Euporn - il lato sexy dell'europa
Sul fronte della battaglia per l'anima europea
La nuova America con cui convivere, il terrorismo da combattere, la pandemia da curare. La forza dell’Ue è anche in tre ballerine di can can
La notte scorsa l’Europa l’ha passata in piedi, ha atteso che uno stato americano dopo l’altro chiudesse i seggi, ha aspettato che la mappa degli Stati Uniti – dai confini così netti e tagliati, non come i suoi, tutti rientranze e picchi – si colorasse. Con pazienza e fiducia, ha aspettato che il “miraggio rosso” passasse, ed è passato, che arrivasse un po’ di blu ad alleviare l’ansia: perché l’Unione europea, a parte qualche voce discordante, l’aveva già fatto capire per chi tifava. La notte insonne non è bastata a capire chi avesse vinto e anche l’Ue è rimasta a guardare, in attesa di sapere se a guidare gli Stati Uniti rimarrà Donald Trump, che ha striminzito le relazioni transatlantiche, oppure arriverà Joe Biden, che potrebbe alleviare gli attriti, le rabbie e la sfiducia degli ultimi quattro anni. Rimanendo a contare fino all’ultima scheda, l’Ue da questo voto americano una lezione l’ha già imparata, ed è la più spaventosa. Ha capito che comunque andranno le cose, negli Stati Uniti il trumpismo ha tracciato una linea fortissima per dividere i cittadini. Sul Financial Times, lo storico e saggista Simon Schama aveva detto che questa volta stava accadendo un qualcosa di inedito, uno dei due candidati, Trump, non sembrava interessato a combattere contro il suo avversario Joe Biden, quanto contro le elezioni stesse. E tutto quello che sta accadendo in queste ore non è soltanto un voto, ma è anche una battaglia per il funzionamento della macchina della democrazia americana. Sylvie Kauffmann, una delle nostre commentatrici preferite e spesso ospite di questa rubrica, in un editoriale sul Monde, pubblicato poco prima del voto di martedì, ha descritto bene questa battaglia per la democrazia, che è la madre di tutte le battaglie e per questo non riusciamo a staccare gli occhi da quello che succede negli Stati Uniti. “Confinati nelle tribune degli spettatori – scrive la giornalista – i cittadini del mondo libero, quelli che vedevano la democrazia americana come una sorta di marchio di fabbrica, hanno trattenuto il respiro. Non possono votare, ma negli ultimi quattro anni hanno compreso fin troppo bene l’importanza della posta in gioco, anche per loro, in questa America irrimediabilmente divisa”. Anche con Joe Biden alla Casa Bianca, l’Unione europea dovrà abituarsi a questo suo alleato cambiato ormai per sempre, perché l’ex vicepresidente sarà un palliativo, non la cura. E l’Unione europea, che con Trump ha già iniziato un suo percorso di trasformazione, dovrà continuare a reinventarsi, rafforzarsi. E’ in corso un processo di ricostruzione dell’anima europea, che in questo momento passa attraverso tre crisi: il suo rapporto con la nuova America, la lotta al terrorismo e la gestione della pandemia. Siamo andate a guardarli da vicino questi tre campi di battaglia, abbiamo scoperto le fratture, ma anche i punti di forza, i vecchi fardelli da gettar via e la voglia di novità, l’irruenza e la cautela. E abbiamo scoperto che l’anima europea non sta poi così male, è forse soltanto un po’ immatura.
