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Il modello tedesco, il futuro di Angela e i nostri sospiri
La Merkel introduce un lockdown nazionale con “misure severe”. Le chiacchiere sulla sua successione e i sentimenti degli europei per la Germania
Angela Merkel ha incontrato i governatori delle regioni tedesche e ha deciso assieme a loro un piano severo per la seconda ondata di coronavirus. “Dobbiamo agire e dobbiamo farlo adesso”, ha detto la cancelliera tedesca, perché altrimenti il sistema sanitario rischia di essere sovraccarico. Il numero dei pazienti in terapia intensiva è raddoppiato in dieci giorni, il tracciamento è andato fuori controllo: ora la Germania riesce a tracciare soltanto il 25 per cento dei contagiati. Per questo a partire dal 2 novembre saranno chiusi bar, discoteche, ristoranti, cinema, teatri, sale concerti, fiere, parchi di divertimento, casinò, bordelli, piscine, saune, bagni termali e palestre. Resteranno aperti asili, scuole e negozi (25 metri quadri a cliente), si potrà assistere alle funzioni religiose e il campionato di calcio continua ma senza tifosi. Tornano le limitazioni nei contatti personali: potranno riunirsi al massimo dieci persone o due nuclei familiari. Le nuove restrizioni sono accompagnate da un pacchetto di aiuti del valore di 10 miliardi di euro: alle attività che hanno meno di 50 dipendenti si vuole garantire il 75 per cento del fatturato. Le restrizioni dureranno per quattro settimane, “tra due settimane – ha detto la Merkel – tornerò a confrontarmi con i Länder per decidere insieme se vadano prese altre decisioni o se queste misure dovranno essere modificate”. Le restrizioni sono state “sostenute da tutti i governatori: tutti contribuiscono, nonostante vi siano situazioni di contagi molto diverse”. Sappiamo, ha detto la cancelliera, “quanto peso dovranno sostenere le persone”.
Da quando è iniziata la pandemia, buona parte del mondo ha iniziato a guardare sospirando la Merkel: la sua calma attiva, la sua chiarezza, i suoi appelli alla responsabilità personale e collettiva sono diventati fonte di ispirazione (e di invidia). I sospiri sono andati di pari passo con una delle domande che inquieta ed eccita tutta l’Europa: fino a quando ci sarà la Merkel? Ogni risposta è condizionata da speranze a paure, dall’ideologia anche, ma abbiamo cercato di fare il più possibile la tara dei pregiudizi. Ecco quindi il nostro viaggio nel modello tedesco, quello sanitario, quello europeo, quello della leadership della Merkel. Per i sospiri, l’ispirazione e l’invidia ci siamo rivolte a John Kampfner, che ha scritto un libro dal titolo “Why the Germans Do it Better”.
Le nuove restrizioni sono state sostenute da tutti i governatori. I numeri del sistema sanitario e il sostegno economico
Terapie intensive. Nella gestione della pandemia, il sistema tedesco è risultato il meglio attrezzato in Europa e la risposta non è da cercare nella qualità del sistema sanitario che è comparabile a quello italiano o francese, anzi, secondo la media europea, l’aspettativa di vita dei tedeschi è di circa due anni in meno rispetto a quella degli italiani. Le tracce da seguire sono nelle risorse e nell’organizzazione. All’inizio della pandemia in Germania c’erano 6 letti di ospedale in terapia intensiva ogni mille abitanti contro i 2,6 dell’Italia. Rimasta praticamente immune dalla recessione dopo la fine della grande crisi finanziaria del 2008, la politica dello schwarze Null, del pareggio di bilancio come assioma, ha finito per proteggere il settore sanità dai tagli dei posti letto. Secondo il Robert Koch-Institut (Rki), il braccio epidemiologico del governo tedesco, che comunica attraverso un bollettino serale in tedesco e in inglese e con un dashboard aggiornato in tempo reale, ad aprile i posti letto per la terapia intensiva (ICU) in Germania erano 16.734. Oggi ci sono 29.399 letti ICU, di cui 21.717 (il 74 per cento) occupati e 7.682 (il 26 per cento) liberi.
