Euporn - il lato sexy dell'europa

Tutto sull'operazione “salviamo l'estate”

Paola Peduzzi e Micol Flammini

La Commissione organizza la riapertura  che dovrà essere un grande impegno di cooperazione. Le linee guida e il certificato, ovviamente verde

Le immagini da Israele che circolavano in questi giorni sui social bisogna guardarle senza invidia, altrimenti è difficile vederle fino in fondo. Se pensi: perché loro sì e noi no, sei finito. Invece se le guardi come un trailer, come un’anteprima di quel che sarà, lo scetticismo sui vaccini, le dosi di AstraZeneca sospese, i ritardi e le polemiche riescono a evaporare: i ragazzi di Israele si assembrano sui tavoli all’aperto senza mascherina, ballano e bevono e ridono, entrano nei posti al chiuso con la mascherina ma poi se hai il tuo certificato vaccinale ti si aprono tutte le porte, ti levi la mascherina, puoi ascoltare la musica che ti va, guardare un film, correre sul tapis rulant, flirtare con gli sconosciuti. Questo assaggio di normalità è lo stesso che anche la Commissione europea, piegata da settimane di polemiche ininterrotte su qualsiasi cosa, ha voluto offrire agli europei nella conferenza stampa di ieri riassumibile in: proviamo a salvarci l’estate. Le intenzioni sono buone, poi però bisogna metterle in pratica e mettersi anche tutti d’accordo, che è eccellenza e debolezza insieme dell’Unione europea.

 


La Commissione  chiede un approccio coordinato, ma già scegliere un nome per il certificato verde è stato complicato



La guerra non è finita. Prima di organizzare la speranza, la presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, è tornata sulla questione che incupisce queste settimane: il divieto alle esportazioni di vaccini, il multilateralismo inceppato, “l’Astracaos”, come lo chiamano i tedeschi (che al caos hanno parecchio contribuito). La von der Leyen ha annunciato la possibilità di introdurre un divieto di esportazioni per  le dosi prodotte nell’Ue se non ci sarà “reciprocità” da parte britannica. Dall’inizio del mese di febbraio “sono stati esportati  41 milioni di dosi in 33 paesi”, ed è difficile spiegare ai cittadini le ragioni dei ritardi negli approvvigionamenti europei. “Se la situazione non cambia dovremo riflettere su come rendere le esportazioni di vaccini verso paesi produttori di vaccini dipendente dalla loro apertura”, ha detto von der Leyen: “Rifletteremo anche se le esportazioni ai paesi che hanno tassi di vaccinazione più alti dei nostri siano proporzionate”. Con chi ce l’ha, la von der Leyen, Stati Uniti, Regno Unito, Israele, India? Non con gli Stati Uniti, perché “la reciprocità è assicurata”, non c’è esportazione di vaccini ma il flusso dei “prodotti necessari per produrre vaccini” è garantito. Il bersaglio è il Regno Unito. “Nelle ultime sei settimane, sono stati esportati dieci milioni di dosi: il Regno è il paese numero uno per le esportazioni dell’Ue. E il Regno Unito sta producendo AstraZeneca. Nel nostro contratto con AstraZeneca sono previsti due stabilimenti di produzione nel Regno Unito”, ha spiegato von der Leyen. La minaccia di vietare le esportazioni “è un invito a dimostrarci che ci sono dosi che vengono dal Regno Unito nell’Ue”. Ancora una volta reciprocità è la parola chiave.

 

La road map delle vaccinazioni. Entro la fine di marzo, l’Ue avrà ricevuto 100 milioni di dosi. Dalla seconda metà di aprile arriverà Johnson & Johnson che ha il vantaggio di essere monodose e dovrebbe fornire 55 milioni di vaccini. Da Pfizer-BioNTech ne arriveranno 200 milioni e da Moderna altri 35 milioni. “AstraZeneca purtroppo consegnerà solo 70 milioni di dosi rispetto ai 180 milioni che sono contrattualmente obbligati a fornire”, ha detto la von der Leyen. Complessivamente per fine giugno possono essere vaccinati più di 200 milioni di cittadini europei, un obiettivo vicino al 70 per cento della popolazione adulta (265 milioni di persone) che la Commissione aveva fissato per la fine dell’estate, ma che potrebbe essere raggiunto all’inizio. Oggi è attesa la dichiarazione dell’Agenzia europea dei medicinali sulla sicurezza del vaccino AstraZeneca (sui contratti non rispettati invece c’è poco da fare).

 

Le linee guida. “Una delle lezioni che abbiamo imparato”, dice il documento sulla riapertura coordinata dell’Ue, “è che la nostra intradipendenza significa che se imponi restrizioni in una parte dell’Ue, le implicazioni riguardano tutti. Ci aspettiamo che lo stesso valga nel momento in cui le restrizioni vengono allentate”. Ecco perché ci vuole un piano comune. Il punto di partenza è che bisogna tenere sotto controllo i dati del contagio: ogni allentamento deve essere giustificato, non si va da soli e non si va di fretta. Le vaccinazioni sono indispensabili ma non sono l’unico pilastro della riapertura graduale: test e tracciamento restano dirimenti, ancor più in presenza delle varianti. E con essi sono importanti i form per i passeggeri e il continuo scambio di informazioni. Quanto ai settori: il turismo è quello fondamentale, perché in dodici stati membri dal  25 al 10 per cento del pil è generato dal turismo. Nel 2020 c’è stato un crollo del 70 per cento e ci sono (almeno) undici milioni di posti di lavoro in bilico: per garantire un’estate profittevole ci sono dei protocolli da rispettare che saranno distribuiti all’inizio del periodo di vacanza in modo da aiutare il settore a organizzarsi e a garantire la sicurezza sanitaria.