I tre fronti europei e il voto americano. Le difficoltà e i dilemmi dell’Unione europea nella relazione con gli Stati Uniti del dopo 3 novembre 2020 sono sintetizzati dalle reazioni che si sono viste ieri mattina. La Germania, che spera di mettere fine a quattro anni di conflitti commerciali e politici, è andata nel panico quando Trump ha annunciato la sua intenzione di chiedere un intervento alla Corte suprema per fermare le operazioni di spoglio. Il ministro tedesco della Difesa, Annegret Kramp-Karrenbauer, ha denunciato “una situazione molto esplosiva” e ha evocato “una crisi costituzionale” che “deve preoccuparci tutti”. Il ministro tedesco delle Finanze, Olaf Scholz, ha accusato Trump di agire “in modo antidemocratico” con la richiesta di non contare i voti per posta. L’establishment tedesco sogna un ritorno allo status quo ante Trump: una stretta relazione commerciale accompagnata dalla garanzia di sicurezza degli Stati Uniti per l’Europa. La Germania, sempre prudente nell’assumersi le sue responsabilità geopolitiche, sta per entrare nella sua fase di transizione. Salvo sorprese, Angela Merkel lascerà la cancelleria tra fine 2021 e inizio 2022 e non si sa ancora chi le succederà e con quale effetto sull’elettorato. Prima delle presidenziali americane, il ministro degli Esteri Heiko Maas aveva proposto un “new deal” transatlantico per affrontare i problemi mondiali. Akk aveva spiegato che “si deve mettere fine alle illusioni di autonomia strategica europea. Gli europei non saranno in grado di sostituire il ruolo cruciale dell’America come fornitore di sicurezza”. La vittoria di Biden sarebbe rassicurante per la Germania, ma Berlino rischia di sottovalutare il fatto che il trumpismo è sopravvissuto in queste elezioni ed è destinato a incidere sulle politiche del prossimo inquilino alla Casa Bianca.
Come saranno i rapporti con gli Stati Uniti? L’approccio tedesco, francese e trumpiano dell’est. Ma la vera sfida resta la Cina
I francesi. La Francia la pensa in modo opposto. Emmanuel Macron è riuscito con fatica a trascinare Merkel dietro alla sua idea di sovranità europea e al concetto di autonomia strategica (anche se più economica che politica). Il presidente francese non intende rinunciare ai progetti di “grandeur” per l’Ue solo perché un democratico torna alla Casa Bianca. “L’America da tempo non è più un partner amichevole degli europei, ma un rivale commerciale”, ha detto ieri il ministro francese delle Finanze, Bruno Le Maire. A urne americane ancora aperte, il suo collega agli Affari europei, Clément Beaune, ha spiegato che esiste “una tentazione europea”, quella “di credere che se vince Biden queste elezioni segneranno la fine di una parentesi”. Ma “ci sono elementi nella politica americana condotta da Trump che dureranno nel tempo”, ha aggiunto Beaune: “Dobbiamo comprendere che non vivremo mai più nel mondo di prima, quello della Guerra fredda, quando avevamo la protezione americana e una benevolenza sistematica nel settore della sicurezza e del commercio. Questo non succederà, chiunque sia il presidente”.
Il campo trumpiano. Il premier sloveno, Janez Jansa, ieri è stato il primo leader europeo a pubblicare una specie di messaggio di congratulazioni a Trump, facendo venire il mal di pancia a Bruxelles e ad altre capitali. “E’ abbastanza chiaro che il popolo americano ha eletto Donald Trump e Mike Pence per altri quattro anni”, ha scritto Jansa: “Congratulazioni al Partito repubblicano per i forti risultati”. La Slovenia non è nel gruppo di Visegrád, ma Jansa aspira a entrare nel club degli uomini forti alla testa di democrazie illiberali in Europa. Il premier ungherese, Viktor Orbán, aveva detto apertamente di fare il tifo per Trump. Un ministro del suo governo, Gulyas Gergely, ieri ha spiegato di sperare “con tutto il cuore” nella vittoria del repubblicano, anche se ha poche chance perché Biden è “sostenuto da (George) Soros”. Il governo nazionalista in Polonia, che sulla sicurezza si fida più degli Stati Uniti che dell’Ue, ha legato il suo destino a quello di Trump, dopo aver accettato di ospitare truppe americane ritirate dalla Germania.
