Euporn - il lato sexy dell'europa
Ehi nazionalisti, a giocare con la exit poi vi bruciate
C’erano una volta un gatto e una grondaia. Inizia così questa storia di eccellenza e resistenza contro Ungheria e Polonia che vogliono i soldi dell’Ue, non le libertà dell’Ue
La scelta sovranista di paesi come l’Ungheria o la Polonia o (naturalmente) la Gran Bretagna è piena di contraddizioni e di effetti autopunitivi, per non parlare dei costi di queste operazioni malamente definite “populiste” – il popolo non ci guadagna niente, anzi. L’Ungheria dell’antieuropeista Viktor Orbán ha fatto una grande pubblicità al vaccino Sputnik V, quello dei russi. Ha annunciato di volerlo testare sugli ungheresi mentre il vaccino europeo-americano mostrava di essere più affidabile (e infatti il nazionalista Boris Johnson se l’è accaparrato per primo: pazienza per il made in Britain, ci penserà al prossimo giro) ma ai leader populisti frega molto poco del popolo: importava farsi vedere più amici dei russi che degli europei, e così Sputnik V era prioritario. Orbán ha prenotato anche 12 milioni di dosi da produttori europei, compreso il vaccino BioNTech-Pfizer, ma ha fatto in modo che non si sapesse: meglio ringraziare pubblicamente Putin o al limite Pechino, da cui Budapest ha comprato 2,8 milioni di dosi di un antivirale sviluppato in un laboratorio cinese. In ogni caso la somministrazione del vaccino ha ben poco a che fare con la sua efficacia: Orbán utilizza la pandemia come strumento politico, un altro, per allargare la sua influenza e impedire qualsivoglia opposizione. Il sito 444, fondato da ex giornalisti di Index, giornale chiuso dai businessmen amici di Orbán qualche mese fa, ha raccontato che i dati di chi si registra online per la vaccinazione gratuita vanno al ministero della Comunicazione, meglio noto come “il ministero della Propaganda” del premier. Chi invece decide di essere contattato tra un po’ – la vaccinazione è su base volontaria – viene gestito da un’azienda a parte, che è quella che produce il software per il conteggio elettronico dei voti. Le prossime elezioni in Ungheria non sono vicine – nel 2022 – ma Orbán ha già detto di volerle vincere: intanto raccoglie dati, sono sempre utili. Ma la storia più bella relativa alle scelte di Orbán sul vaccino è questa: una delle più grandi studiose al mondo dell’mRna, o Rna messaggero, il materiale genetico che contiene le istruzioni per la sintesi di nuove proteine, cioè il principio su cui si fonda il vaccino BioNTech-Pfizer, è ungherese e lavora da sette anni alla BioNTech. Katalin Karikó ha 65 anni, ha fatto i primi studi sull’mRna nei primi anni Ottanta, al Centro di ricerche biologiche dell’Accademia delle Scienze di Budapest (una delle università cui Orbán ha tagliato i fondi: il soffocamento dell’autonomia delle accademie non è un’esclusiva dell’università di George Soros. E poiché ieri Giorgia Meloni chiedeva in Parlamento “cosa significa violare lo stato di dirrito, abbiamo dei parametri oggettivi?”, ecco una della risposte). Nel 1985, il posto di lavoro della Karikó fu soppresso senza troppe spiegazioni così la scienziata si trasferì in America, all’Università della Pennsylvania, con il marito ingegnere, la figlia di due anni e 900 dollari cuciti dentro all’orsacchiotto della bambina, il ricavo della vendita in nero dell’automobile (la bambina è poi diventata Susan Francia, due volte medaglia d’oro olimpica di canottaggio). La Karikó ha continuato a lavorare sull’mRna, convinta del suo potenziale nella cura di molte malattie (voleva provarlo nel 1990 per la cura della fibrosi cistica, ma non trovò i fondi), e alla fine degli anni Novanta ha conosciuto, mentre ritirava dei fogli dalla stampante, Drew Weissman, che lavorava all’Istituto nazionale della Sanità americana e stava cercando il vaccino contro l’Hiv. “Posso creare ogni tipo di Rna”, gli disse la Karikó e cominciarono a lavorare insieme. Nel 2005 pubblicarono uno studio sugli strumenti per contenere gli effetti collaterali dell’mRna: allora pochi lo notarono, oggi molti chiedono che sia conferito ai due il Nobel per la Chimica. Derrick Rossi, biologo canadese, fu uno di quelli che si accorse di quello studio e continuò a lavorare sull’mRna fino a che non ottenne i fondi per costituire la sua azienda: Moderna. Nel 2013, Rossi chiese alla Karikó di andare a lavorare per lui, ma la scienziata preferì accettare l’offerta di una piccola azienda chiamata BioNTech, che allora aveva la sede nel campus dell’università di Mainz, in Germania, e non aveva nemmeno un sito. Il resto è storia contemporanea, ma ha un che di straordinario che il vaccino europeo-americano che il premier ungherese Orbán snobba per evidenti ragioni politiche e geopolitiche sia il frutto anche dell’eccellenza ungherese.