 

Il certificato verde. Doveva essere un passaporto, ma poi ci si è accapigliati sulla parola: passaporto dà l’idea di un documento che bisogna avere per forza in tasca per viaggiare e l’idea non piaceva. Non piaceva alla Germania che dall’inizio, quando la Grecia aveva avanzato l’idea di un passaporto  per riaprire l’estate, aveva storto il naso. Anche la Francia non era d’accordo, temeva che così i francesi sarebbero rimasti incastrati. La Commissione  aveva così  pensato di chiamarlo pass – anche quello israeliano si chiama pass ed è stato il primo e quello che tutti in questo momento sognano di avere con sé – ma pass in tedesco vuol dire passaporto. Certificato era il primo passo per mettere tutti d’accordo e il Digital green certificate adesso è pronto per arrivare sul tavolo del prossimo vertice dei capi di stato e di governo, quando Ursula von der Leyen chiederà di seguire un approccio coordinato per la riapertura. 

 

Come funziona. Il certificato vuole essere la prova che una persona è stata vaccinata o che ha eseguito un test e dimostra di essere negativa al Covid o che ha avuto e superato la malattia. Non è stata eliminata soltanto la parola passaporto dall’idea iniziale, ma anche l’aggettivo vaccinale. La Commissione ha fatto i suoi conti e seguendo la road map non è pensabile che soltanto i vaccinati possano muoversi ed era necessario non escludere nessuno. La Commissione ha voluto anche prevenire che i vari paesi andassero per conto loro, come accaduto alle app di contact tracing, e ha promesso che sarà lei a fornire un portale a cui tutti i paesi membri potranno accedere. Il portale sarà anche una garanzia di veridicità di questi certificati che potranno essere digitali o di carta, l’importante è che ci sia il QR code. Ci sono poi le divergenze, i preconcetti contro  l’ottimismo della Commissione, che viene definito un po’ troppo pieno di entusiasmo: è bello pensare a un’estate coordinata, ma li abbiamo visti gli stati, sono abituati a muoversi per conto loro. Lo hanno fatto anche con l’autorizzazione dei vaccini. Per le certificazioni dei vaccinati l’Ue accetta soltanto quelli autorizzati dall’Ema, e come si fa con gli ungheresi e gli slovacchi che hanno autorizzato altri vaccini? Rimarranno a casa? Non è detto, la Commissione vuole dare la possibilità ai singoli paesi di inserire anche quelli autorizzate dalle autorità sanitarie nazionale. Un ungherese vaccinato con Sputnik potrà andare a Madrid, se gli spagnoli lo consentiranno, ma non potrà andare a Berlino se i tedeschi decideranno che per loro gli immunizzati con il vaccino russo non sono autorizzati a entrare. E cosa fare per i paesi che impongono le quarantene anche ai vaccinati? L’Italia è fra questi. Basterà informare gli altri stati. Già sembra di sentirle le rimostranze per la protezione della privacy, che sarà centrale per discutere dell’esistenza di questo certificato. 

 


Le immagini di Israele vanno guardate senza invidia, come un trailer di ciò che sarà. Evapora tutto, anche l’Astracaos


 

La reciprocità, di nuovo. Il certificato verde potrà forse far ripartire l’estate europea, ma non è detto che garantisca altrettanto fuori dai confini dell’Unione. Il primo problema è sorto con la Cina, che vuole fare del passaporto vaccinale uno strumento per spingere e promuovere i propri vaccini. Le ambasciate cinesi negli Stati Uniti, in Italia, in India e nelle Filippine hanno detto che certo, Pechino è entusiasta di accogliere, ma non sarà per tutti: il visto sarà facilitato per chi ha ricevuto il vaccino cinese. E’ una politica esplorativa, scrive il Wall Street Journal, e secondo il portavoce del ministero degli Esteri cinesi “è basata su una sufficiente considerazione della sicurezza e dell’efficacia” del proprio vaccino. In conferenza stampa gli è stato chiesto perché Pechino includesse solo quelli cinesi e non quelli riconosciuti dall’Oms. Il portavoce ha risposto che sarà possibile in seguito al riconoscimento reciproco. E’ questo il cuore del  ricatto di Pechino: se vuoi venire qui, devi riconoscere che ho ragione io. 

 

Turismo e vaccinazioni. Tra i paesi che più insistono per una riapertura che salvi l’estate, Malta è quello che ha un rapporto più alto di vaccinazioni su cento abitanti (27,19). La Grecia è qualche posizione più in basso con 12,31, poi c’è la Spagna con 11,45 e il Portogallo più o meno sullo stesso livello (11,41). Cipro e Italia sono un filo meno efficaci, ma di poco, 11,33 e 11,11.     

 

Noi stiamo facendo liste di posti da vedere, posti già visti da andare a ritrovare, mari, montagne, parchi, musei. Non ci basterà un’estate per fare, rifare e disfare tutto. Tra le città che rivedremmo volentieri c’è Budapest, la roccaforte anti Orbán. E’ stata il set di tanti film e si è finta anche lei personaggio tante volte. Si è finta Parigi, New York, Mosca: una città camaleonte, una città che ne ha mille dentro. Il punto giusto per  studiare nuove forme di convivenza, e per ripartire, soprattutto. 
 

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