La sfida più urgente. Le istituzioni europee sono rimaste silenti in questo coro di opinioni nazionali diverse. L’Alto rappresentante ha inviato un messaggio che non dice nulla. “Il popolo americano ha parlato. In attesa del risultato elettorale, l’Ue resta pronta a continuare a costruire una forte partnership transatlantica basata sui nostri valori e storia condivisa”, ha detto Josep Borrell. “L’alba più incerta”, ha twittato il commissario Paolo Gentiloni. Si riferiva agli Stati Uniti, ma avrebbe potuto tranquillamente parlare delle difficoltà dell’Ue a immaginare una futura relazione con l’America. Le fattezze della nuova America mettono gli europei davanti a una delle più grandi sfide di questi ultimi anni: la Cina. Un secondo mandato di Donald Trump avrebbe come conseguenza quella di spingere l’Ue sempre più verso Pechino, ma anche con una presidenza Biden, il disimpegno progressivo iniziato ormai da anni da Washington sarebbe soltanto più morbido e più lento rispetto agli anni trumpiani, metterebbe gli europei di fronte a una domanda rischiosissima: con chi lo teniamo in piedi il multilateralismo? Prima della pandemia, la risposta per molti sembrava essere quasi scontata: con la Cina. Ma da marzo le cose sono cambiate, la sfiducia è aumentata e con questo clima di diffidenza a settembre si è svolto l’incontro in videoconferenza tra il presidente Xi Jinping e gli europei Angela Merkel, Charles Michel e Ursula von der Leyen. La videoconferenza sarebbe dovuto essere un summit da tenersi a Lipsia, ma sia per motivi sanitari sia per dare meno importanza all’evento, la Germania ha deciso di declassarlo a un incontro video tra leader. Quel giorno venne dato l’impulso politico a un accordo sugli investimenti tra Cina e Ue, la Merkel aveva cercato di ribadire più volte quanto fossero importanti gli accordi, ma anche quanto fosse necessario farsi ispirare dal “principio di realtà” quando si ha a che fare con la Cina. Perché i contenziosi rimangono tanti: la mancanza di trasparenza sul Covid, la legge sulla sicurezza nazionale a Hong Kong, i campi di rieducazione nello Xinjiang, la disinformazione. Eppure tra gli europei rimane una tentazione cinese e, ora che l’America cambia strada e si defila, è forte. La Cina viene vista come un partner per sostenere le istituzioni internazionali. Ma se quella con l’America è l’alleanza più naturale che ci sia, quella con la Cina sarebbe una forzatura.
La lotta al terrorismo europeo. L’ultimo numero del settimanale Charlie Hebdo è uscito con una copertina sulla Francia che ribadisce le posizioni del presidente Emmanuel Macron: ci sono libertà che in Francia saranno sempre difese. Il settimanale ha deciso di celebrarla, questa libertà, con una copertina in cui compaiono tre ballerine di can can, con una gamba all’aria, mutandine striminzite ben in vista, reggicalze, seni scoperti, che ballano tenendo in mano le loro teste sorridentissime, truccatissime e decapitate. “La France, sera toujours la France” è il titolo: la Francia sarà sempre la Francia. Ancor prima degli attentati delle ultime settimane, e soprattutto dopo, la nazione si è posta come un baluardo di un sistema di valori e di una ricchezza civile che non potrà mai essere sconfitta e svilita. E questo sistema appartiene non soltanto alla Francia, ma a tutta l’Ue. Il dibattito è soprattutto valoriale, ma entra nella dimensione europea quando, come nel caso di Nizza, si sposta sulla questione immigrazione. Nizza ha mostrato ancora una volta le falle di Dublino e l’Ue dovrà tenerne conto. Dopo l’attentato di Vienna di lunedì scorso, il presidente francese è stato quello che ha espresso con più forza la sua solidarietà all’Austria: “Noi francesi condividiamo lo choc e il dolore del popolo austriaco colpito questa sera da un attentato al cuore della sua capitale, Vienna. Dopo la Francia, è un paese amico che è attaccato. E’ la nostra Europa. I nostri nemici devono sapere con chi hanno a che fare. Non cederemo”.
