Viaggi generazionali d'Europa
Due boomer a Davos, l’età delle istituzioni dell’Ue, il libro del momento, i pensionati tedeschi alle terme ungheresi, i giovani greci da riacciuffare e una ragazza francese nella guerra delle borse
Non c’è bisogno di avere potere per spezzare equilibri fragili, il potere vero sta nella capacità di rimettere insieme i pezzi”, ha detto ieri a Davos la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, regalandoci la sintesi esatta dell’approccio da boomer (più femmina che maschio, converrete anche voi) alla vita, alla politica, al mondo: voi mettete in disordine, noi sistemiamo ogni cosa, con pazienza e magari qualche lamentela, ma la nostra forza, il nostro potere sono questi, e creano dipendenza. Al World Economic Forum ieri c’è stato spazio per l’Europa, la von der Leyen ha ribadito la volontà di guidare una Commissione “geopolitica” con “capacità militari credibili”: una piccola rivoluzione, questa, ché di hard power europeo nessuno parla mai. Rimettiamo insieme i pezzi, ma se c’è bisogno di farlo con durezza, l’Europa deve smetterla con le esitazioni, ha detto la von der Leyen, mentre attorno molti chiedevano se stesse parlando dell’esercito europeo o della Nato. A posto le cose non le metti però se non hai un approccio complessivo, ha detto il presidente del Parlamento europeo, David Sassoli, un altro boomer, ribadendo che “non si può contrastare la povertà e costruire una società più equa lasciando che la crisi climatica distrugga il pianeta, ma non si può nemmeno fermare la crisi climatica mentre persistono alti livelli di povertà e diseguaglianza”.
Anche Sassoli ha messo in ordine le cose, e scusate se abbiamo sottolineato che i due leader europei a Davos sono dei boomer: non è polemica, la nostra (disclosure: noi non siamo boomer), né è un attacco generazionale, solo che a furia di sentir ripetere “ok, boomer” in contesti i più disparati, abbiamo deciso di raccontare qualche storia di giovani e di vecchi europei.
Prima di tutto.
Età media europea: 43,1 (Eurostat, 2018). Età media del Parlamento europeo: 49,5 anni (dati dello stesso Pe).
Età media della Commissione: il più giovane ha 29 anni (il lituano Virginijus Sinkevicius, commissario per l’Ambiente), il più anziano 72 (lo spagnolo Josep Borrell, capo della diplomazia europea); ci sono sei commissari sotto i 50 anni, dieci nell’età compresa tra 51-60 anni e dieci in quella 61-70.
Il libro del momento. Troppo duri con questi boomer, troppo morbidi con noi stessi, x, y, z. Di questi boomer, non ancora vecchi e non del tutto giovani, ma sicuramente adulti, il mondo potrebbe avere ancora bisogno e se ci si volta indietro, ci si potrebbe accorgere che se viviamo nel migliore dei mondi possibili, potremmo anche dover dire grazie proprio a loro, ai baby boomer. Di questo parla un libro, fondamentale in questo momento, che ci mette tutti in riga davanti allo specchio e ci costringe a chiederci: cosa sarebbe stato il mondo senza i boomer? Michèle Delaunay ci dice che non sarebbe stato così bello. Ed è proprio lei, medico, ex deputata socialista e poi ministro con François Hollande dal 2012 al 2014, l’autrice di “Le Fabuleux Destin des baby-boomers” (Il favoloso destino dei baby boomer). Anche lei una boomer. “Il baby boom è stato un fenomeno europeo, ma bisogna riconoscere che tra le varie nazioni ci sono delle differenze. Differenze di età e differenze in fatto di numeri”, dice al Foglio precisando che in Italia per esempio il boom è stato più debole ma più prolungato, gli italiani facevano già molti figli prima. “In Francia il boom è stato dal 1946 al 1973 e la cosa notevole è che, dei ventiquattro milioni nati in quegli anni, venti sono ancora vivi. Siamo la prima generazione ad aver perduto così poco in un lasso di tempo così lungo, e il merito è quasi tutto della medicina”. I baby boomer sono una generazione longeva e se le condizioni di vita sono migliorate, dice Delaunay, è anche grazie a loro e alle loro battaglie. “Non dimentichiamo l’impegno civile che hanno dimostrato. Ad esempio durante la guerra in Vietnam. Oppure durante il Sessantotto, quando la lotta non era solo per loro stessi, ma per ottenere un miglioramento che fosse valido per tutta la società e che fosse a livello globale. E’ grazie a loro che abbiamo ottenuto dei progressi sociali, scientifici e medici considerabili”. Non siate troppo severi con i boomer, ci dice Michèle Delaunay, sono una risorsa “e hanno creato le condizioni per quello