Euporn - il lato sexy dell'europa

Per l'ultimo (forse) Natale Merkel ci regala una rivoluzione

Paola Peduzzi e Micol Flammini

La cancelliera poteva lasciare un’eredità tedesca e ha scelto invece un’eredità europea. I suoi successori in Ue e a Berlino, e la maglietta capovolta che sa di tenacia

Milleottocento miliardi di euro: avreste mai immaginato che l’Unione europea potesse trovare la forza, il consenso, l’unità per stanziare tanti fondi per salvaguardare le economie e le società dei suoi stati membri? No, non si poteva immaginare: abbiamo sottovaluto il rischio di una eventuale pandemia (ci parevano scenari da film di fantascienza), figurarsi se potevamo considerare il rischio di una rivoluzione europea, in mezzo all’emergenza poi. Invece l’impensabile è accaduto e mentre mettevamo giù la scaletta di questo ultimo nostro EuPorn del 2020, ci siamo rese conto che tornavano due parole di continuo: “tedesco”, “Merkel”. Ancora con la cancelliera tedesca, sarà mica un’ossessione? Pensavamo che un po’ sì, ma anche qui ci siamo dovute ricredere: non siamo noi, è lei. In questi giorni si conclude il semestre europeo della Germania (poi tocca al Portogallo che ha anche le elezioni del capo dello stato mentre guida la presidenza a rotazione dell’Ue) e questo potrebbe essere l’ultimo Natale con Angela Merkel cancelliera tedesca. Diciamo “potrebbe” perché le elezioni nella Repubblica federale tedesca sono previste per il 26 settembre del 2021, quindi in teoria manca meno di un anno alla fine dei quattro mandati della Merkel. Ma ci sono ancora parecchie incognite: il successore deve ancora essere deciso e non è del tutto escluso che la cancelliera si getti nell’ultimo azzardo e decida di ricandidarsi (noi siamo dell’opinione che quattro mandati bastino: impareremo a gestire la sua assenza, avremo molti rimpianti, ma se dopo quindici anni un leader politico di un paese democratico pensa di essere ancora insostituibile e indispensabile, ci viene un po’ l’ansia). Un’incognita ulteriore è quella del tempo: pur con la Merkel, artista inarrivabile del compromesso, nelle ultime tornate elettorali la formazione del governo tedesco è stata un lavoro lungo. Quindi può essere (e questo non ci dispiacerebbe) che la Merkel resti cancelliera fino a 2022 inoltrato. In ogni caso ci godremo ogni attimo del tempo che resta: sono talmente tanti anni che contrastiamo la retorica Merkel-è-finita, che ci siamo fatte una maglietta con la copertina di Stern con la Merkel a testa in giù, simbolo del crollo e della fine, naturalmente capovolta, così sembra che voli, spettinata, quasi spensierata. E’ così che ce la immaginiamo nel giorno in cui ha iniziato la rivoluzione europeista del 2020: il giorno in cui ha deciso che l’eredità del merkelismo non sarebbe stata tedesca, sarebbe stata europea.

 


Milleottocento miliardi di euro, avreste mai immaginato che l’Ue potesse trovare la forza? L’impensabile è accaduto ed è iniziato il 18 maggio


 