Tamponi e tracciamento. Da subito i tedeschi hanno raggiunto un alto numero di tamponi. Secondo l’Rki, nell’undicesima settimana dell’anno, ossia fra il 9 e il 15 marzo, in Germania si facevano 7.115 tamponi al giorno: a inizio giugno se ne facevano 161.911. Nella settimana iniziata il 19 ottobre, la capacità complessiva giornaliera dei laboratori pubblici e privati in Germania era arrivata a 262.817 tamponi (174.398 in Italia). Per rendere il tracciamento capillare ed effettivo, in assenza di personale, le autorità sanitarie hanno dapprima affidato il lavoro a fisioterapisti, medici scolastici, ortodontisti (personale non d’emergenza). Oggi ad aiutare nelle telefonate ai contagiati e ai loro prossimi contribuiscono 15 mila effettivi messi a disposizione dalla Bundeswehr, le forze armate.
Protezione. Nei primi mesi, il Covid in Germania aveva colpito soprattutto famiglie che erano state in settimana bianca, con l’incidenza dei casi più alta nelle fasce di età 15-34 e 35-59 anni. Il che ha dato tempo alle autorità di aumentare le misure di sicurezza intorno agli anziani. Oggi gli over 80 sono la terza fascia più colpita. La Germania ha anche cercato di proteggere gli operatori sanitari e i governatori hanno vietato ai pazienti con sintomi respiratori di presentarsi negli ambulatori dei medici di famiglia senza un appuntamento. Il risultato è stato che i medici di famiglia morti per il coronavirus lo scorso aprile erano 7 in Germania e 150 in Italia.
Federalismo. Anche l’approccio federale ha aiutato – quantomeno a salvare l’economia. A livello locale sono state importanti le Gesundheitsamt, le autorità sanitarie che sono circa quattrocento su tutto il territorio e che hanno gestito dall’inizio la pandemia. Ma ora questi enti cominciano ad avere grandi difficoltà e alcune amministrazioni cittadine, come Berlino, hanno deciso di cambiare strategia e di lasciare ai cittadini il compito di autoisolarsi e informare tutti coloro con cui sono entrati in contatto, per poi fare il test. Un medico ospedaliero di Bad Kreuznach, nella molto contagiata Renania-Palatinato, ci ha spiegato che il problema negli ospedali non sono i casi di coronavirus, “quanto lo spazio necessario per i casi sospetti, ognuno dei quali richiede una stanza per sé per alcuni giorni”.
“Non è un sistema binario”. Il successo dei tedeschi nel contenere la prima ondata, John Kampfner se lo spiega con un’alchimia di due fattori: le politiche sanitarie e una società politica più ampia. “Ma bisogna fare attenzione – ci dice – perché la seconda ondata è più problematica ovunque, anche in Germania”. Berlino ha sempre investito molto nelle politiche sanitarie, gli ospedali sono generalmente ben equipaggiati e “se negli altri paesi adottavano il principio della capienza minima, loro hanno sempre fatto in modo che di letti ce ne fossero in abbondanza. Tempo fa ho parlato con il capo della Commissione Salute al Bundestag e mi ha detto che è da quindici anni che si preparano a un’eventuale pandemia, non hanno mai considerato che sars, mers o ebola non potessero riguardare la Germania. Poi quando l’Italia è stata colpita hanno cercato di organizzarsi in fretta e hanno fatto affidamento sulle autorità sanitarie locali. Il federalismo, spesso criticato, in questo caso è stato fondamentale per agire più in fretta”. C’è da chiedersi, dice Kampfner quanto del successo venga da Angela Merkel e quanto sia una questione più ampia e sistemica, “ovviamente tutte e due le cose. La Merkel è stata spesso criticata per la lentezza della sua leadership, ma il suo stile, la sua