che io considero un regalo favoloso: la longevità”, quei vent’anni di speranza di vita in più e la buona probabilità di arrivare alla vecchiaia in buono stato. Il mondo è stato plasmato dai boomer, a loro immagine, e forse hanno fatto talmente tanto che hanno considerato poco quelli che arrivavano dopo di loro. “Non è vero. I giovani adesso conducono questa battaglia per l’ambiente e fanno benissimo. Ma chi si sta occupando di trovare delle soluzioni alle proteste verdi dei giovani sono i boomer e hanno iniziato a farlo non appena gli scienziati hanno posto l’attenzione sul riscaldamento globale”. I boomer sono tanti e il loro invecchiamento e la loro morte mettono il mondo davanti a domande importanti a livello sociale, filosofico, economico, la Francia raggiungerà picchi di 800.000 morti l’anno, 2.000 al giorno, ma intanto i boomer vanno in pensione, un costo altissimo per lo stato, e anche su questo c’è uno scontro con i più giovani. “Non è vero che i boomer hanno fatto politiche pensionistiche per loro stessi. Per esempio quando Mitterrand fece la riforma delle pensioni e mise a 60 anni l’età pensionabile, fu una mossa sbagliata, ma a beneficiarne non furono i boomer, che erano troppo giovani, né a farla fu un boomer”, Mitterrand era del 1916. Per Michéle Delaunay l’età pensionabile andrebbe tolta, la qualità di vita è migliorata a tal punto che sembra quasi ingiusto chiedere a una persona di andare in pensione, lavorare a lungo dovrebbe essere un diritto, altroché. Eppure da settimane la Francia manifesta per il contrario, contro una riforma che tra le altre cose propone anche di alzare l’età pensionabile. Sono scesi in piazza anche gli x, gli y e gli z e a fare quella legge non è stato un boomer. Le hanno mai detto “ok boomer”? “A me mai. E’ una moda, come il MeToo, uno slogan usato da chi non ha molto da dire. Non c’è una vera frattura tra le generazioni, ma bisognerebbe parlarsi di più. Ai giovani va spiegato che le condizioni di vita sono migliorate rispetto al passato e per i boomer bisogna trovare il modo di impiegarli, di renderli utili anche dopo la pensione”. Usiamoli, ci dice Michèle Delaunay, i boomer invecchiano tardi e renderli vecchi prima del dovuto è un danno per tutti.
I pensionati europei svernano in Ungheria. Immersi nella natura, tra ristoranti, terme, e non distanti dal lago Balaton, vivono circa diciannovemila tedeschi. Tutti anziani, pensionati, fuggiti dalla Germania per cercare una vita più economica e anche un’altra Europa, dicono. Quella che piace a loro, che nel loro paese di origine non riconoscono più. Un’Europa senza migranti che ha in Viktor Orbán il suo difensore. Molti di loro hanno lasciato la Germania nel 2015, in contrasto con la decisione di Angela Merkel di aprire le porte ai siriani. Quella decisione non l’hanno mai perdonata alla cancelliera e, visto che a qualche paese di distanza c’era un primo ministro pronto a tutto pur di tenere i migranti fuori dai confini nazionali, si sono trasferiti. In Ungheria non si vive male e anzi sono soddisfatti del sistema nazionale, tanto che hanno rinunciato alla previdenza sociale nel loro paese d’origine per sottoscrivere un’assicurazione sanitaria ungherese. Molti di loro vivono a Marcali, dove i prezzi sono più bassi rispetto ad altre località più vicine al lago Balaton. Il Monde ci è andato a fare un reportage, ha detto che tanti di questi pensionati tedeschi mangiano al ristorante Mester, i tavoli sono pieni di piatti abbondanti e tanta birra, sono tedeschi e anche austriaci, cercano di esprimersi in ungherese, qualche parola qua e là in “quella lingua infernale”, lodano Orbán che “non è perfetto ma sui migranti aveva ragione”, passeggiano e vanno alle terme. A Marcali dove l’unico siriano è un pediatra, è tutto un fiorire di agenzie immobiliari, anche loro sono grate a Orbán che nel 2017 aveva detto di essere disposto a dare rifugio ai veri rifugiati, “olandesi, francesi, italiani, tedeschi, cristiani che devono fuggire dai propri paesi e che vogliono ritrovare qui l’Europa che hanno perduto da loro”. Nel loro paradiso nazionalista, i tedeschi spendono, fanno bene al turismo della regione e rendono orgoglioso Orbán: chi lo avrebbe mai detto che non sarebbero più stati gli ungheresi ad andare in Germania, ma i tedeschi ad andare in Ungheria. I problemi economici di Budapest restano però irrisolti, questi “rifugiati” entusiasmano Fidesz, ma la nazione avrebbe bisogno di forza lavoro, più che di pensionati.