Il giorno d’inizio della rivoluzione. Il 18 maggio del 2020 ha dato il via al grande cambiamento europeo di quest’anno: stiamo pensando a un simbolo e un rito per celebrarlo a partire dal 2021. E’ il giorno in cui la Merkel e il presidente francese Emmanuel Macron hanno presentato una proposta di salvataggio europeo che ha segnato la svolta nello storico approccio tedesco e merkeliano agli affari dell’Ue: 500 miliardi di euro, il 3,6 per cento del pil europeo, per “le regioni e i settori” più colpiti dal coronavirus che non erano un prestito, ma un investimento a fondo perduto. Un debito che l’Europa ha assunto tutta insieme, per salvarsi tutta assieme. La Germania, la padrona Germania, la sprezzante Germania, e la sua cancelliera Merkel, che nell’immaginario di buone fette di europei ha i baffetti hitleriani e richiama chissà quali poteri occulti con il suo gesto delle mani (il diamante), hanno rotto con la loro tradizione, hanno spezzato tabù, hanno detto: se non ci salviamo tutti, non si salva nessuno. La Merkel ha un gran senso delle conseguenze delle sue decisioni, è il metodo scientifico che utilizza tanto per spiegare il tasso di trasmissione del coronavirus quanto per maneggiare le questioni umane: è così che ha esercitato la sua leadership in questi anni, scomponendo i problemi e poi risolvendoli con una sua idea e con i suoi tempi. Di fronte a quella che lei considera la più grave crisi europea del Dopoguerra, ha deciso che la risoluzione non poteva essere tedesca, doveva essere europea. Quel giorno è iniziata la rivoluzione che ha portato al Recovery fund, ai negoziati notturni, ai compromessi anche, tanti, gestiti da una presidenza tedesca dell’Ue che ha reso possibile, con la collaborazione di tutti, anche dei frugali e contro i riottosi dell’est, i milleottocento miliardi di euro su cui conta l’Ue. E’ appena superfluo ricordare da dove viene il vaccino che ora l’Europa introduce affrettandosi per Natale: anche qui c’entra il modello tedesco.

 

Il successore europeo. Senza la Merkel, Queen of Europe, sarà Macron, Mr Europe, a cercare di conquistare il posto di guida dell’Unione europea. Sarà una successione quasi naturale, la coppia ha avuto le sue difficoltà, ma se non ci fosse stata non ci sarebbe stato neppure il 18 maggio. L’Ue ha un cuore franco-tedesco e questo ha fatto spesso chiacchierare soprattutto i sovranisti, senza contare che  con Macron alla guida della Francia, il cuore ogni tanto è impazzito un po’. L’irrequietezza di lui, le sue provocazioni hanno fatto sobbalzare e innervosire più di una volta la cancelliera, che ha anche dovuto dire al presidente che era stanca di dover ricomporre i cocci rotti da lui. Il motore franco-tedesco in questi anni ha dovuto rallentare più volte, ogni tanto scoppiettava quasi dovesse fermarsi, con lui che accelerava il ritmo della danza e lei che frenava, ma è andato avanti e soprattutto si è rimesso in marcia quando serviva. Le differenze tra i due sono molte, la cancelliera ha più volte ammesso che ci sono stati scontri, che è diverso il modo di concepire i loro ruoli, di pensare l’Europa, e questo si è visto in varie questioni. Dall’autonomia strategica – su questo Macron si è scontrato soprattutto con Annegret Kramp-Karrenbauer, il ministro della Difesa tedesco che quando era ancora la delfina della cancelliera aveva risposto al “rinascimento europeo” di Macron: i due sono agli antipodi – alla Brexit. Sul divorzio lento e stancante della Gran Bretagna dall’Ue Merkel e Macron non sono d’accordo: lei cerca il compromesso, anche a costo di dilatare, ancora di più se possibile, questa separazione che ormai ha perso la passione, lui è, ed è sempre stato, per la linea dura. Su come trattare con la Turchia, lei cerca il compromesso, lui lo scontro. Se il cuore franco-tedesco nonostante le crisi esiste, batte ed è stato essenziale, forse si deve più alla calma di lei, che all’inizio della presidenza di Macron guardava quasi con indulgenza a questo presidente giovanissimo e spumeggiante. La cancelliera ha saputo essere una figura decisa e conciliante, che in tanti hanno messo in discussione nel corso degli anni, e la cui fine è stata preconizzata più volte. Non è mai successo, è rimasta in piedi e ha saputo aiutare l’Europa. Macron, che pure sa che, senza Merkel, quello spazio è suo, ha delle idee importanti, forti, rivoluzionarie persino, ma lui ha fretta, sempre, comunque, e se c’è una cosa che non ha capito, o che probabilmente ha capito ma non accetta, è che in Europa le trasformazioni non possano essere burrascose, le burrasche creano naufragi. Per prendere il posto della Merkel e per portare avanti le sue idee, che promettono bene, ha ancora molto da imparare dalla cancelliera. 