calma, durante le crisi si sono rivelati gli elementi giusti. Durante la crisi finanziaria, dei migranti e la pandemia, è rimasta giudiziosa e ferma. E’ stata una figura rassicurante. Lei però non ha ampi poteri sulla sanità, quelli riguardano più gli stati”. In generale è come se il sistema tedesco fosse fatto per le crisi: “Non è un sistema binario come quello britannico, americano o francese, dove o vinci o perdi, ma cerca le soluzioni nei compromessi”. Per questo, secondo Kampfner un sistema come quello tedesco non potrebbe mai produrre un Trump o un Boris Johnson. “Se noi abbiamo alla guida un clown, devo accettare che è l’espressione della volontà degli inglesi in questo momento. Se la Merkel guida i tedeschi dal 2005, è l’espressione della loro volontà. Il titolo del mio libro (“Why the Germans Do it Better”) è molto più drammatico del contenuto e spesso scrivo cosa i tedeschi non fanno bene, e le cose sono tante. Ma spesso gli aspetti positivi sono proprio dall’altra parte di quelli negativi. Quindi, per esempio, il fatto che il sistema tedesco favorisca i compromessi fa sì che la Germania sia una nazione che non è molto decisa e non è molto veloce quando si tratta di riformarsi. E questo è uno dei rimproveri che viene mosso alla Merkel”. Ogni nazione ha un rapporto controverso nei confronti della Germania, ce l’ha l’Italia, ce l’hanno gli Stati Uniti e anche la Gran Bretagna e di questo rapporto di amore-odio, dice il giornalista, “i tedeschi sono al corrente, anche per questo spesso fanno fatica a muoversi, ad assumere la leadership dell’Europa”. Il libro di Kampfner è stato accusato di essere “Brexit revenge pornography”: “Non posso accettare le accuse di vendetta o di pornografia, ma è vero che c’entra la Brexit. Che non è la causa dei problemi, ma il risultato di una serie di problemi che abbiamo da anni, che ci hanno paralizzati, ma che ci hanno portato a vivere questo rapporto burrascoso con la Germania”.
I tedeschi in Europa. Fino all’arrivo di Ursula von der Leyen alla presidenza della Commissione, la Germania aveva sempre guidato da dietro le quinte l’Unione europea. La sua leadership era considerata incontrastata, per peso economico e politico, ma anche per la sua capacità di occupare gli incarichi strategicamente più rilevanti delle burocrazie comunitarie, senza doverci mettere la faccia sul piano politico. Una tradizione che continua ancora oggi. Dentro la Commissione, il potere è concentrato nelle mani del suo capo-gabinetto, Bjoern Seibert, e del suo consigliere per i media, Jens-Alexander Flosdorff, entrambi importati da Berlino. Ma la Mannschaft tedesca nelle istituzioni Ue è davvero uno squadrone. Ci sono decine di capi-gabinetto, direttori generali e vice direttori generali tedeschi nella Commissione. Manfred Weber della Csu presiede il più grande gruppo politico, il Partito popolare europeo. L’amministrazione del Parlamento europeo è diretta da oltre 10 anni da Klaus Welle, un uomo della Cdu. Helga Schmid è stata segretaria generale del Servizio europeo di azione esterna dal 2016 (dovrebbe lasciare il prossimo anno). Klaus Regling, dopo essere stato un alto funzionario della Commissione, nel 2010 è andato a dirigere i fondi salva-stati Efsf e Esm. Werner Hoyer, che ha un passato nel partito liberale, dal 2012 è presidente della Banca europea degli investimenti. I tedeschi si coordinano grazie al loro ambasciatore a Bruxelles, che è sempre un peso massimo del corpo diplomatico. Quello attuale, Michael Clauss, era stato trasferito da Pechino per coordinare la presidenza tedesca dell’Ue.