Il vizio del veto. Se tra i ventisette c’è un maestro nell’utilizzo del veto, questo è proprio Orbán. In politica estera infatti l’ha usato spesso. Per difendere la Cina, quando nel 2016, assieme a Grecia e Croazia, pose il veto contro una dichiarazione congiunta dell’Ue a sostegno di una sentenza del Tribunale dell’Aia sul Mar Cinese meridionale che favoriva le Filippine a discapito di Pechino. La dichiarazione finale degli europei uscì lo stesso, ma da nessuna parte veniva nominata Pechino. L’anno dopo soltanto Budapest si oppose a una petizione contro la tortura degli avvocati che erano detenuti in Cina e nel 2018, quando il Servizio europeo per l’azione esterna spingeva per rilasciare una dichiarazione congiunta per chiedere alla Cina di rispettare i diritti umani e il diritto internazionale, l’Ungheria minacciò il veto, poi però decise di non firmare il documento. Orbán ha difeso anche Erdogan: lo scorso anno ha impedito all’Unione di condannare l’offensiva turca in Siria. L’esempio più recente, tuttavia, è quello che riguarda il Magnitsky act europeo, o meglio, il “Global human rights sanctions regime”, il regime di sanzioni da usare sul territorio comunitario contro chi non rispetta i diritti. L’Ungheria si è messa di traverso, il piano punta a colpire molti amici internazionali del premier ungherese: su questo punto però, ha dovuto cedere.
Orbán sponsorizza il vaccino russo, ma sapete dove lavora la scienziata ungherese in odore di Nobel per i lavori sull’mRna? A BioNTech
La bandiera europea sulla sirenetta della Vistola. Ieri il sindaco di Varsavia Rafal Trzaskowski ha tenuto una conferenza stampa per dire che non approva affatto il comportamento del governo con l’Ue, che lo trova irrispettoso nei confronti dell’Ue che tanto ha fatto per la Polonia e per i polacchi che hanno bisogno del sostegno dell’Ue. Ha detto che anche se il verrà raggiunto un compromesso, il rapporto con l’Unione è ormai compromesso: “Come fanno a fidarsi di noi?”. La proposta di Trzaskowski è: Bruxelles, se non puoi più fidarti del governo, fidati di Varsavia e di tutte le altre città che non approvano il comportamento del PiS. E così ha lanciato un’iniziativa per chiedere all’Ue, nel nome della capitale polacca e di altre città e cittadine, di finanziare dei programmi soltanto per loro perché in quelle roccaforte c’è chi crede e ama tantissimo l’Europa. Ieri aveva anche fatto addobbare tutta Varsavia con le bandiere dell’Ue, pure la sirenetta lungo la Vistola aveva la bandiera. Come lui la pensa anche il sindaco di Budapest, Georly Karacsony, che ha subito sostenuto l’iniziativa di Trzaskowski. Se il loro progetto si possa concretizzare ancora non si sa, legalmente no, ma i sindaci sperano in alcuni escamotage.
Il sindaco di Varsavia mette la bandiera europea in ogni angolo della città e dice: noi i diritti li rispettiamo, non tagliate i fondi
I gatti di Jarek. In Polonia il leader del PiS Jaroslaw Kaczynski è diventato vicepremier da qualche mese. Era da tempo che rifiutava ogni incarico di governo, ma è uscito dall’ombra anche per pacificare i suoi litigiosissimi ragazzi e adesso l’opposizione chiede le sue dimissioni. Hanno presentato un voto di sfiducia perché, durante le manifestazioni contro la nuova sentenza sull’aborto, la polizia ha cercato di reprimere le proteste pacifiche con violenza. Non era mai successo e secondo alcune ricostruzioni la responsabilità è di Kaczynski. Le manifestazioni si tenevano per molte città polacche e a Varsavia molte volte i cortei finivano davanti casa del vicepremier, che ha una villa in uno dei quartieri più belli della capitale: Zoliborz. Non è la prima volta che i cortei finiscono lì. Qualche anno fa, mentre i manifestanti protestavano contro la riforma della Giustizia, si affacciò alla finestra un gatto, che a detta di molti, sembrava avesse voglia di unirsi ai manifestanti. Kaczynski non è mai uscito a parlare con la folla, parla poco, non ama le interviste però risponde volentieri se qualcuno gli chiede la storia dei suoi gatti, i suoi coinquilini, parenti, compagni di vita. Il primo gatto di cui si ha notizia è Bus, un gatto bianco, ritratto con Kaczynski negli anni Novanta. Dopo Bus, c’è stato Alik, che deve il suo nome al nonno di Kaczysnki, secondo nome anche del premier e di suo fratello gemello. Alik è stato salvato dal vicepremier, era stato investito da una macchina, non avrebbe voluto altri gatti dopo Bus, ma non è più riuscito a separarsi, e infatti è stato un gatto amatissimo, per quanto macilento. Dopo di lui è arrivata Fiona, la prima gattina che andava matta per l’uva, poi a Fiona si è aggiunto Czarus e infine Feliks, un gatto rosso salvato dalla strada. Kaczynski, non si è mai sposato, i suoi sostenitori dicono che non poteva: “Doveva dedicarsi alla Polonia, viveva con sua mamma Jadwiga, poi solo con i suoi animali. I suoi gatti hanno una caratteristica, durante le manifestazioni, quando Kaczynski si barrica, loro si affacciano alla finestra. Nei sondaggi sono amatissimi, ma nelle ultime manifestazioni in cui i polacchi si sono anche superati in estro, è spuntato un cartello che deve aver fatto arrabbiare moltissimo il leader del PiS per una frase intollerabile: “Kaczynski, anche il tuo gatto preferisce Tusk”.
OK, kot może zostać, ale reszta... pic.twitter.com/XRDMK5bv0r
— Donald Tusk (@donaldtusk) October 29, 2020
In Ungheria la protesta contro l’illiberalismo ha preso la forma di una grondaia, quella su cui ha tentato di scappare l’ex europarlamentare ungherese che ha partecipato a un’orgia gay a Bruxelles (non ci è riuscito, come è facile immaginare). Spuntano grondaie dappertutto, persino in Parlamento, e c’è chi ride, chi moraleggia, chi aspetta di riveder riemergere l’europarlamentare (dov’è finito? Dobbiamo preoccuparci?) e chi, parafrasando gli slogan polacchi dice: Orbán, persino il tuo europarlamentare preferisce Bruxelles.