Il discorso di Kurz. “E’ stato un attacco motivato dall’odio nei confronti dei nostri valori fondamentali, del nostro modo di vivere, dall’odio contro la democrazia in cui tutte le persone hanno pari diritti e dignità. La notte di ieri – ha detto il cancelliere austriaco Sebastian Kurz dopo l’attentato di Vienna – passerà alla storia come un momento tragico, in cui i nostri cittadini sono stati vittime di un attacco brutale che era rivolto a noi tutti”. Il cancelliere ha promesso che la nazione non si farà intimidire dai terroristi, sulla scia di Macron, che i valori fondamentali e la democrazia saranno difesi “con tutte le forze”. Gli attacchi in Francia della scorsa settimana e quello in Austria sono il segno che il terrorismo ha come obiettivo ciò che è europeo, a cominciare dalla democrazia. Kurz ci ha tenuto a sottolineare come sia importante non cedere alla logica della divisione: “I nostri nemici non sono mai membri di una comunità religiosa, non sono mai una sola persona o un certo paese. I nostri nemici sono i terroristi e gli estremisti. Nella nostra società libera non deve esserci tolleranza per l’intolleranza”. Non si tratta di una disputa tra cristiani e musulmani, tra austriaci e migranti, “ma tra civiltà e barbarie”.
L’impatto sull’economia della seconda ondata sarà meno duro. Ma c’è un’incertezza: l’entrata in funzione del Recovery fund
Soldi e pandemia. Siamo arrivati alla terza sfida, quella che pensavamo di aver imparato a conoscere dopo la primavera e che invece ci è tornata addosso più forte di prima, ma che abbiamo deciso di affrontare da europei. La seconda ondata ha portato a nuovi lockdown che tutti i governi dell’Ue stanno introducendo. L’impatto sull’economia sarà significativo, anche se non così duro come in primavera. La Francia stima una contrazione del 15 per cento contro il 30 per cento di marzo e aprile. “Ci sono ragioni per pensare che l’impatto” della seconda ondata “sarà inferiore rispetto a primavera”, ma “allo stesso tempo c’è incertezza sulla durata di questa seconda ondata”, ha spiegato il commissario all’Economia, Paolo Gentiloni, dopo una discussione martedì all’Eurogruppo. Oggi Gentiloni presenterà le sue previsioni economiche d’autunno. Ma, oltre all’incertezza sulla ripresa, c’è un’altra incertezza che pesa sull’Ue: l’entrata in funzione del Recovery fund. I negoziati tra la presidenza tedesca dell’Ue e il Parlamento europeo sul pacchetto di bilancio – che comprende “Next Generation Eu” – sono in corso da oltre un mese. Oggi dovrebbe esserci un altro passo avanti con un’intesa sul meccanismo di condizionalità sullo stato di diritto. Ma una svolta sul quadro finanziario pluriennale – da cui dipende tutto il pacchetto di bilancio – appare ancora lontana. Il Parlamento europeo chiede circa 30 miliardi in più per i programmi europei come ricerca, Erasmus e sanità nel periodo 2021-27. Ma la presidenza tedesca finora ha offerto al massimo 10 miliardi attraverso aggiustamenti tecnici e di far confluire nel bilancio le multe dell’antitrust. Il Parlamento europeo vuole mettere mano anche alla regolamentazione sulla Recovery and Resilience Facility, raddoppiando l’anticipo che gli stati membri dovrebbero ottenere la prossima estate (per l’Italia passerebbe da 20 a 40 miliardi). Ma gli stati membri si oppongono a riaprire l’accordo che hanno raggiunto tra loro e nemmeno la Commissione è favorevole.
Ieri, quando abbiamo iniziato a vedere i puntini blu infittirsi nella mappa tutta spigoli degli stati americani, abbiamo iniziato a tirare sospiri di sollievo. Il trumpismo ha risvegliato l’Ue, il fronte francese ha ragione, ma questa unione tra europei rafforzata non marcia ancora da sola, e senza America siamo tutti più soli.
(ha collaborato David Carretta)