Il dopo Merkel, secondo Kampfner. Angela Merkel è una figura internazionale ormai e chiunque verrà dopo di lei si troverà a dover trasportare il paese e l’Europa nell’èra post Merkel. “I candidati alla guida della Cdu sono tutti molto diversi da lei e tra di loro, la successione sarà un momento traumatico per tutti, per i tedeschi e per gli europei. In Ue probabilmente sarà Emmanuel Macron a riempire il vuoto, e questo i tedeschi lo sanno. In Germania, molto dipende dalla pandemia, ma credo che il futuro leader della Cdu sarà Armin Laschet, il favorito”. E se rimanesse Merkel? “Non rimarrà, se è ragionevole non lo farà. Prima del coronavirus i sondaggi indicavano una grande frustrazione nei confronti della cancelliera, aveva capito che fosse il momento di andarse. Adesso è al massimo del suo consenso e se pensa alla sua eredità, sa bene che è il momento di andarsene. La Germania ha davvero bisogno di un nuovo inizio, di riforme e tutto questo può esserci solo con un nuovo leader. Non mi aspetto che Merkel rimanga, ma credo che qualsiasi cosa voglia fare, magari nelle istituzioni internazionali, può farlo”.
John Kampfner ci dice che l’approccio della cancelliera è perfetto per gestire le crisi. Si ricandida? “Se è ragionevole, no”
E se Angela si ricandida? L’erede designata della Merkel era Annegret Kramp-Karrenbauer (Akk), ora ministro della Difesa, che si è dimessa all’inizio dell’anno, appena prima dell’inizio della pandemia, perché in Turingia la Cdu era finita alleata di fatto con l’AfD, e questo fu definito dalla Merkel inaccettabile. Con le dimissioni di Akk era stato indetto un congresso previsto per la primavera ma sospeso a causa della pandemia. Ne era stato previsto un altro, per il 4 dicembre, ma la seconda ondata ha portato a un nuovo rinvio. Il candidato meno in continuità con la Merkel, Friedrich Merz, è esploso di rabbia: pensa che i rinvii siano una manovra per ostacolarlo, per ritardare il suo avvento, per indebolirlo perché più si perde tempo ora meno tempo ci sarà per prepararsi per le elezioni, previste per l’autunno del prossimo anno. Gli altri candidati alla successione, Armin Laschet (in tandem con il ministro della Salute, Jens Spahn, che ora gode di molta popolarità pur non essendo mai stato un merkeliano), e Norbert Röttgen, sono stati meno virulenti, più per forma che per sostanza, ché anche per loro il tempo è importante. Il rinvio e questa indecisione sulla successione hanno ravvivato voci che circolano da tempo sulla possibilità che Merkel si candidi per un quinto mandato. I fatti a sostegno di questo pettegolezzo: la Merkel non ha avuto molte remore a far fuori la sua delfina Akk; aveva già detto che non si sarebbe candidata per il quarto mandato, e poi lo ha fatto con spirito di sacrificio, per la situazione di emergenza che si era venuta a creare tra Brexit e l’arrivo di Donald Trump; più emergenza di questa attuale è difficile da immaginare; per quanto possano essere illuminati e ordinati i leader, la successione è sempre un affare complicato. Chi invece sostiene che la Merkel non punta a una nuova ricandidatura tendenzialmente dice: quanto suona male “ventennio merkeliano”. C’è poi una terza via. Il successore della Merkel sarà designato, la cancelliera non lascerà l’incarico prima della fine della legislatura, ci saranno le elezioni e con tutta probabilità bisognerà formare una coalizione di governo, più o meno complicata a seconda dell’esito elettorale: forse fino alla primavera del 2022 alla guida della Germania ci sarà la Merkel. Un altro elemento da tenere presente: ci sono elezioni regionali importanti lungo il 2021, e il fatto che la Cdu non abbia un leader potrebbe essere un problema. Anche per questo Merz è arrabbiato (è sempre arrabbiato in ogni caso). Al contrario, spera di approfittarne Markus Söder, ministro-presidente della Baviera, che continua a ripetere che la leadership dell’Unione tra cristiano-democratici e cristiano-sociali quest’anno tocca proprio ai bavaresi. Ognuno ha la sua ambizione, ma – per adesso? – c’è la Merkel.
(hanno collaborato David Carretta da Bruxelles e Daniel Mosseri da Berlino)