 

 

I successori interni. C’è stato il primo dibattito televisivo tra i candidati alla successione della Merkel: il nominato sarà reso pubblico il 15-16 gennaio del 2021, al congresso del partito cristianodemocratico. Dopo quindici anni di una cancelliera venuta dall’est, di certo il prossimo leader della Cdu sarà un uomo cattolico, padre di famiglia e originario del Nord Reno-Westfalia. Questo è il profilo dei pretendenti, Armin Laschet, Friedrich Merz e Norbert Röttgen. Laschet, in ticket con il ministro della Salute Jens Spahn (molto popolare), è il candidato della continuità e dell’unione del partito. Merz, l’anti Merkel che Politico Europe ha definito addirittura il Trump europeo e che al dibattito ha parlato di “alternative politiche” per l’eventuale coalizione che hanno fatto pensare subito all’AfD di estrema destra, è il candidato della rottura con il merkelismo, della restaurazione conservatrice e del rigore. Röttgen è il candidato outsider che parla di rinnovamento e disegna una Cdu “più femminile, più giovane, più digitale e più politica”. Al dibattito, come spesso accade a chi non ha niente da perdere, è stato lui il più convincente. 

 


Il merkelismo ha le sue ombre e dentro al Ppe sono in tanti a criticare le posizioni tedesche soprattutto con l’Ungheria


 

Le ombre.  Ieri il Partito popolare europeo ha deciso di annullare il voto sull’espulsione di Tamás Deutsch, il deputato ungherese che in due interviste aveva sostenuto che Manfred Weber aveva usato dei modi da Gestapo. Deutsch in una lettera inviata alla sua famiglia europea aveva chiesto scusa, anche se prima aveva detto che erano stati gli altri a fraintenderlo e capire male, ma alla fine, nonostante l’insistenza di vari partiti, il voto non c’è stato. Deutsch non è stato espulso e anche su ciò che ne sarà di Fidesz, il partito del premier Orbán, ancora non è stata presa una decisione. In molti dicono che il problema sono i tedeschi, è la Cdu che non vuole innervosire Orbán, che preferisce lasciare le cose come stanno perché ci sono degli interessi nazionali in campo. Giorni fa il giornalista d’inchiesta Szabolcs Panyi ha pubblicato un articolo su Politico e poi un thread su Twitter in cui spiegava quanto valgono gli interessi della Germania in Ungheria. La risposta è: molto. E’ vero, le aziende tedesche che lavorano a Budapest sono tante e questo ha anche contribuito a forzare Orbán, che già ha molte difficoltà economiche, a cedere sulla questione del veto al bilancio. Non è la prima volta che la Merkel e i suoi vengono accusati di mettere le questioni economiche prima dei diritti, la stessa accusa le veniva mossa con la costruzione del Nord Stream 2, l’oleodotto che dovrebbe portare il gas dalla Russia all’Europa: un affare grandissimo sia per Berlino sia per Mosca. Il germanismo della Merkel, l’attenzione per gli affari della sua  nazione è stato spesso criticato – lo ha fatto pure in questi giorni il filantropo di origini ungheresi George Soros – e messo in contrapposizione con l’europeismo. Dentro al Ppe in tanti aspettano che i tedeschi si decidano, facciano una scelta per la famiglia europea e non per la Germania. 

 

Mancano duecentottantatre giorni alle elezioni tedesche, duecentottantatre giorni di Merkel: ce li faremo bastare. Buone feste e, scusate il sarcasmo, buona Brexit: non toglietela mai, la maglietta spensierata.

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