17 giorni prima del primo turno presidenziale in Francia: l’elezione di Emmanuel Macron) al 23 agosto scorso: di questi, 25 articoli, cioè lo 0,14 per cento dell’offerta informativa d’attualità di EP Today, erano articoli di parlamentari europei o di altri interlocutori europei. L’EuvsDisinfo spiega che RT ha una politica molto lasca di riutilizzo dei suoi contenuti – vuole che girino il più possibile, non si fa problemi di copyright – e che altri esempi di “riciclaggio di informazioni” di RT sono stati rilevati negli Stati Uniti, in Germania e in Bielorussia,
Informazione da patrioti. Il Cremlino ci tiene che le notizie vengano date secondo la sua versione e dopo il progetto di Russia Today, avviato nel 2005 per far conoscere al mondo la versione russa dei fatti, ha deciso di concentrarsi sul mercato interno e il primo ottobre è stato inaugurato Patriot, un nuovo gruppo di media. Nel manifesto fondativo si legge che “la Russia è una nazione grande e indivisibile”, per questo ha bisogno di preservarsi per le future generazioni. Per proteggersi deve stare attenta a come gli altri cercano di raccontarla e “il numero di media che promuovono informazioni negative e che non notano le cose positive che accadono nel paese” sta crescendo. Il fine di Patriot è quello di creare “uno spazio informativo favorevole”. Il progetto per ora non ha intenzione di diventare internazionale, viste le proteste estive contro il Cremlino, bisogna che i russi per primi ricomincino a parlare bene della Russia, a essere patrioti. A capo del gruppo è stato anche scelto uno dei fedelissimi, Yevgeny Prigozhin, “il cuoco di Putin”, al quale viene attribuita la direzione della fabbrica dei troll di San Pietroburgo e delle milizie Wagner, i mercenari che combattono le guerre di cui la Russia non vuole parlare. “E’ un grande onore”, ha detto, annunciando il progetto patriota, un altro.
Sylvie in ostaggio. Il Parlamento europeo ha deciso di tenere una seconda audizione questa mattina a Sylvie Goulard, francese macroniana indicata come commissario per il Mercato interno e l’Industria della Difesa. La Goulard era stata rimandata dopo il primo esame orale (la prima audizione) e ha dovuto sostenere un esame scritto (a casa) rispondendo a un lungo questionario: nelle sue risposte, considerate non sufficienti dal Parlamento europeo, la Goulard ha promesso di dimettersi in caso di condanna penale definitiva in un procedimento in Francia sull’uso improprio di fondi europei quando era eurodeputata. La Goulard si è anche difesa dall’accusa di conflitto di interessi per le consulenze al think tank Berggruen Institute, su cui continua a insistere il Parlamento europeo. Due gruppi – il suo, Renew Europe, e la sinistra S&D – avevano giudicato esaustive le risposte, ma una coalizione inedita tra Partito popolare europeo, Verdi, comunisti, sovranisti e anti europei ha insistito per una seconda audizione. David Carretta, l’imprescindibile metà bruxellese di EuPorn, dice che ci sono “tre motivazioni alla presa d’ostaggio della Goulard: il presidente del Ppe, Manfred Weber, vuole fare un dispetto alla Francia di Macron che non lo ha voluto presidente della Commissione e ha preferito la tedesca Ursula von der Leyen; la von der Leyen non controlla il suo Ppe; nessuno tiene le redini del Parlamento europeo”. Vendette e mancanza di controllo, insomma: non un bel vedere.
Suspence ungherese: Olivér Várhelyi, ambasciatore in Europa dell’Ungheria, è stato indicato dal governo di Budapest come commissario per l’Allargamento dopo che la sua prima scelta, László Trócsányi, non ha superato l’esame della commissione Affari giuridici del Parlamento europeo. Várhelyi è considerato fedelissimo ed esperto e dai modi molto spicci: urla tantissimo, soprattutto con i suoi collaboratori, il che non lo rende un garante ottimale dell’armonia che la von der Leyen vorrebbe imporre alla sua Commissione. Poiché Budapest non ha difeso poi così tanto la sua prima scelta, nonostante quella prima scelta avesse detto che lui e il suo paese sarebbero andati fino in fondo per contrastare la caccia alle streghe europea contro l’Ungheria, ha contribuito a formare un’idea che alcuni, a Bruxelles, sussurrano: la prima scelta era Várhelyi, Trócsányi non era l’agnello sacrificale del Parlamento europeo, lo era di Viktor Orbán. Ma la suspence non è finita: le audizioni di Várhelyi non sono ancora state fissate, e non si sa nemmeno se lui, seconda scelta o forse prima, sarà l’ultima.
19 ottobre, 5 dicembre. Perdonateci, dobbiamo dire un paio di cose sulla Brexit, brevissime, promesso. Il premier, Boris Johnson, ha convocato il Parlamento inglese per una sessione d’emergenza il 19 ottobre, che è un sabato – nella storia dei Comuni, ci sono state solo quattro sessioni di sabato, di cui una nel 1939, all’inizio della Seconda guerra mondiale e una durante la guerra delle Falkland. Il Consiglio europeo decisivo sulla Brexit finisce il 18, e il giorno successivo il Parlamento deve ratificare l’eventuale accordo di uscita con l’Europa (che pare difficile) oppure deve essere applicata la legge che esclude il no deal – ammesso che Johnson la voglia applicare. Se infine dovesse essere richiesta la proroga dell’articolo 50 (probabile), il premier tenterà di vincere il voto parlamentare per indire nuove elezioni, ma potrebbero volerci tempo e scartabellamenti di cavilli procedurali. In ogni caso, sembra che la data più probabile per queste elezioni inevitabili sia il 5 dicembre: l’ultima volta che si è votato a dicembre, il 6, fu nel 1923. Per la prima volta il Labour entrò al governo, sostenuto dai Liberali.
L’isola delle donne. Nell’isola di Kihnu, in Estonia, le donne non sono abituate a vedere uomini attorno, è una tradizione che va avanti dal diciannovesimo secolo, da quando mariti e figli cominciavano a passare periodi sempre più lunghi in mare per dedicarsi alla pesca. Le donne allora hanno creato una comunità tutta femminile, colorata, piena di folclore, si sono sempre occupate di ogni cosa lasciando agli uomini che tornavano dal mare soltanto il dovere delle inumazioni. Tutto il resto a Kihnu lo fanno loro da sempre, coltivare, curare, insegnare e le abitanti vanno fiere di questo ambiente, il New York Times c’è stato e lo conferma. Le cose negli ultimi anni stanno cambiando, come il resto d’Europa, anche l’isoletta nel Baltico ha problemi demografici, i più giovani se ne vanno e i nuovi nati sono sempre meno, ma le estoni di Kihnu sembrano più preoccupate da un altro problema: il ritorno degli uomini. Con tecnologie di pesca sempre più evolute, servono meno pescatori e il tempo trascorso in mare si è ridotto. Gli uomini tornano, rimangono e vogliono occuparsi di qualcosa, le inumazioni non bastano più, e le donne non sono disposte a cedere i loro lavori né tanto meno i loro spazi. Gli uomini destabilizzano il nostro ecosistema, dicono, e non hanno nemmeno un cancelletto cui aggrapparsi mentre cacciano via gli usurpatori.