“Tornate a casa, per favore!”. Il governo greco ha lanciato un programma di incentivi per i giovani di talento che hanno lasciato il paese durante la crisi finanziaria: si chiama Rebrain Greece, ed è un progetto nato nell’aprile scorso (sì, da un’idea di Alexis Tsipras) talmente importante – ha scritto Politico Europe – che il nuovo governo non ha voluto toccarlo, anzi semmai lo ha migliorato. Ai cinquecento giovani considerati più talentuosi e più indispensabili per la rinascita greca viene offerto uno stipendio lordo mensile di tremila euro (il 70 per cento dei costi è sostenuto dal ministero del Lavoro). Secondo i dati, circa 500 mila persone hanno lasciato la Grecia durante gli anni del collasso economico, e di questi il 90 per cento aveva un diploma di liceo, il 64 un dottorato. La società Endeavor, che si occupa di monitorare e sostenere le attività imprenditoriali che più hanno impatto sulla crescita delle economie, ha pubblicato un report in cui si quantifica questa fuga di cervelli. Il “capitale umano” è il primo export della Grecia e genera ogni anno 12,9 miliardi di prodotto interno lordo e 9,1 miliardi in tasse nei paesi in cui i greci si sono spostati, mentre lo stato greco ha speso 8 miliardi per l’istruzione di questi giovani che sono andati a lavorare altrove. A pesare sul bilancio greco c’è, come in buona parte dell’Europa, la crisi demografica: entro il 2050, un greco su tre avrà almeno 65 anni (e i boomer non c’entrano più: sono quelli nati nel 1985) e la popolazione diminuirà di oltre un milione di persone (si collocherà tra gli 8,5 e i 10 milioni di abitanti). Il governo ha già stanziato il bonus bebè, ma non sembra sufficiente: c’è sempre l’immigrazione che potrebbe servire per ribilanciare la popolazione greca, ma sappiamo che “l’utilità dei migranti” non è un tema molto popolare, ancor meno nella Grecia che da anni è alle prese con un afflusso massiccio e spesso incontrollato (ben più alto di quello italiano). Gli esperti poi dicono che la novità in questa emigrazione, che non è una prima volta per la Grecia, è che è a stragrande maggioranza giovane e qualificata: un impoverimento secco del paese. Per di più, tra le ragioni della fuga di cervelli c’è la crisi economica certo, ma ci sono anche due altri elementi sistemici, o forse sarebbe meglio dire culturali: la corruzione e l’assenza di meritocrazia. Tanto vale andarsene, no? Il governo greco dell’attivissimo premier Kyriakos Mitsotakis, raro leader di una destra tradizionale liberale che in Europa non esiste quasi più, vuole ribaltare quest’immagine di declino, e per questo si sta inventando qualsiasi cosa: entro il 2024, la Grecia vuole attirare almeno 40/50 mila studenti stranieri e per questo ha creato nuovi corsi molto pubblicizzati in lingua inglese, in particolare quelli di letteratura antica, filosofia, storia antica, insomma quando la Grecia era grande. Pare che in particolare abbiano risposto i cinesi, e questo ha fatto sollevare qualche sopracciglio, ché Atene ha firmato il memorandum sulla Belt and Road Initiative con Pechino (come noi). Ma in questo enorme “venite a noi” che fa da coro all’ottimismo sfrontato del premier Mitsotakis non c’è spazio per le schizzinoserie. Semmai tocca prendersi cura di quei giovani che protestano contro il Rebrain Greece: sono quelli che non hanno abbandonato la barca mentre affondava, che hanno tenuto duro e hanno superato la tempesta, e ora non ricevono in cambio nemmeno una carezza.
“Ridateci i nostri giovani!”. Quando il primo ministro polacco Mateusz Morawiecki parla di giovani usa parole come “ferita”, oppure “dolore”, o ancora “danno”. Vuole dire che i polacchi più giovani se ne vanno, lasciano la Polonia in mano ai più adulti, non fanno figli, e soprattutto, è questa la cosa che più addolora il governo di Varsavia, usano le loro competenze in altri paesi europei. La Polonia li rivuole indietro, sono bravi, sono competenti, sono poliglotti, sono laureati. Per riattrarli il governo nazionalista ha fatto approvare una nuova legge per la quale i ragazzi che hanno meno di 26 anni e che guadagnano meno di 85.528 zloty l’anno (20 mila euro), non pagheranno le tasse se torneranno in Polonia e l’esenzione sarà “perpetua”. “E’ come se l’intera città di Varsavia se ne fosse andata”, ha detto una volta Morawiecki riferendosi ai giovani espatriati e ha aggiunto: “E’ questo lo scotto che dobbiamo pagare per essere entrati nell’Ue”. Per un governo nazionalista vedere i propri ragazzi che preferiscono un paese straniero è una ferita all’orgoglio, fa male al cuore. La Polonia economicamente va molto bene, cresce del 4,5 per cento, la disoccupazione è bassissima, anzi c’è bisogno di lavoratori, disperatamente. Chi non torna spesso lo fa per una questione di diritti e per una certa idea di Europa che in Polonia non sente più.
La tv e la borsetta. Uno studio appena pubblicato in Francia mostra ancora una volta quanto venga raccontata male l’Europa in tv. Si parla dei media francesi, ma sappiamo che è un problema diffuso: l’Europa continua ad apparire troppo tecnica e lontana, e quindi si finisce per non occuparsi più di quel che fa l’Europa, fino alla prossima elezione in cui qualcuno – in Francia Marine Le Pen è già ufficialmente candidata per il 2022 – dirà che bisogna rifondare l’Europa, smantellarla, decostruirla, magari uscirne come fanno gli inglesi. Come si fa a dare vitalità a un progetto vitale? Noi ci siamo fatte incuriosire da Brune Poirson, che lavora al ministero francese per la Transizione ecologica e inclusiva ed è stata definita dal New York Times “la ministra non ufficiale per la Moda”. La Poirson, 37 anni, è in prima linea nella cosiddetta “guerra delle borse” con l’America: sta cercando di evitare i dazi dell’Amministrazione Trump sui beni di lusso. Ha anche presentato una legge per evitare che le case di moda distruggano gli abiti e gli accessori che non vengono venduti (630 milioni di euro nel cestino) e deve essere firmata da Emmanuel Macron un’altra norma che vieta le microplastiche nei cosmetici e rende obbligatori i filtri nelle lavatrici industriale. L’obiettivo è “zero sprechi”. La Poirson, che si è guadagnata molti applausi quando a un parlamentare che l’ha chiamata in Aula “ma chère amie” ha risposto: “Mi chiami Madame la Ministre”, dice: “In politica, quel che è terribile è che le cose ci mettono molto a cambiare non perché sono difficili, ma perché molti non hanno la volontà di cambiare per ragioni misere. In tv funzioni bene per una settimana se dici che stai attuando una cosa che era stata pianificata dieci anni fa. E’ davvero deprimente. A volte, se vuoi cambiare le cose, non devi fare troppo affidamento sulla politica”. Il suo addetto stampa è quasi svenuto quando l’ha sentita parlare così a un giornalista, ma la Poirson ha riso, ha detto “lui sta morendo, ma è la verità” ed è ripartita per i suoi viaggi tra le fabbriche del tessile francese, ministra non ufficiale col cambiamento a tracolla.